domenica 11 agosto 2013

Energia nucleare dell’Iran: un casus belli per Cheney? (Muriel Mirak-Weissbach)

Articolo datato 2003, ma importante per non dimenticare come sono andate le cose negli anni e chi ha sostenuto sempre posizioni esatte.

"Prima l’Iraq; poi vengono Siria ed Iran." Così procede l’agenda di numerose commissioni di esperti del mondo dei neoconservatori degli USA, che progettano il ridisegno radicale della carta dell’intera regione del Medio Oriente e del Golfo Persico. Che si tratti di Michael Ledeen dell’American Enterprise Institute, o di un ideologo dall’occhio truce dell’Hudson Institute, tra le molte “nazioni canaglia” del mondo che vengono dipinte da “assi del male”, la Repubblica Islamica dell’Iran è tra le primi della lista.



Ora che l’Iraq è stato attaccato, invaso ed occupato, le giunte neoconservatrici di Washington, Londra e Tel Aviv stanno attrezzandosi per un attacco all’Iran. Rispecchiando il dibattito che precedette la guerra irachena, la discussione sull’Iran è illustrata da diversi scenari militari, spaziando da un’operazione militare ad una sovversione interna, ciascuna mirata a provocare un cambio di regime. Un’altra opzione prevede un singolo assalto aereo di Israele sulla quasi operativa centrale nucleare di Bushehr.

Eccheggiando i precedenti colpi di grancassa per la guerra contro Baghdad, l’attuale sbarramento propagandistico si sta concentrando sulla questione del presunto programma iraniano per lo sviluppo di armi di distruzione di massa (WMD), in particolare dell’arma nucleare. Anche qui, gli strateghi di Washington hanno dato il benvenuto all’ "intelligence" sulle supposte WMD iraniane da fonti assolutamente screditate dell’opposizione iraniana. Proprio come Ahmed Chalabi ed il suo Iraqi National Council hanno confezionato intelligence per il Dipartimento di Stato e il Pentagono - sulle armi mortali di Saddam Hussein, sui sistemi di lancio di missili e sui laboratori mobili - così i Mujaheddin al Khalq (MKO/MEK), un gruppo terroristico che ha operato contro l’Iran per anni dal territorio iracheno, stanno alimentando le istituzioni e la stampa di Washington, con "rapporti dettagliati" sulle installazioni per la produzione di armi nucleari in Iran.

Il materiale presentato, sebbene non più convincente dello scivolone sull’Iraq di Colin Powell il 5 febbraio alle Nazioni Unite, è servito ad alimentare la campagna che dipinge l’Iran come la prossima minaccia nucleare islamica per Israele e per il mondo.

Il programma nucleare iraniano

Diversamente dall’Iraq, l’Iran ha un avanzato programma per l’energia nucleare che sta seguendo in cooperazione con la Russia. Questo è il vero problema. Il primo impianto, a Bushehr, ha in programma di iniziare l’operatività a partire dal prossimo anno.

Il programma nucleare iraniano era partito sotto lo Shah Pahlavi, il quale aveva annunciato nel 1974 che aveva intenzione di avviare un ambizioso piano nucleare, installando 23,000 Megawatts (MWe) dal 1994. Le limitazioni finanziarie, come l’opposizione internazionale, impedirono che il piano originario venisse realizzato e, dal 1978, fu accantonato, sicché solo i quattro reattori allora in costruzione furono completati come da programma. Ci furono dei progetti di acquistarne 4 dalla Germania e 6-8 unità dagli Stati Uniti, ma furono abbandonati. Shahpur Baktiar, per poco tempo primo ministro, nel gennaio 1979, cancellò i progetti per due reattori che la Francia aveva iniziato a elaborare. L’Iran, come risultato, ebbe all’epoca solo due reattori tedeschi di 1.190 MWe ciascuno. Uno fu costruito a metà e l’altro fu completato per l’80%. Essi furono collocati a Halikeh, vicino a Bushehr, sul Golfo Persico, e furono predisposti per diventare operativi nel 1980. Comunque, massicci attacchi misero in stallo il lavoro nel 1978 e numerosi tecnici stranieri, temendo sollevazioni politiche, lasciarono il paese. La guerra Iran-Iraq, durata dal 1980 al 1988, eliminò praticamente le ultime tracce del sogno dell’energia nucleare iraniana.

