sabato 10 agosto 2013

Minaccia islamica o minaccia all'islam?

Ecco gli atti e gli interventi all'importante conferenza del 28 giugno 2001. Per approfondire e studiare.

1) Comunicato ufficiale alla stampa

2) «Cecenia: modelli per l’accordo»
Quadro analitico dei temi fondamentali della Conferenza

3) Saluto del rappresentante della Duma di Stato GENNADY N. SELEZNEV

4) Tesi del contributo dello Sheikh-ul-Islam TALGHAT TAJUDDIN, Supremo Mufti,
Rappresentante per la Russia del Consiglio Centrale Spirituale dei Musulmani

5) Discorso di HOJ-AHMED NUHAEV

6) Discorso di ALEKSANDR G. DUGIN, leader del Movimento "EURASIA"

7) Risoluzione collettiva dei partecipanti alla Conferenza


Comunicato Ufficiale alla Stampa

Il 28 giugno è stata tenuta a Mosca una Conferenza internazionale dedicata al fenomeno dell’estremismo islamico. Il Comitato organizzatore della Conferenza è guidato da Gennadi Seleznyev, portavoce della Duma di Stato e da Talgat Tadjuddin, Supremo Mufti e Presidente del Consiglio centrale musulmano per la Russia e per i paesi europei della CSI.
I membri partecipanti alla Conferenza sono gli Ambasciatori e i rappresentanti ufficiali degli Stati islamici, gli Ambasciatori dei governi della CSI e gli Ambasciatori di altri paesi, interessati ai problemi islamici.
L’obiettivo della Conferenza sarà dare una chiara definizione del fenomeno dell’estremismo islamico, scoprire le specie teologiche, concettuali, politiche e pratiche di questi movimenti islamici (o quasi islamici), che si trovano all’epicentro di terrorismo, separatismo, conflitti inter-religiosi ed inter-etnici.
Un’attenzione speciale sarà focalizzata sulle strutture delle organizzazioni radicali islamiche internazionali, sulla loro filosofia e sui loro metodi di penetrazione nei domini dell’Islam tradizionale e delle altre esistenti istituzioni sociali e politiche. La Conferenza discuterà l’influenza distruttiva che le organizzazioni estremiste hanno sul mondo dell’Islam tradizionale, l’interconnessione tra teologia ed azione politica.
Ci aspettiamo che la Conferenza dia le classificazioni sociali e giuridiche di concetti come “vakkhabismo”, “ikkhvanismo”, “salafismo”, etc. noi intendiamo suggerire un nuovo modello di approccio diplomatico e strategico per la risoluzione per la maggior parte dei logoranti conflitti nei quali l’estremismo islamico svolge un ruolo significativo (Caucaso settentrionale, Cecenia, Tadzhikistan, Afghanistan, Kirgizia).
Un altro obiettivo della conferenza è costituire l’elenco delle raccomandazioni riguardanti lo sviluppo di una consistente e prolungata strategia di inter-relazioni tra la Federazione Russa e il mondo islamico. Il Comitato organizzatore della Conferenza ritiene che i concetti approvati di simili inter-relazioni dovrebbero trovare la loro collocazione in atti legislativi russi, in decisioni del Governo, in decreti presidenziali e in risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dello Stato. Il comitato organizzatore della Conferenza auspica che le attività della stessa aiuteranno a far crescere un intensificato dialogo inter-etnico ed inter-religioso, vuole promuovere la pace, l’amicizia e la cooperazione tra paesi, popoli e gruppi sociali e culturali.
La nuova realtà geopolitica del XXI secolo richiede nuove decisioni, formule e concetti di cooperazione a livello mondiale e resistenza agli elementi estremisti, qualsiasi sia l’orientamento religioso, nazionale o sociale che essi possano usare come copertura.
I partecipanti alla Conferenza sono Gennadi Seleznev, portavoce della Duma di Stato, Talgat Tadjuddin, Supremo Mufti e Presidente per la Russia ed i paesi europei della CSI del Consiglio Centrale Spirituale Musulmano, i rappresentanti della Chiesa Ortodossa Russa, A. Ignatenko, dr. in Storia, Dugin, dr. in Filosofia, V. Belokrenitsky, dr. in Storia, R. Landa, Professore.

«Cecenia: modelli per l’accordo»
Quadro analitico dei temi fondamentali della Conferenza

Il raggiungimento di una solida pace in Cecenia richiede un approccio differenziato.
Prima di tutto, è necessario sapere che il fulcro della resistenza è localizzato nelle regioni montuose della Cecenia meridionale. Viene da lì la minaccia per la parte pianeggiante – attualmente già pacificata.
Le forze che in Cecenia meridionale oppongono resistenza alle truppe federali possono essere convenientemente divise in tre gruppi:
1) “CRI ufficiale” [Repubblica Cecena di Ichkeria], rappresentata dal presidente Mashkadov
2) unione di squadre di milizie cecene formatesi spontaneamente, che agiscono di propria iniziativa e si dividono in gruppi mobili;
(3) organizzazioni militarizzate e rigidamente strutturate di “wahhabiti" ("ikhvani"), composte in proporzione significativa da "mujaheddin" stranieri.
E’ perciò necessario riconoscere che solo i membri del terzo gruppo possono essere considerati come essenzialmente irriducibili. Inoltre, tra loro ed i membri dei primi due gruppi, ci sono serie contraddizioni, la cui asprezza è moderata solo dalla presenza di un nemico comune nelle sembianze delle forze federali. Queste contraddizioni hanno carattere ideologico ed etno-confessionale. L’ideologia del “wahhabismo” (“ikhvanismo”) ha in vista la costruzione di uno “stato islamico”, imponendo la versione modernista, settaria di Islam tipica dell’Arabia Saudita, e rivendicando l’universalità della versione araba della shariah – mentre i Ceceni sono tradizionalmente organizzati secondo un principio sociale di consanguineità e l’Islam in Cecenia ha caratteristiche peculiari Sufi ("virdismo").
Durante gli anni del governo di Aslan Mashkadov, nonostante la sua posizione elastica, compromissoria, le contraddizioni tra la Cecenia montuosa e quella pianeggiante, come quelle tra i “wahhabiti" ("ikhvani") e i Ceceni tradizionali si erano costantemente acuite. Conflitti armati scoppiavano ripetutamente. In tutto, non meno di 75 rappresentanti del clero tradizionale furono uccisi dai “wahhabiti" (“ikhvani”). A loro volta, i leaders di molte taypi [tribù] in Cecenia presero la decisione di espellere i “wahhabiti" dai territori sotto il loro controllo.
Proprio dagli ambienti “wahhabiti” (“ikhvani”) è stata provocata l’invasione del Dagestan, essi sono il principale “motore” di guerra, attirando i Ceceni nella loro orbita, rendendoli ostaggio di forze interessate all’indebolimento delle posizioni della Russia nel Caucaso (innanzi tutto l’Arabia Saudita e gli USA).
Perciò l’aggiustamento della situazione in Cecenia dovrebbe avere in vista:
- lo sviluppo di un approccio diverso nei confronti della Cecenia pianeggiante e della montuosa;
- collocare i “wahhabiti" (“ikhvani”) in una valutazione a parte dalle forze che oppongono resistenza alle truppe federali, e includerli in un gruppo che ha “problemi” speciali;
- svolgere una politica di protezione riguardo al risveglio ed allo sviluppo delle istituzioni tradizionali cecene (prime tra tutte la struttura sociale consanguinea e l’Islam “virdista”) come garanzia naturale dall’intrusione in Cecenia di varie forme di estremismo religioso;
- creazione per la parte montuosa della Cecenia di un progetto costruttivo implicante la libertà di scegliere un sistema sociale corrispondente alle tradizioni locali, con il contemporaneo scioglimento di tutte le formazioni armate illegali esistenti e l’espulsione dal territorio ceceno di tutti gli stranieri che vi si trovano illegalmente.

