domenica 11 agosto 2013

Intellettuali & "Intellettuali" (Alberto B. Mariantoni)

Tra «Uomini, mezz'uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà»…

Generati direttamente dal verbo latino «intellegere» o «inter-legere» (scegliere tra, discernere, comprendere), i vocaboli «intellectio, onis» (senso, significato, comprensione), «intellectualitas, atis» (facoltà di comprensione) e «intellectus, us» (percezione, azione di discernere e/o di comprendere) ci permettono immediatamente di intuire il significato ed il senso della parola INTELLETTUALE («intellectualis, e»). E, allo stesso tempo, ci lasciano ugualmente individuare, facilmente identificare ed inequivocabilmente distinguere la peculiare caratteristica che emana o risulta da chi possiede la particolare facoltà (o la singolare e specifica inclinazione/propensione) di riuscire celermente a rendersi conto e, quindi, a capire o comprendere con rapidità e prontezza, perspicacia e disinvoltura.

Il potersi alacremente rendere conto ed il capire o comprendere agevolmente e spigliatamente, sono – in linea di massima – dei «doni» della natura. «Doni» che - grazie alla loro variabile ampiezza, differenziata intensità e variegata profusione – permettono al genere umano di diversificarsi, ed a certi uomini di distinguersi particolarmente da altri, in una naturale e spontanea scala gerarchica di qualità, capacità, abilità, ingegnosità e talenti.



In modo particolare, «l’intellettuale tipo» (da non confondersi con il classico «secchione» che è costretto ad impegnarsi giorno e notte per riuscire leggermente a “svettare” nei confronti di altri suoi simili), nel senso weberiano del termine: l’essere umano, cioè, che, più degli «altri», è portato ad impiegare, valorizzare e capitalizzare le sue «doti naturali» nell’ambito o nel contesto della cultura in generale, nonché ad accrescere e ad arricchire - per quella via e/o con quell’accorgimento – gli elementi di base e l’impatto effettivo delle sue «prerogative innate», attraverso la qualità e la quantità delle nozioni, delle cognizioni e delle esperienze che, nel tempo, sarà riuscito ad acquisire, accumulare, assimilare ed integrare.

Il fatto, però, di essere velocemente in grado di rendersi conto e di capire o comprendere facilmente, non sempre comporta, provoca o produce il successivo ed automatico trasferimento, nella vita di tutti i giorni, del risultato pratico di quella potenziale facoltà e/o di quell’eventuale o possibile inclinazione/propensione.

Quel «risultato», purtroppo, il più delle volte, è inevitabilmente ed irrimediabilmente condizionato, ipotecato o inquinato dalle altre qualità e/o difetti che ognuno di noi possiede o detiene nel contesto della sua particolare o peculiare natura.

Non dimentichiamo, infatti, che ognuno di noi è, e resta, quello che è, per tutto l’intero arco della sua vita: è e resta, cioè, «l’alchimia» o il «compendio» di ciò che la natura gli ha voluto affidare o trasmettere come specifica eredità.

Quella precisa «alchimia» o quel determinato «compendio» - se lo vogliamo – la/lo possiamo facilmente potenziare o infiacchire, perfezionare o peggiorare, correggere o accentuare, camuffare o rivelare ma, in nessun caso, la/lo possiamo interamente rimuovere, completamente modificare o intrinsecamente cambiare, trasformare o snaturare.

Niente e nessuno, in realtà, potrà mai riuscire a modificare di un solo «iota» ciò che effettivamente siamo in natura: cioè, vili o coraggiosi, deboli o forti, molli o energici, indecisi o risoluti, infidi o leali, imbroglioni o galantuomini, ambigui o chiari, ipocriti o trasparenti, egoisti o altruisti, avidi o generosi, calcolatori o ingenui, corruttibili o incorruttibili, ecc.

E’ la ragione per la quale, accanto agli audaci, accattivanti ed esaltanti Foscolo, Pisacane, Mazzini, Corridoni, Giusti, D’Annunzio, Sorel, Mosca, Pareto, Michels, Marinetti, Giovanni Gentile, Gioacchino Volpe, Edmondo Rossoni, Giovanni Papini, Prezzolini, Evola, Berto Ricci, Pavolini, Robert Brasillac, Drieu La Rochelle, José Antonio Primo de Rivera, Georges Oltramare, Paul Gentizon, de Vries de Heekelingen, J.S. Barnès, Thadé Dzieduszycki, Paul Teleki, Walter Starkie, Nae Ionescu, Ezra Pound, Ernst Jünger, Carl Schmitt, Martin Heidegger, Jean Thiriart, Robert Faurisson, Carlo Mattogno, ecc. – ma ugualmente Gramsci, Gaetano Salvemini, Riccardo Bauer, Federico Garcia Lorca, Bertrand Russell, Pablo Neruda, André Malraux, Hemingway, Jean-Paul Sartre, Roger Garaudy, Régis Debray, Gabriel García Márquez, Darcy Ribeiro, Pacciardi, Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lelio Basso, Giorgio Bocca, Paul Rassinier, Serge Thion, ecc. – abbiamo (senza necessariamente doverne elencare i nomi ed i cognomi) gli inevitabili ed oscuri «topi di biblioteca», i maggioritari «arrivisti», gli ineluttabili «doppiogiochisti», i fatali «leccaculo», gli ordinari «striscia per terra» ed i soliti «cacasotto». Senza dimenticare, coloro che «vorrebbero essere… senza purtroppo poterlo essere»; quelli che «hanno tendenza a mettersi sulle punte dei loro piedi per farsi notare»; quelli che «tirano il “sasso”… e poi nascondono la mano»; quelli che «si occultano furbescamente dietro ad un loro dito»; quelli che «preferiscono fare i c… loro»; quelli che «incensano sistematicamente qualunque potere costituito»; quelli che «fanno finta di non vedere, di non sentire e di non sapere»; ed in fine, quelli che «cercano semplicemente il “posto”» o «fanno del tutto per non farsi licenziare»!

In altri termini, per dirla con il linguaggio di don Mariano Arena (Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Adelphi edizioni Spa, Milano, 10° ristampa, Aprile 1999), diciamo che - anche all’interno di questa specifica categoria - l’umanità non cambia.

Anche in questo caso, infatti, se si esclude quell’infima e notoria minoranza di «Uomini» a cui si può senz’altro attribuire la «U» maiuscola, coloro che normalmente definiamo Intellettuali (e che con il loro «genio», «estro» o «talento» naturale potrebbero senz’altro contribuire a fare riconquistare la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità politica, economica, culturale e militare ai Popoli-Nazione ai quali appartengono), continuano purtroppo ad essere quelli di sempre, ed a qualificarsi e distinguersi in un’invariabile e costante scala gerarchica di maggioritari «mezz'uomini, ominicchi, piglianculo e quaquaraquà»!


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