Solo nel 1995, l’Iran è stato in grado di far rivivere il suo programma nucleare. L’8 gennaio di quell’anno, il paese firmò un contratto da 1 miliardo di dollari con la Russia, per completare l’impianto da 1.000 MWe di Bushehr entro quattro anni. I progressi furono ostacolati dal rifiuto dei Tedeschi, che avevano iniziato la costruzione, di consegnare delle parti e delle attrezzature. La Germania rivelò in seguito di essersi trovata sotto forte pressione da parte di “altri stati occidentali” affinché non ottemperasse i termini del contratto originale con gli Iraniani.

Il contratto russo era diverso da quello firmato con la Germania, riguardando trasferimento di tecnologia e addestramento. Secondo i rapporti della stampa iraniana del tempo, “i Russi hanno iniziato ad addestrare Iraniani per formare il personale necessario e (dal marzo 1995) 500 ingegneri e tecnici iraniani (si trovavano) in Russia, per ricevere istruzioni ed essere addestrati in vari impianti nucleari russi. Nello stesso tempo, essi supervisionavano la costruzione delle parti che alla fine avrebbero formato l’impianto di Bushehr."

Il contratto era appena stato firmato, che già veniva lanciata una campagna internazionale contro Russia ed Iran, mirata a sabotare il programma. L’amministrazione Bush ha spedito a Mosca, sempre più spesso in questi ultimi due anni, il negoziatore del “controllo sulle armi” ed eminente neoconservatore John Bolton, per tentare di persuadere il governo russo a tagliare la sua cooperazione nucleare con Tehran. Questo è stato anche l’argomento dei colloqui tra i ministeri degli esteri USA-Russia e del più recente summit di Bush con il Presidente Vladimir Putin.

La parte russa non solo non ha ceduto alle pressioni USA, ma ha reiterato il suo impegno verso la continuazione e l’allargamento dell’assistenza tecnologica all’Iran. Nel luglio 2002, il vice ministro degli esteri russo Trubnikov annunciava, a Tehran, che la Russia era pronta a discutere i progetti per costruire più impianti nucleari in Iran. Il 26 luglio 2002, la Russia pubblicava gli annessi per il suo trattato nucleare, che mostravano i progetti per cinque ulteriori impianti dopo il completamento di Bushehr. Il programma era parte di un accordo di cooperazione decennale tra i due paesi, approvato dal Primo Ministro russo Kasyanov. I nuovi impianti erano da costruire vicino a Bushehr (tre) e ad Ahzvaz. Concreti colloqui sull’allargamento del programma sono iniziati nel marzo 2003.

Nel febbraio 2003, il capo dell’Organizzazione per l’Energia Nucleare Iraniana, Gholam-Reza Aqazadeh, annunciava che l’Iran avrebbe sviluppato il ciclo completo della combustione nucleare. Che significa estrazione, trattamento e arricchimento dell’uranio per il suo uso in reattori. Egli ha dichiarato che è già stato completamente costruito un impianto ad Isfahan, per la preparazione dell’uranio.

L’Iran e la bomba

Questo annuncio ha fatto esplodere i fuochi d’artificio a Washington, dove il Direttore della CIA George Tenet ha deposto al Congresso sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa tra gli “stati canaglia”: "La teoria domino del XXI secolo può ben essere il nucleare." Da allora, la campagna ha continuato a guadagnare terreno, e sono state lanciate esplicite accuse contro Tehran, che sta costruendo una bomba nucleare. Il Los Angeles Times del 4 agosto, ha pubblicato una storia allarmistica "L’Iran si avvicina alla capacità di costruire una bomba nucleare," completa di cartine e diagrammi a supposta documentazione delle accuse.

In tale clima di isteria, è stata fatta pressione da parte degli USA sull’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), durante il suo incontro del 12 settembre a Vienna, per rivolgere un ultimatum all’Iran. E' stata infatti votata una dichiarazione che chiede che il governo iraniano “provi” di non avere alcuna intenzione di costruire una bomba, "dia una pronta cooperazione" all’agenzia, "sospenda tutte le ulteriori attività di arricchimento dell’uranio, compresa l’ulteriore introduzione di materiale nucleare," e firmi un protocollo aggiuntivo al Trattato di Non Proliferazione (NPT). Come a porre un ultimatum, è stata fissata una data: 31 ottobre 2003.