Afghanistan – Talibani – Pakistan

La crisi afghana è tra le più durevoli e difficili da risolvere. Al giorno d’oggi la maggior parte del territorio del paese è occupata da squadre armate del movimento dei “Talibani”. Non più del 10% di questo territorio è lasciato sotto controllo del legittimo governo dello Stato Islamico dell’Afghanistan. Questo consente ad alcuni osservatori di avvalorare l’inevitabilità di un riconoscimento internazionale degli “Emirati Islamici dell’Afghanistan” talibani e la necessità di stabilire relazioni diplomatiche con essi.
Tuttavia, una somma di circostanze indica l’inadeguatezza di tale valutazione:
- 1) Il successo militare dei Talibani dipende completamente dal diretto aiuto militare di Pakistan e USA;
- 2) L’Afghanistan è uno stato pluri-nazionale ed uno spazio multi-culturale (che include Khazari, Hindu, Tadjiki, Uzbeki e molti altri), in cui i Pushtuni-Talibani sono solamente uno tra i gruppi etnici;
- 3) La varietà eretica di Islam praticata dai Talibani (“Tabliq”), è inaccettabile per la maggior parte del popolo afghano;
- 4) I territori occupati dalle forze della “ Alleanza del Nord” (le truppe governative dello Stato Islamico dell’Afghanistan), sono virtualmente inavvicinabili, e le milizie di Ahmed Shah Masoud sono ben armate, ben equipaggiate ed sono ottimamente pronte a combattere;
- 5) all’interno del potere dei “Talibani” vi è un’attiva lotta di fazioni tra le ali “radicale” e “moderata” dell’organizzazione, che ne risulta obiettivamente indebolita;
- 6) il compimento da parte dei “Talibani” di atti di vandalismo nei riguardi di sacre reliquie buddhiste, la loro estrema crudeltà e il genocidio commesso contro gli Afghani hanno reso ancora più problematico il riconoscimento internazionale del loro regime.
Come più probabile scenario dell’ulteriore sviluppo degli avvenimenti, è necessario favorire il sorgere assai diffuso di centri di resistenza nel territorio dell’Afghanistan (innanzi tutto nelle zone omogeneamente abitate da gruppi etnici non-Pushtuni) ed una controffensiva delle forze della “Alleanza del Nord”, praticamente inevitabile con la condizione di un significativo aiuto militare, innanzi tutto dalla Russia e dai paesi asiatici della CSI, ed anche dall’Iran (interessato alla situazione dei Tadjiki, Uzbeki e Khazari Shiiti dell’Afghanistan).
Inoltre, vanno aggiunti i principali fattori che rendono impossibile un dialogo costruttivo con i Talibani:
- 1) garantiscono l’utilizzo del territorio afghano per la creazione di basi terroriste;
- 2) sostengono forze estremiste negli stati limitrofi (in particolare, nei paesi asiatici della CSI);
- 3) lavorano e contrabbandano narcotici (in primis, oppiacei) su una scala non paragonabile a prima del loro arrivo;
- 4) la circostanza che i “Talibani” siano una creatura del Pakistan fa di essi un nemico naturale di chiunque non sia interessato a rafforzare l’influenza pakistana nella regione (specialmente dopo la realizzazione del programma nucleare pakistano), primi tra tutti, della Russia e del paesi asiatici della CSI, dell’Iran e dell’India.



L’Islam nei paesi della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) (Breve sguardo)



Tadjikistan

La maggior parte dei Tadjiki è sunnita del madhhab Hanafita. Fanno eccezione i popoli delle montagne del Badakhshan (Vakhani, Rushani, Yasgulemi, particolari etnìe est-iraniane collegate all’Ismailismo – estremo orientamento dell’Islam sciita). Il Tadjikistan è diviso in quattro regioni fondamentali: due aree montuose – il Gharm e il Badahshan, e due pianeggianti – il Kulab e il Khojent, le cui popolazioni possono essere considerate come speciali sub-etnìe del popolo Tadjiko. La maggior parte degli attivisti clandestini islamici (Dawlat Osman, Himmatsade, Said Abdullah Nuri) proviene da famiglie Tadjike tradizionali della regione del Gharm, che conoscevano spesso anche malamente il russo. Agli inizi della perestroika il gruppo islamista era guidato dal religioso musulmana Akhbar Turajanzade di eccellente preparazione, in seguito divenuto (capo dei musulmani) del Tadjikistan, appartenente alla tariqat sufi di Kadiria. Nel 1992 l’opposizione tra gli islamici e i loro avversari in Tadjikistan si trasformò in una sanguinosa guerra civile. Addirittura gli slogan islamici venivano allora usati da vasti strati della popolazione come forma di protesta sociale. Nel 1996 lo sforzo congiunto di Russia e Iran rese possible il raggiungimento di un accordo di pace tra il governo del Tadjikistan e il Movimento di Rinascita Islamica (MIRT). I leaders dell’opposizione riconobbero che nelle condizioni presenti, la costruzione di uno stato islamico nel Tadjikistan era impossibile. Rappresentanti dell’opposizione islamica sono entrati negli apparati governativi, e iniziò il processo di ritorno dei rifugiati. Nello stesso tempo, in varie regioni del paese furono costituite delle mini-repubbliche islamiche (nella zona di Tawildarinsk sotto la direzione del comandante in campo Mirza Ziyeev, nella regione del Djirgital sotto il governo di Mull Abdullah). Inoltre, durante gli anni dell’opposizione armata, furo creati solidi legami tra I membri dell’opposizione e organizzazione islamiche straniere, comprese alcune di orientamento “wahhabita”. Sarebbe errato identificare tutti gli islamismi tadjiki come “wahhabiti”, comunque parte dei comandanti militari, in particolare nelle regioni del Djirgital e dell’Haiyot, sono loro simpatizzanti. L’ulteriore normalizzazione della situazione nel paese dipenderà dalla consistenza con cui il suo governo gestirà la ricerca di un corretto concetto di sviluppo economico e spirituale del Tadjikistan, e anche da quanto attivamente avanzerà il processo di integrazione nell’Asia Centrale e all’interno della struttura della CSI.

Uzbekistan

L’Islam in Uzbekistan ha una ricca e antica storia. Le città di Samarkanda e Bukhara sono centri della formazione culturale tradizionale islamica. Inoltre, Bukhoro-ye sharif («la nobile Bukhara») è considerata la capitale originaria della tariqat sufi di Naqshbandi. A Bukhara si trova la madrasa del “Mondo arabo”, in cui veniva preparata la maggior parte dei religiosi musulmani dell’USSR. La maggior parte della popolazione della repubblica è sunnita del madhhab Hanafita. L’eccezione è rappresentata da una comunità di Iraniani sciiti (emigrati dall’Iran) a Samarkanda.
Già negli anni ’80 divennero popolari tra gli Uzbeki il pellegrinaggio alle tombe sacre, lo ziyarat, il rito del matrimonio islamico – la nikah e altre tradizioni nazional-religiose. Le autorità locali vi si opponevano. Nello stesso tempo, gli apparati del partito sovietico non solo chiusero gli occhi di fronte alla nascente attività dei sostenitori del cosiddetto “Islam puro” «pure Islam» Muhammad Radjab, Hakim Kor, Abduwal Mirza (precursori degli attuali “wahhabiti”), ma per motivi tattici assicurarono loro la possibilità di comparire sui media.
Nella valle della Ferghana, dove vive circa la metà della popolazione (10 milioni di persone), l’elevata densità agisce come fattore che incremente le connessioni sociali e religiose tra la gente. Qui all’inizio della perestroika era particolarmente forte il radicalismo islamico. Nel dicembre del 1991, il Presidente dell’Uzbekistan I. Karimov, sotto la pressione dell’opposizione, durante un incontro ad Hamangan promise addirittura la costituzione di una repubblica islamica nel paese. Le squadre combattenti islamiche di “Adolat” (Equità) si impegnarono allora nel “ristabilimento dell’ordine sociale”, seguendo l’osservanza delle regole della shariah.
Nel 1993 le autorità uzbeke introdussero rigide misure mettendo fine a questo duplice potere. I leaders dell’opposizione Tahir Yuldashev e Djuma Namangani furono costretti a lasciare il paese. La maggioranza degli oppositori si rifugiò nei confinanti Tadjikistan e Afghanistan, dove crearono il “Movimento Islamico dell’Uzbekistan” (IMU), di chiaro carattere estremista.
Il governo uzbeko intraprese una politica di costruzione di uno stato secolare nello spirito di Kemal Ataturk e del neo-Jadidismo («percorso secolare all’interno della cultura islamica»). Attraverso una combinazione di misure repressive e politiche che contribuivano all’illuminazione islamica (nel paese furono costruite 2000 moschee e 10 madrasa, e fu aperto un istituto islamico) è stato possibile raggiungere un calo di tensione.
Comunque, il livello di vita estremamente basso nella valle di Ferghana e la disoccupazione giovanile di massa fanno sì che una parte dei giovani uzbeki prestino ascolto ai santoni del “socialismo islamico”. Nel paese, accanto ai “wahhabiti” agiscono due gruppi clandestini di ammiratori del “puro Islam”: “Hizb ut-tahrir” e “Akramiya”.
Al calo d’intensità nel problema confessionale potrebbe contribuire il dialogo tra il governo della repubblica ed il clero tradizionalista e sufi.
Kirgizistan

La maggior parte della popolazione di questo paese dell’Asia Centrale è sunnita delle madhhab Sanafita e Shaafita. Così il problema confessionale raggiunge il suo climax nelle aree meridionali della Kirghizia - Osh e Jalalabad, che sono parte componente della valle della Ferghana. Una percentuale significativa della popolazione (40 %) di quest’area è costituita da Uzbeki. Il territorio della repubblica è diviso in due parti dalla Catena del Tan-Shanski. Nella parte settentrionale (dedita all’allevamento del bestiame) l’Islam non ha mai stabilito radici profonde, in quella meridionale (dedita all’agricoltura) l’Islam si sviluppato grandemente.
Fino alla fine degli anni ’90, la Kirghizia era considerate “un’isola di stabilità e democrazia” nella regione dell’Asia Centrale. Un’assoluto liberalismo dominava anche nella sfera religiosa, cosa che permise ai “wahhabiti” di iniziare nell’area meridionale una forte diffusione delle loro idee e di prendere sotto controllo numerose moschee. Il governo della repubblica valutava tutto ciò in modo piuttosto indifferente. «I Wahhabiti sono cittadini del nostro paese come tutti gli altri. Non abbiamo niente da rimproverare loro» – dichiarò il presidente del Kyrgyzstan Aksar Akayev in un’intervista alla Nezavisimaya Gazeta nell’estate del 1998. Questo idillio è stato distrutto dagli avvenimenti dell’autunno del 1999 a Batken, quando un gruppo di guerriglieri dell’IMU irruppero dal territorio del Tadjikistan nella regione montuosa di Bakten nella provincia di Jalalabad e catturò come ostaggi un gruppo di geologi giapponesi … E’ divenuto evidente che la povertà e l’emarginazione di una parte significativa della popolazione, specialmente tra I giovani, crea un ambiente favorevole alla diffusione di idee estremiste e “wahhabite”. Inoltre – al contrario dei vicini Tadjikistans e Uzbekistan, ricchi di eredità sufi – nel paese non si è mai sviluppato uno strato sociale di musulmani tradizionalisti che facciano appello alla problematica dei valori tradizionali.

Azerbaijan

La maggioranza della popolazione della repubblica appartiene formalmente alla direzione sciita dell’Islam. In pratica la maggioranza degli Azeri è indifferente all’Islam. L’Organizzazione Spirituale dei Musulmani di Transcaucasia a Baku, guidata dallo Sheik-ul-Islam Allahshukyur Pasha-sade, sovraintende non solo le moschee sciite, ma anche quelle sunnite. L’ignoranza religiosa della maggioranza della popolazione viene sfruttata da ben definiti circoli turchi che hanno iniziato a costruire due moschee sannite a Baku. Inoltre, secondo informazioni raccolte da pubblicazioni internet azere, la conversine al Cristianesimo (e non all’Ortodossia, ma al Cattolicesimo) è diventata una moda tra una parte dell’intelligentsia di Baku – fatto assolutamente inconcepibile, ad esempio, negli stati post-sovietici dell’Asia Centrale.
Nella Repubblica sono stati fatti dei tentativi di creare un’organizzazione politica islamica, ma nel 1997 il governo del paese, probabilmente spaventato dalla radicalizzazione dell’Islam nel Caucaso settentrionale, ha proibito le attività del Partito Islamico e di alter sei organizzazioni di orientamento politico-religioso. Nel 2000 in Azerbaijan è stata chiusa l’agenzia della “fondazione di aiuto umanitario Al-Haramin”, strettamente collegata ai circoli dell’élite saudita e impegnata nella propaganda di idee “wahhabite”. Poi, su ordine del governo di Geidar Aliev, nella moschea di Bibi-Eibat a Baku è stata ricostruita la tomba della sorella dell’imam Ali-Rez – una chiara testimonianza del sostegno da parte del governo del paese al tradizionalismo sciita contro le correnti fondamentaliste aliene di carattere sunnita, cosa che va valutata come un segno promettente.

Ukraina

Tra gli stati della CSI con popolazione predominante non-musulmana, l’Ukraina merita una speciale attenzione. In primo luogo, in vista della trasformazione delle organizzazioni separatiste nazionaliste nel territorio tartaro della Crimea in basi del “wahhabismo”. In secondo luogo a causa delle strette connessioni di lunga durata dei gruppi ukraini nazionalisti radicali con le formazioni criminali “wahhabite” con basi in territorio ceceno (l’internet-server “Kavkaz- centre" si trova a Lvov, “legionari” ukraini prendono parte ad azioni di guerra in Cecenia dal vero inizio del conflitto, etc.).
Il Mufti dei musulmani ukraini sheikh Ahmed Tamim ha espresso più volte la sua preoccupazione per l’ingresso di idee “wahhabite” nel territorio dell’Ukraina, ha parlato del pericolo dell’estremismo, ha invitato le autorità a prendere drastiche misure per rafforzare il loro controllo sull’attività di organizzazioni e movimenti che si riferiscono nominalmente all’Islam. Come ha detto, «la propaganda di materiale del wahhabismo gode di una diffusione incontrollata nelle regioni ukraine». «Queste edizioni vengono stampate in Ukraina, pure in lingua ukraina, con mezzi forniti dalla Assembea Mondiale della Gioventù Islamica. Da lì, vengono inviate anche nel Caucaso e in Bielorussia. Il Governo Spirituale dei musulmani e la maggioranza delle comunità musulmane d’Ukraina, forti di oltre due milioni di correligionari, condannano l’estremismo religioso in tutte le sue forme e agiscono contro i tentativi di usare la religione per fini politici» – ha sottolineato Ahmed Tamim. Con la nuova direzione del Governo Spirituale dei musulmani di Crimea che, al contrario di quelle che l’hanno preceduta, partecipa attivamente ad azioni politiche, secondo Ahmed Tamim, non si può trovare una mutua comprensione...