Il protocollo in questione, chiamato Protocollo 93+2, richiederebbe all’Iran di consentire ispezioni illimitate da parte dell’IAEA, su breve preavviso. Il governo aveva discusso con l’IAEA sulla questione e ha manifestato la propria volontà di cooperare. Comunque, come sottolineato letteralmente da ogni esponente della leadership iraniana, essa firmerà solo a condizione di ricevere la tecnologia necessaria per lo sviluppo dell’energia nucleare, come specificato nello stesso Trattato di Non Proliferazione.

Una volta che l’IAEA ha formulato le sue domande per segnalare in un ultimatum, ciò che era stato un dibattito è stato trasformato in un confronto. Tutto l’Iran si è mobilitato. Il 13 settembre, le emittenti e la stampa iraniane pubblicavano una dichiarazione dopo l’altra di leader politici, che condannavano l’ultimatum come una provocazione dell’America. Il delegato iraniano all’IAEA, Ali Akbar Salehi, veniva citato dalle emittenti occidentali, "Non avremo alcuna scelta, se non una profonda revisione del nostro attuale livello ed estensione dell’impegno con l’agenzia." Ha proseguito: "Al momento, l’America non è pervasa che dalla sete di vendetta, dalla ristrettezza di confronto e dalla guerra.... Essi mirano a riprogettare e ridare forma all’intera regione medio-orientale." Salehi se n’è andato per protesta dal meeting di Vienna.

L’Ayatollah Hashemi Rafsanjani, ex presidente iraniano ed attuale capo del Consiglio di Opportunità, ha definito i colloqui di Vienna "ingiusti, unilaterali e prepotenti," Ha detto che la disputa in corsa è il simbolo della “legge della giungla” che getta discredito sulle istituzioni internazionali. "Questo è un grande insulto e una vergogna per le grandi potenze, come per l’IAEA, dal momento che l’accettazione del protocollo addizionale non è obbligatoria per qualsiasi (altro) paese del mondo," ha detto Rafsanjani. "Inoltre, gli Stati Uniti, che hanno il maggiore arsenale nucleare del mondo, non hanno ancora firmato quello stesso protocollo."

Rafsanjani ha pure chiarito che, per la firma dell’Iran, bisognerebbe poi andare in discussione al gabinetto governativo, poi al parlamento per l’approvazione. Lì, potrebbe essere bloccata dal Consiglio dei Guardiani, che ha diritto di veto. In quel caso, il Consiglio di Opportunità (di cui Rafsanjani è il capo), sarebbe chiamato in causa per avere l’ultima parola.

Il Ministro degli Esteri Kamal Kharrazi ha denunciato l’ultimatum, e il rappresentante permanente dell’Iran alle Nazioni Unite, Mohammed Javad Zarif, ha detto il 12 settembre al New York Times che l’intera operazione ha dimostrato l’ "intenzione di privare l’Iran" dell’energia nucleare. "Ci sono persone a Washington," ha affermato, "che non vogliono fare chiarezza in materia - che, in realtà, vorrebbero incoraggiare, invitare e dare il benvenuto a notizie negative provenienti dall’Iran. E, se questa è l’intenzione, se questo è il desiderio, allora in realtà possono ottenere ciò che vogliono. "

In seguito, alla conferenza dell’IAEA il Vice-Presidente iraniano e il Presidente dell’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran, Reza Aghazadeh, hanno scioccato i loro ascoltatori quando hanno espresso un apprezzamento critico della nuova dottrina della sicurezza degli Stati Uniti, fondata sulla Guerra preventiva. Egli ha posto uno scenario provocatorio: se l’Iran, presentisse la minaccia di atti ostili da parte degli Stati Uniti o Israele, e adottasse la guerra preventiva, quale sarebbe la risposta internazionale in questo caso?

La questione iraniana con l’IAEA è stata una tipica caratteristica del meeting di settembre dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, particolarmente delle discussioni a margine della conferenza. Il Presidente russo Vladimir Putin coglieva l’opportunità per ribadire alla stampa che il suo governo era fiducioso che l’Iran non avrebbe cercato di sviluppare armi nucleari e che la Russia non vedeva alcuna necessità di interrompere la sua cooperazione nella tecnologia di energia pacifica.