La diffusione del “wahhabismo” in Russia

Il “wahhabismo” – un’interpretazione eretica, letterale dell’Islam similare a ciò che è il Calvinismo (“Puritanesimo”) nella Cristianità – prese i suoi inizi nella penisola araba nel XVIII secolo. Il “wahhabismo” e altre forme ereticali di “puro Islam” (tipico di organizzazioni estremiste islamiche come i “Talebani”, i “Fratelli Musulmani”, etc.) sono pericolosi perché concepiscono la religione e la politica come un tutto inseparabile. Per il “wahhabita” il mondo intero è rigorosamente diviso in due parti. “dar-ul-islam” (“la casa dell’Islam”) – paesi e stati dove l’autorità politica si trova nelle mani dei rappresentanti di una setta totalitaria di tipo “wahhabita”, e “dar-ul-harb” (“la casa della guerra”) – ogni stato dove l’autorità appartiene a un governo non-islamico o anche a un governo islamico che non condivide l’ideologia del “wahhabismo”. Da qui la lotta armata dei membri delle sette pseudo-islamiche di tipo “wahhabita” (“Fratelli Musulmani”, “Salafyi”, “Talebani” etc.) virtualmente con ogni potere statuale in ogni punto del mondo. E tutto ciò viene rivestito di belle parole sul Corano, sulla “vera religiosità”, sul “puro Islam” …
La propaganda dell’interpretazione “wahhabita” dell’Islam e dell’ideologia ad essa collegata è iniziata sul territorio della Russia anche prima dello stabilirsi di relazioni diplomatiche con il Regno dell’Arabia Saudita. Un ruolo significativo è stato qui assunto dal rappresentante ufficiale del “Gruppo saudita Bin-Laden”, il fratello minore del famoso “numero uno del terrorismo” - Tariq bin Laden. Poco dopo l’apertura di una missione diplomatica saudita in Russia nel 1990, il suo Dipartimento per gli Affari Islamici con la collaborazione della Lega Mondiale Islamica (Arabia Saudita) e del Ministero per gli Affari Islamici – organizzazione e voce dell’Arabia Saudita – si trasformò in uno dei maggiori canali per il finanziamento di elementi sovversivi nella comunità musulmana russa.
Come punti chiave per la diffusione della propaganda “wahhabita” furono scelte le regioni del Caucaso settentrionale e quella del Volga. Così Ryad ha spesso usato i canali diplomatici, religiosi e commerciali dei suoi alleati nel mondo musulmano – primi fra tutti gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e il Pakistan. Il lavoro di base è stato realizzato dagli elementi di fondazioni umanitarie non governative e di organizzazioni religiose. La loro attività sul territorio russo veniva supervisionata dagli addetti del Servizio di intelligence saudita (guidato personalmente dal principe Turki al-Feizal e dal figlio del re, Fatkha - Saud)…
Nello stesso tempo, i primi emissari sauditi iniziarono ad apparire nel Caucaso settentrionale. Ad esempio, Servakh Saad, sotto copertura della cittadinanza degli Emirati Arabi Uniti, agli inizi degli anni ’90 trasferì a Bahautdin Mahomed (“Bahaudtin ad-Dagestani”) i mezzi per organizzare una scuola islamica a Kizil-Yurt (Dagestan) e una casa editrice per stampare produzioni wahhabite a Pervomansk. Contemporaneamente, Servakh Saad iniziò a collaborare attivamente con Muhammed-Shafi Djangishev, guidando in Dagestan il centro giovanile islamico “Kavkaz”. Secondo le informazioni del FSB, alla fine degli anni 90 Servakh Saad viveva nella città del Dagestan di Kizil-Yurt, e con l’inizio dell’aggressione wahhabita contro questa repubblica, nell’agosto del 1999, si è recato in Cecenia (secondo alcune fonti, a Urus-Martan). Lì egli ha cooperato strettamente con I leaders delle formazioni armate “wahhabite”. Nel gennaio di quest’anno, Servakh Abed Saad è ritornato in patria attraverso la Transcaucasia… secondo il FSB, Servakh Saad era strettamente collegato con l’ambasciata dell’Arabia Saudita di Mosca – vi sono gli originali dei suoi rapporti scritti spediti all’ambasciata saudita (119121, Moscow, 3-rd Neopalimovsky per., d. 3).
Un altro importante canale di influenza “wahhabita” in Russia è l’opera pia “Ikraa”, il cui quartier generale si trova a Djedda (città natale do Usama bin Laden). Il presidente di questa organizzazione è Mohammed Abed al-Yamani, strettamente collegato alla dinastia regnante in Arabia Saudita ed ai circoli finanziari del regno (in particolare, al potente clan di magnati del petrolio Al-Makhfuz).
Nella diffusione del “wahhabismo” in Russia e negli altri paesi della CSI, sono pure attivamente impegnati in pratica i rappresentanti di ogni paese dell’Arabia Orientale economicamente ed ideologicamente dipendente dall’Arabia Saudita, e anche dai centri “islamici” delle principali capitali europee (innanzi tutto a Londra) ed anche degli USA, i paesi del Sudest asiatico e l’Australia.
Ben presto, il “wahhabismo” è diventato un serio problema non solo per il Dagestan, la Chechnya o il Karachaevo-Cherkassia, ma anche per altre, relativamente repubbliche del Caucaso settentrionale, relativamente sicure. Ad esempio, solo dal territorio del Caucaso settentrionale, sono stati recentemente espulsi centinaia di religiosi “wahhabiti” in prevalenza di origine araba. Secondo le parole del Presidente del Kabardino-Balkariya, Valery Korov: «La lotta contro il “wahhabismo” deve divenire una questione primaria negli anni a venire, per gli apparati giudiziari della regione». Negli archivi degli inquirenti, solo nel Kabardino-Balkariyas, vi sono già oltre 500 “wahhabiti”…
Un’altra regione problematica, dal punto di vista della diffusione dell’influenza “wahhabita”, è quella del Volga. In particolare, nel Tatarstan (e specialmente nelle città “giovani” di: Naberezhnoe Chelnoe, Almetevsk, etc.) le branche locali dell’organizzazione nazionalista radicale “Centro Pubblico Tataro” sono impegnate nella propaganda “wahhabita”. Alcuni dei suoi leaders sono già incriminati…
Il solo “antidoto” effettivo contro la diffusione dell’estremismo religioso è l’unità organizzativa dei musulmani russi e la massima protezione da parte dello stato verso le forme di Islam tradizionale per la Russia in vista della loro specificità regionale. Perciò il principale attacco dei “wahhabiti” è stato diretto contro l’Organizzazione Centrale Spirituale dei Musulmani di Russi e l’Organizzazione Spirituale dei Musulmani delle repubbliche del Caucaso Settentrionale, che rappresentano tradizionalmente l’Islam confessionale. Le guide dell’influenza “wahhabita” hanno organizzato “gestioni spirituali” alternative, è stata esercitata una pressione nei confronti dei rappresentanti religiosi dell’Islam tradizionale attraverso le autorità esecutive e legislative. A Mosca, Volgograd, Ulyanovsk, Astrakhan, perfino in Yakutsia, con denaro delle “opere pie” del Golfo Persico, sono state organizzate “scuole per lo studio del Corano” e “centri culturali islamici”, sono state costruite moschee dove veniva apertamente praticato il “whabismo”...
Solo dopo il cambio del governo russo e l’attivazione di operazioni di guerra nel Caucaso Settentrionale, è stata capita la necessità di proteggere lo spazio spirituale del paese dall’influenza sovversiva degli oppositori geopolitici della Russia. Vi è ora la speranza che venga eretta una solida barriera contro la diffusione del “wahhabismo” in Russia.

L’asse Mosca – Teheran

La Federazione Russa e la Repubblica Islamica dell’Iran (IRI) sono aree “predestinate” dalla storia e dalla situazione geografica ad una partnership strategica.
Una completa condivisione di posizioni e di priorità è concretamente notata in relazione a praticamente tutti i problemi internazionali, a tutte le situazioni di conflitto nelle regioni limitrofe. L’Iran è interessato quanto la Russia a stabilire una solida pace e stabilità in Afghanistan e nel Caucaso, è preoccupato dalla propagazione della tendenza estremista “wahhabita”, estranea all’Islam sciita tradizionale e dall’espansione dei paesi occidentali (primi fra tutti, gli USA) negli stati confinanti.
Inoltre, vi sono prospettive colossali di partnership tecnologica e commerciale tra i nostri paesi, in vista di una sorta di “complementarietà” delle nostre economie. Il “mercato senza fondo” russo è al presente uno sbocco per i prodotti poco costosi dell’Iran (in primo luogo, cibo e tessuti). Da parte propria, la Russia è in condizione di fornire all’Iran le più avanzate tecnologie nel campo delle progettazioni di qualità, dell’aviazione, dei missili e dell’energia nucleare.
In particolare, durante la recente visita di Mohammed Khatami nella capitale russa (una visita che sta diventando – nelle parole del presidente iraniano – “la primavera nelle relazioni russo-iraniane”), gli ospiti iraniani hanno incontrato sia i membri del governo russo che i rappresentanti della direzione militare, ed anche i principali uomini d’affari e scienziati. E’ stata affrontata un’intera serie di questioni di carattere geopolitico riguardanti le relazioni bilaterali. E’ stata data grande attenzione alla situazione nel Caucaso, e nelle regioni Transcaspica e dell’Asia Centrale. Le due parti hanno espresso una decisa posizione riguardo il movimento radicale “talebano”, che controlla la maggior parte dell’Afghanistan. Secondo fonti arabe, nel corso dei negoziati sono state dibattute le possibilità alternative per un sostegno più efficiente alle truppe governative di Ahmed Shah Masoud. I rappresentanti iraniani hanno pure menzionato il problema dell’implicazione dei servizi speciali pakistani negli avvenimenti della regione dell’Asia Centrale, in particolare, nella preparazione dell’espansione delle attività di bande armate contro la Kirghizia e l’Uzbekistan dai territori di alcuni stati confinanti.
Mohammed Khatami e Vladimir Putin hanno discusso la possibilità della creazione di un corridoio di trasporto “Nord-Sud” (attraverso l’India, l’Iran e Astrakhan). Questo ha già completamente cambiato la situazione nel mercato dei trasporti dalla regione del Pacifico all’Europa. Mosca e Teheran prevedono dall’anno prossimo di acquisire un volume di traffico di 80-100.000 containers all’anno. In alcune città-chiave russe (per esempio, ad Astrakhan) vi sono già consolati iraniani e missioni commerciali. Per la comparsa di questo corridoio, i costi di trasporto merci attraverso il canale di Suez sono recentemente diminuiti del 30%. Lo scorso anno il volume dello scambio di prodotti tra i due paesi ha raggiunto solo i 603 milioni di dollari e gli esperti ritengono che a lungo termine questa cifra può incrementarsi in modo significativo.
Nel corso della visita è stato firmato un accordo strategicamente rilevante “Sulla reazione politica in caso di aggressione di una delle parti”, all’interno della cui struttura la Russia si impegna “a non offrire alcun aiuto militare o di altra natura all’aggressore”. Si è attivamente discusso lo sviluppo della cooperazione nell’area tecnologico-militare e in quella dell’ingegneria nucleare.
Secondo fonti dei servizi speciali dell’Occidente, è stato concluso tra Russia e Iran un ampio accordo di cooperazione in campo militare. Teheran acquisterà da Mosca armi per un valore complessivo di 7 miliardi di dollari. In particolare, dispositivi antimissile S 300, aerei da combattimento SU 25, elicotteri d’assalto MI-17 and imbarcazioni da pattugliamento. Secondo fonti russe, gli Iraniani hanno dimostrato grande interesse nei sistemi di difesa aerea S 400, TOR-M-1 e BUK-M1. Recentemente Ali Shmkani ha visitato Izhevsk per osservare sistemi di difesa aerea interessanti per Teheran.
In base a fonti dei media ufficiali iraniani, Mosca fornirà anche all’esercito della IRI parti di ricambio di produzione sovietica. Innanzi tutto ciò riguarda i veicoli corazzati (tanks T-62, T-72, e anche VMP-1, BTR-80), aerei da guerra (SU-24, Su-25 e Mig-29), aerei da trasporto ed elicotteri d’attacco (Mi-8, Mi-17, Mi-24), ed anche i sommergibili diesel che appartengono all’arsenale della Repubblica Iraniana. Come dichiarato dal direttore generale dell’impresa di stato "Rosoboronexport" Viktor Komardin, la realizzazione degli accordi siglati può già partire dall’estate di quest’anno. Nello stesso tempo, secondo il trattato firmato a Teheran nel dicembre dello scorso anno dal ministro della difesa russo, ufficiali iraniani intraprenderanno un addestramento nelle scuole militari superiori russe.
Conclusione

La pubblica opinione è vittima di numerosi miti ed errori collegati all’Islam. Le forme storicamente consuete di Islam, che hanno dato al mondo un’enorme ricchezza culturale e svolto un ruolo assai rilevante nella storia di molti popoli, sono spesso di proposito fraintese. Nello stesso tempo, sette estremiste enormemente pericolose, usando l’Islam come copertura ideologica per aggressivi piani espansionisti, non vengono adeguatamente respinte.
Ora, mentre la significatività del fattore islamico nella politica mondiale diventa sempre più forte, noi non possiamo più mancare di una chiara e coerente strategia nelle relazioni con il mondo islamico. E nemmeno dobbiamo fare la scelta strategica sbagliata. Né l’atteggiamento tradizionale del periodo sovietico verso i paesi (in prevalenza arabi) del “socialismo islamico”, né in particolare la passività e l’indifferenza (che riducono la Russia a seguire ciecamente la scia delle scelte USA in politica estera) sono accettabili per la Russia moderna.
Il mondo islamico come tutto uniforme, non esiste. Nel mondo islamico agisce una serie di forze variamente orientate, frequentemente in opposizione polare le une con le altre. Dalla serietà e dall’affidabilità delle politiche russe in relazione al mondo islamico dipende sotto molti aspetti la nostra sicurezza, il nostro sviluppo sociale ed economico, e – in vista di tutti i pericoli creati dai tentativi USA di realizzare il loro progetto di mondo unipolare – il benessere e la sicurezza di tutta l’umanità.

 Saluto del rappresentante della Duma di Stato GENNADY N. SELEZNEV

Cari partecipanti alla conferenza, ospiti stranieri, rappresentanti religiosi musulmani! Vogliate accettare i miei rispetti in occasione dell’apertura della vostra conferenza.
Il mondo moderno vede una netta crescita del fattore religioso che nei decenni precedenti non era stato seriamente considerato. Oggi, in questo preciso momento, è necessario capire fino a quanto esso sia una realtà autonoma, e dove stiano i riferimenti geopolitici, economici, sociali che si trovano alle sue spalle.
L’aumento di sentimenti religiosi è a volte unito non solo con i fattori positivi del ritorno alle tradizioni e della crescita di autoriferimento nazionale e culturale, ma anche con fattori negativi, quando molte persone trattano la religione in modo semplicistico, non avendo imparato la profondità della fede, imponendo categoricamente i propri punti di vista a quelli degli altri, dando così occasione per inimicizie, conflitti, esplosioni nazionali e sociali.
Sfortunatamente, si possono vedere dei danni in questo senso anche nel mondo islamico, dove il riferimento a slogan e simboli religiosi nasconde talvolta estremismo, intolleranza, pratiche terroristiche, pura violenza. Un’occhiata superficiale ad alcuni fatti di questo genere ha generato nella pubblica opinione lo stereotipo della “minaccia islamica”, chiaramente alieno alla stessa pratica politica e religiosa dell’Islam.
Oggi è importante comprendere in quali relazioni si trovino due differenti fenomeni – l’antica tradizione religiosa islamica e quelle forme estremiste che sono travestite con i simboli islamici.
Il mondo islamico è amichevole nei confronti della Russia. Noi la vediamo come il nostro partner principale nella costruzione di un giusto mondo multipolare. Noi condividiamo una lunga storia di relazioni strette ed amichevoli – sia politiche che strategiche ed economiche. Sono certo che sarà così anche in futuro. Inoltre, il fattore islamico per la Russia è presente non solo all’estero, a livello diplomatico, ma anche a livello interno. I musulmani costituiscono una parte significativa dei cittadini russi. E nella stragrande maggioranza dei casi essi sono dei cittadini lodevoli e disciplinati che condividono le gioie e i dolori di tutti gli altri.
La cosa più importante per noi è che quelle persone di buona volontà di diverse confessioni e convinzioni politiche possano raggiungere una piena comprensione reciproca e prevenire consapevolmente anche la possibilità di uno sviluppo degli avvenimenti secondo uno scenario conflittuale.
Auguro ai partecipanti alla conferenza un lavoro fruttuoso e pienamente riuscito.