Il Ministro degli Esteri Kharrazi ha ripetutamente sottolineato, nelle osservazioni alla stampa di New York, che "l’Iran non ha alcun impianto per produrre armi nucleari e che le attività nucleari del paese sono un uso pacifico." Nel suo discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Kharrazi ha protestato perché il suo paese è stato messo sono una deplorevole pressione per fargli abbandonare il suo diritto a sviluppare la tecnologia per l’energia nucleare pacifica, mentre altri paesi hanno sviluppato e testato armi di quel tipo. Egli ha posto l’indice sul governo israeliano e sul suo diniego agli appelli per firmare il Trattato di Non Proliferazione. Parlando al programma su ABC' "This Week", mentre si trovava a New York, Kharrazi ha fatto riferimento alla minaccia reale che Israele potrebbe bombardare l’impianto di Bushehr. Kharrazi ha detto, "Israele sa che se commette una tale azione, potrebbe esserci una reazione." Ha aggiunto che l’Iran non intende abbandonare il suo programma nucleare.

Apartheid tecnologica

Ci sono numerosi punti in programma sul "dossier Iran" di persone come Dick Cheney, Donald Rumsfeld, John Bolton e simili. Chiaramente, per loro, la questione nucleare è un comodo pretesto per battere la grancassa per un attacco militare contro l’Iran, coerente con le loro strategie politiche a lungo termine, tracciate da questo gruppo neo-conservatore, per il Golfo Persico e per il Medio Oriente.

Ma le ragioni dietro la spinta per fermare il programma nucleare iraniano sono più profonde. La loro paura non è la bomba, ma il processo di industrializzazione in Iran e, per estensione, dell’intero settore in via di sviluppo. La dottrina dell’apartheid tecnologica - per cui le nazioni in via di sviluppo dovrebbero essere private dei mezzi per acquisire progresso tecnologico attraverso il controllo delle tecnologie avanzate - risale al documento politico 1974 NSSM-200 abbozzato da Henry Kissinger. In esso, l’allora capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Kissinger, istituì la dottrina che le nazioni del Terzo Mondo, particolarmente quelle con risorse di materie prime, dovessero essere tenute arretrate nel loro sviluppo demografico ed economico; altrimenti la loro crescente indipendenza e il controllo sulle loro risorse avrebbero impedito il saccheggio delle stesse, e costituire così, una “minaccia strategica” per la sicurezza degli Stati Uniti.

É questo modo di pensare che sta dietro la tirata anti-nucleare. E gli Iraniani sono pienamente consapevoli di ciò. Quando lo Shah Pahlavi perseguiva il suo programma per l’energia nucleare, era sostenuto dall’Occidente, il quale volle vendergli le centrali di energia, ma senza condividere la tecnologia e il know-how. Ora, il desiderio dell’Iran è di produrre non solo l’energia, ma la capacità tecnologica di migliorare la sua economia e la sua forza lavorativa.

Il Presidente iraniano Khatami, a metà settembre, ha di nuovo sottolineato la strategia iraniana di rifiuto delle armi nucleari, aggiungendo "Comunque, siamo determinati ad essere potenti. La potenza deve essere con la scienza e con la tecnologia, dove la tecnologia nucleare è la più avanzata. Stiamo tentando di raggiungere questo obiettivo," ha detto, "e ciò dipende dalle capacità e dai talenti della gioventù iraniana." Khatami ha aggiunto: "Dio onnipotente e la nazione iraniana non ci perdoneranno se falliremo nell’ottenere accesso alla scienza ed alla tecnologia."

C’è da aspettarsi che l’Iran decida di firmare il designato protocollo del Trattato di Non Proliferazione. Nessuno nella leadership è folle abbastanza da sottovalutare la determinazione del partito della guerra a Washington. Nessuno vuole che la scadenza del 31 ottobre sia il preludio ad un "Iran affair" al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ma non rinunciano al diritto, inserito nel Trattato di Non Proliferazione, di controllare le tecnologie moderne.

Questo articolo è comparso sul numero del 10 ottobre 2003 di Executive Intelligence Review.

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta cameragno!