Tesi del contributo dello Sheikh-ul-Islam TALGHAT TAJUDDIN, Supremo Mufti,
Rappresentante per la Russia del Consiglio Centrale Spirituale dei Musulmani

1. Eresie estremiste nella storia dell’Islam

La tradizione islamica ha una storia di secoli. Questa storia ha fasi differenti. Il mondo dell’Islam è sfaccettato e in dinamica evoluzione. A volte non senza contraddizioni.
Noi sappiamo che sin dal vero inizio ci furono opposizioni tra Shiiti e Karidjiti. Vi erano molte dispute dottrinali. Gli stessi Shiiti erano divisi. La cosa è accaduta storicamente anche ai seguaci di altre confessioni.
Gradualmente si formarono nella tradizione islamica quattro madhhabs (scuole dottrinali). Ognuna di esse rappresenta l’Islam tradizionale.
L’Islam storicamente tradizionale era aperto alle usanze culturali e spirituali. Onorava quelle abramiche – il Giudaismo e il Cristianesimo. Accettava le tradizioni degli altri popoli, rendendo onore alla loro fede in un Unico Creatore.
Espressioni canoniche dell’Islam divennero le tariqat, le fratellanze, le sette, gli ordini mistici.
Ma talvolta ai margini di questo mondo vi erano sette e movimenti ereticali. Essi si trovano al di là dei confini delle madhhabs tradizionali, avanzando tesi religiose e politiche che estraggono da un Islam tradizionale distanziandosi su spazi critici non ammissibili.
Tali erano il califfato fatimide, la ribellione mahdista e altre manifestazioni. A volte l’eresia sorse nel mondo islamico, come una regola nella forma di pratiche violente, terroristiche. Questo voleva dire il rifiuto delle madhhabs tradizionali, l’uscita dai confini dell’ortodossia islamica. Era l’innovazione, manifestazione di arroganza, che spingeva i capi fanatici a negare le regole dell’Islam, mettendo da parte la loro fedeltà all’Islam originale, introducendo di fatto innovazioni nella vera religione.
Sul piano pratico questo si accompagnava a fanatismo, intolleranza religiosa, coercizione, crudeltà. Il fanatismo, l’intolleranza e la coercizione nel campo della fede sono già in se stessi i segni distintivi di una frattura con l’Islam, con la nostra tradizione del Profeta Mohammed – osservate come insista il Sacro Corano «Non c’è nessuna costrizione nella fede», e il precursore del Profeta, riguardo ai loro figli adulti che avevano aderito al Cristianesimo prima che i loro genitori aderissero all’Islam, invoca il popolo a non adagiarsi nell’ignoranza e nel fanatismo, ma su un giudizio ponderato e ragionevole del mondo creato dall’Altissimo, dal Creatore e realizzato secondo il Suo auspicio. “Sareste realmente eguali, voi che sapete e coloro che non sanno?” “Dovete comprendere!” (Corano)
[…..]

2. Estremismo contemporaneo con il volto islamico

Anche nel mondo contemporaneo vi è un tale contributo di eresie per l’Islam, che contraddice la nostra fede sia nella lettera che nello spirito, nella teoria come nella pratica.
E’ difficile a prima vista distinguere questa costruzione dall’Islam. Essa entra satanicamente nelle fila dell’Islam, fa uso dei suoi simboli. Ma nello spirito essa non ha niente in comune con l’autentico, divino Islam.
Tali dottrine radicali sono in concreto la dottrina del “Fratello Musulmano” Hasan al-Banni, il Wahhabismo, il Salafyismo, la setta pakistana Tabliq, che ha originato il movimento dei Talibani, e altri fenomeni similari.
Questi fenomeni sono eresie dottrinali, esse introducono nell’Islam tradizionale non meno innovazioni dei cosiddetti “modernisti islamici”. Esse affermano che tutte le presenti forme di Islam sono false, e solo la loro dottrina che si basa sull’esecuzione letterale degli ordini dei loro capi, è vera, in ultima analisi.
Lo spirito di una scelta ragionata, della dignità personale dell’uomo, della spontaneità della fede, il rispetto per i popoli delle “Scritture” e di tutti gli altri – tutto questo è semplicemente assente da questi movimenti, che possono essere definiti come sette totalitarie di tipo pseudo-islamico.
Essi mutano pure il significato sociale della visione del mondo islamica. Questo non è semplice “Islam politicizzato”, sarebbe un errore considerarlo in questo modo – è “eresia politicizzata”. L’Islam non si fonda sul fatto che tutti i musulmani sono costretti a seguire regole definite di condotta morale, etica, essendo guidati nella vita privata e pubblica dalle affermazioni religiose dell’Islam tradizionale. I Fanatici estremisti cambiano questa regolarità assai tradizionale in un comportamento compulsorio, in un modello completamente differente: essi pretendono l’osservanza letterale delle loro proprie regole, da essi inventate, e invocano la violenza su chiunque non vi obbedisca.
Ogni termine islamico viene da essi esposto in modo distorto.
Nell’Islam vi è il concetto di “jihad”, di “Guerra santa”. Innanzi tutto esso significa “al-jihad-ul-kabir”, la Grande Guerra, che ogni credente musulmano deve combattere all’interno di se stesso contro i difetti, l’ignoranza ed il male. La “Piccola Guerra santa” (“al-jihad-ul-sagir”) viene condotta contro coloro che portano violenza e rabbia nel mondo, che negano la fede e la verità, che introducono la menzogna, la crudeltà e l’intolleranza, che mirano all’oppressione dei popoli, a privarli della loro libertà. Un esempio di vera jihad è stato per i musulmani la Grande Guerra Patriottica, la guerra contro gli occupanti nazisti. E i primi a mettere la bandiera della “Vittoria” sul Reichstag furono i musulmani-russi del Bashkortostan, e questo nonostante le 14.500 moschee distrutte durante gli anni di Stalin. Così, nel corso dei secoli, i devoti musulmani hanno condiviso gioie e dolori della Grande Patria Russa con i loro fratelli compatrioti ortodossi.
La Jihad è sempre la guerra contro il male e la violenza.
I fanatici settari capovolgono completamente questo concetto, proclamando la cosiddetta “jihad” contro chiunque non sia d’accordo con loro, così contro il mondo intero. Questo non ha più nessuna relazione con l’Islam. L’Islam consente di usare la violenza solo come ultima risorsa, e solo contro coloro che mostrano chiaramente i loro intenti malvagi, cioè contro aggressori, violentatori, assassini. In tutti i rimanenti casi, la shariah invita all’indulgenza e all’esortazione.
Questo non è per nulla il caso degli estremisti. Qui la violenza diventa la legge fondamentale, la violenza contro sé stessi, contro gli altri, in pratica contro tutti.
Senza accorgersene, i cosiddetti “islamisti” invocano sulla propria stessa testa la vera jihad. Sfidando tutti i popoli della Terra, e prima di tutto l’Islam tradizionale, professato dalla stragrande maggioranza del mondo islamico, queste forze si pongono da sole in opposizione all’Islam. E la reazione contro di esse è un dovere religioso, morale, sociale e politico di ogni musulmano.
Ahimè, in certi paesi islamici – particolarmente in Arabia Saudita – vi è un atteggiamento di tolleranza (perlomeno) verso gli esponenti di questa tendenza. Così c’è un precedente di indulgenza e persino di connivenza verso quei regimi che – nelle regioni critiche, dai confini instabili del mondo islamico – ha come esito delle conseguenze criminali: insorgere di terrorismo e violenza, guerra su vasta scala e perfino genocidio. L’abbandono delle tradizioni del vero Islam nelle questioni teoretiche ha necessariamente come risultato tali esiti distruttivi.
E’ necessario affermarlo inequivocabilmente: la deviazione dall’Islam tradizionale, dalle basi della nostra fede, l’aspirazione a reinterpretare a proprio modo le prescrizioni del Corano e della Sunna, per distogliere il senso della legge della shariah a beneficio di un’aggressiva minoranza estremista – tutto questo è persino più pericoloso del processo di modernizzazione dell’Islam. Mirando alla difesa dell’Islam dall’ingresso di fattori non-islamici, gli stessi islamisti lasciano l’Islam, rompono con la tradizione, seguono il fuoco dell’arroganza che è sempre stato lo strumento principale del demone Ibliz.
I Talibani hanno spazzato via le antiche statue di Buddha. In questo modo essi non solo hanno profanato una reliquia di molte nazioni buddhiste nel mondo, non solo hanno privato l’umanità di monumenti unici di antica cultura; essi si sono anche posti al di sopra dei loro antenati e dei milioni di musulmani che hanno vissuto per secoli nel territorio dell’Afghanistan e le cui imprese e conquiste spirituali non sono nemmeno paragonabili a quella sorta di rabbia maniacalmente ambiziosa da semieruditi aggressivi che forma il cuore dei Talibani. Ma essi hanno anche infranto la proibizione di Allah, così che la loro adorazione offenderà l’Altissimo e il peccato ricadrà su di essi che – su una terra sacra, dove hanno camminato l’inviato di Allah e i suoi precursori – sono diventati la causa di questa bestemmia. E non sono essi – sotto lo slogan di “proteggere” l’Islam – che inviano tonnellate e tonnellate di droga in Russia, nella Csi, e anche più lontano, pretendendo in questo modo di essere i corruttori del nemico? Ma vedete, per l’Islam tutti i popoli, fin da quando è stato inviato il Corano sono “Ummatut-da’va” – la comunità dell’invocazione, anche coloro che non credono.
Ecco perché i fanatici estremisti wahhabiti e salaafyiti fanno saltare le tombe dei santi e mazar islamici – sia in Afghanistan che in Dagestan, in Cecenia e in Tadjikistan. Il culto degli antenati per essi non è nulla, solo un rimprovero vivente. Questi fanatici non solo attaccano e distruggono gli attributi religiosi di altre fedi, ma anche le stesse reliquie islamiche. Così, come è possibile parlare di minaccia islamica? Quando il mondo è riempito di eroina non solo dall’Afghanistan, ma dal Sud-America e dal Sudest asiatico! Così, chi è il regista?
Esiste realmente la minaccia, ma essa non proviene dall’Islam ma da origini completamente diverse, e questa minaccia è terribile per tutti i musulmani, proprio perché essa è manifestata al mondo intero sotto il nome dell’Islam.
Spiegherò le ragioni per cui:
- I fanatici estremisti di tipo wahhabita usando il loro carisma reclutano i giovani il cui animo non è ancora forte, mirando a sfruttare la loro calda fede, tentandoli con la propaganda aggressiva, con la semplificazione di concetti primitivi, con aiuti materiali dal clero e dai cosiddetti centri. Così noi, musulmani, perdiamo la parte migliore del nostro popolo, i più giovani, che cadono nella rete di Iblis;
- Queste forze, agendo ostentatamente sotto i nostri motti e le nostre bandiere, discreditano in realtà l’Islam in quanto tale, fanno sì che i non-musulmani si riferiscano ai musulmani con diffidenza e paura, gettano un’ombra su tutti i musulmani, invalidano la nostra cooperazione attiva con gli altri popoli;
- essi distorcono l’essenza della nostra fede, gettano via la nostra vera tradizione, l’elevata divinità e i riti spirituali in cambio di surrogati che li accecano rapidamente, di prescrizioni primitive, di un cieco seguire i capi.
Per le altre religioni questo è più facile, esse vedono questa minaccia dal di fuori. Tale minaccia può essere isolata, allontanata, soppressa, eventualmente con i metodi della forza. A noi, musulmani, questa terribile malattia viene anche dall’interno. Perciò dobbiamo essere all’avanguardia della lotta con le tendenze estremiste pseudoislamiche e diventare una barriera contro i piani odiosi del narco-business internazionale e degli altri benevoli sponsor della “guerra santa”. Uccidere l’infezione dalle radici, non rimanere in attesa, mentre i wahhabiti dichiareranno questa o quella zona come un territorio sotto il loro controllo, liberando terrore e violenza e spargendo sangue.
E’ necessario controbattere queste tendenze anche a livello teoretico, nel loro stadio embrionale, non permettendo nelle nostre moschee e nelle nostre librerie la propaganda estremista – non solo aperta, ma anche velata.
Anche l’idea del cosiddetto “puro Islam”, “Salafiysmo”, l’idea del wahhabismo e altre correnti similari già nascondono il tentativo di corrompere profondamente l’Islam. Negando l’Islam tradizionale, facendo appello alla sua riforma radicale, i salafiyiti e i wahhabiti rompono il sottile equilibrio della tradizione islamica tra lo spirituale e il secolare, tra il formale e l’interiore. E l’attività terroristica ne è proprio la diretta conseguenza.
Se vogliamo far fronte a questa minaccia, dobbiamo combatterla allo stadio embrionale.

3. Il ruolo dell’Islam tradizionale nella regolazione della crisi del Caucaso

La situazione in Cecenia è il risultato di molti fattori - sociali, storici, nazionali, culturali e psicologici. Il conflitto ha una lunga storia e si è formulato in modo diverso nei suoi differenti stadi. Va sottolineato che in realtà l’elemento islamico è apparso in primo piano piuttosto tardi in Cecenia, mentre il conflitto si era già acceso.
Ciononostante, è stata proprio l’interposizione di militanti dell’islamismo eretico, l’attivazione di sette estremiste pseudo-islamiche di tipo wahhabita, che hanno aggiunto a tutta la situazione il suo carattere drammatico, sanguinoso, e creato una situazione di virtuale guerra civile nel Caucaso.
I Wahhabiti e i Salafyiti hanno introdotto nella complessa situazione cecena l’elemento del fanatismo e dell’estremismo, hanno formato un polo autonomo che a un certo punto è diventato una fonte autosufficiente ed inestinguibile di conflitto militare cruento.
Precisamente a causa dell’influenza wahhabita, la Cecenia è diventata un centro di gravità per i gruppi pseudo-islamici più fanatici e maggiormente ereticali. E quando la situazione è diventata più o meno stabilizzata, questo polo wahhabita si è reso responsabile dell’insorgere di nuova violenza, l’aggressione contro il Dagestan.
Il Wahhabismo e il Salafyismo sono completamente estranei all’Islam tradizionale ceceno, che, viceversa, si distingue per la fedeltà alle tradizioni degli antenati, il culto virdista, la diffusione universale delle fraternità sufi, e la sua taypi [tribale] organizzazione della società. Tutto questo è incompatibile con il wahhabismo, e contro questo Islam tradizionale ceceno è stata diretta l’aggressione di coloro che hanno preso la guida della resistenza armata. In questo caso gli estremisti sono giunti alla corretta (per loro) conclusione: senza la distruzione dell’Islam tradizionale in Cecenia, sarebbe stato impossibile subordinare questo popolo alla loro volontà, fare di esso una pedina in un complesso gioco geopolitico.
Vediamo un fatto simbolico: leader della Cecenia pianeggiante è diventato il rappresentante religioso musulmano, mufti Ahmad Kadirov, consapevole che la minaccia all’Islam in Cecenia proviene da questo estremismo wahhabita, e che le azioni della Russia in questo caso non sono in opposizione all’Islam, ma i suoi alleati. E la Russia lo ha in pratica riconosciuto, avendo fatto del Capo dei Musulmani ceceni la prima persona della Repubblica Cecena.
Ma anche nella parte montuosa della Cecenia – dove continuano oggi azioni di Guerra contro le forze federali – la vittoria dei wahhabiti è solo superficiale. La maggioranza della popolazione ed anche delle squadre armate, appartengono all’Islam. Ora è il loro turno di capire la minaccia che giace all’interno di questa eresia politicizzata, di questa setta totalitaria – con i suoi mercenari multinazionali ed i gruppi terroristici internazionali – contro il popolo di Cecenia. Sempre più musulmani capiscono in quale trappola sono caduti.
Il nostro problema, di tutti i musulmani russi, in quanto Consiglio Centrale Spirituale dei Musulmani (CSMM), e centro di coordinamento del Consiglio Centrale Spirituale dei Musulmani del Caucaso settentrionale, e in senso più allargato di tutti i musulmani della CSI e dei paesi islamici esteri, dove la maggioranza professa l’Islam tradizionale, è di aiutare a regolare questo sanguinoso conflitto e a ristabilire la pace e la concordia. Il nostro fraternamente musulmano popolo ceceno, che professa tradizionalmente la nostra Fede, è diventato la vittima di una setta totalitaria, il suo sangue continua ad essere versato.
E come è possibile parlare di minaccia dell’Islam, quando vittime degli estremisti sotto insegne islamiche sono in prevalenza musulmani, in questo caso Ceceni? I mercenari internazionali vanno e vengono quando vogliono, ma che cosa può fare il popolo, che vive da secoli sul suolo ceceno e vuole viverci ancora per secoli?
Noi, Musulmani, non possiamo rimanere indifferenti a questo problema. La nostra fede, l’Islam, ci chiede che prendiamo attivamente parte alla regolazione del conflitto, specialmente da quando esiste già – a mio avviso – una corretta soluzione per questo conflitto – una soluzione eurasiana. Il suo senso garantisce al popolo ceceno un ampio grado di autonomia culturale, etnica, spirituale ed anche giuridica nella composizione di uno Stato eurasiano unito – la Russia. Ciascuna parte raggiungerà i suoi obiettivi, ma il maggiore tra i vincitori sarà il mondo islamico, la ummah, che in questa Russia mostrerà al mondo intero il vero, luminoso e umano volto dell’Islam – l’abbandono elle mani dell’Altissimo Dio Creatore, il completo Amore di Dio e delle Sue creature; un profondo e originale Islam, che viene come rifugio quando ne viene distorto il senso, sovvertita la sua tradizione, trasformata la religione in eresia e i suoi veri contenuti sostituiti con altri di falsi, qui, in Russia, sul suolo della nostra Patria, il granaio della nostra vita eterna. «Lo Stato ha verso di voi un debito irredimibile», - ha dichiarato recentemente il Presidente V.V.Putin durante il suo incontro con il Presidium del Consiglio Spirituale nella moschea di Ufa “Lyalya-Tulip”. Ma noi, musulmani di Russia, non veniamo dall’Africa, la nostra Patria è qui. Auguriamo pace e concordia e prosperità sul suo sacro suolo, e preghiamo per questo Allah l’Altissimo. Il resto è nelle mani di Allah – al Quale noi apparteniamo.
La minaccia dello pseudo-islam o “islamismo” è una minaccia prima ditutto all’Islam, e il nostro dovere è rispondere coraggiosamente a questa minaccia – come è necessario ai veri musulmani.
Assieme alla Russia, assieme all’Eurasia, assieme a tutti i popoli di buona volontà l’Islam non è una minaccia, ma l’offerta di scegliere la verità.
Il rimedio più efficace contro il falso Islam è il vero Islam.
Allah akhbar! Gloria all’Altissimo! Allah Creatore dei mondi non avere inimicizia, eccetto che per colui che oltraggia la legge principale e semina odio, ira e violenza.

 Discorso di HOJ-AHMED NUHAEV

Bismillah irrakhmanirrakim!
Cari partecipanti alla conferenza!
Inizierò il mio intervento da un fatto evidente a tutti. Per la prima volta nella storia mondiale è apparsa sul pianeta una superpotenza che esprime apertamente il proposito di subordinare tutti i popoli della Terra a un Nuovo Ordine Mondiale. Questa forza, indubbiamente, possiede le risorse finanziarie, materiali e tecnologiche per portare a compimento i suoi obiettivi globalisti e minaccia così l’indipendenza e l’autonomia di tutti i popoli del mondo. Sto parlando della minaccia della globalizzazione.
Dove questa minaccia si mostra concretamente? Nel fatto che le forze della globalizzazione cercano di circoscrivere e ridurre al nulla tradizioni religiose e nazionali esistenti da tempi antichissimi. La presenza di tradizioni è il principale ostacolo sulla strada del consumo in quanto valore, privo di ogni contenuto spirituale.
Partendo da ciò, dobbiamo formulare due principali conclusioni di rilievo: primo, la nostra opposizione alle politiche globaliste deve basarsi sui tradizionali valori eurasiani; secondo, tutti i popoli eurasiani che desiderano preservare la loro indipendenza e la loro originalità nazionale, devono identificare nelle forze della globalizzazione il comune nemico.
Queste due conclusioni sono i postulati di base su cui erigere l’ideologia dell’eurasismo, in particolare l’ideologia del movimento “Eurasia” guidato dal qui presente Aleksandr Dugin. Si può in parte vedere un’applicazione della validità e della praticità di questa ideologia nel fatto che io, convinto sostenitore dell’indipendenza cecena, compaia oggi a questa conferenza, nella capitale di uno stato che è in guerra con il mio popolo. Ho accettato l’invito del comitato organizzatore della conferenza e, inoltre, sono un suo portavoce perché ho chiaramente riconosciuto: l’eurasismo crea quel livello di dialogo tra Ceceni e Russi sul quale, per la prima volta nella storia, abbiamo una base reale per una comprensione reciproca, per la pace e per l’unione contro il nemico comune.
Su che cosa è fondata la mia fiducia? L’obiettivo della Russia in questa guerra è quello di liberare le sue zone limitrofe dagli agenti dell’Occidente, per non consentire il sorgere sui suoi confini di teste di ponte delle forze ostili.
L’obiettivo dei Ceceni in questa e in tutte le guerre precedenti è la protezione del proprio modo di vita tradizionale. Il Cremino deve realizzare che il compimento dello scopo ceceno porterà automaticamente al compimento del proposito russo, in quanto la natura della società tradizionale è tale che essa non accetta i valori despiritualizzati dell’Occidente, e i Ceceni non permetteranno mai che la loro terra sia trasformata in una testa di ponte atlantista.
Così, Ceceni e Russi possono procedere nelle loro relazioni bilaterali dalla logica del commune nemico alla logica dello scopo commune. Allora un teatro di pace combinato con la stabilizzazione della situazione nel Caucaso condizionerà e darà l’avvio all’integrazione di tutta l’Eurasia.
Avendo sfidato la globalizzazione, avendo posto prima di se stessa la questione del ritorno ad un mondo multipolare, la Russia obiettivamente agisce nell’interesse di tutti i popoli dell’Eurasia. Il passo seguente è logicamente inevitabile: la Russia, appoggiandosi sull’ideologia dell’eurasismo, lancerà un processo di consolidamento dei popoli del nostro antico continente. Ma, per questo consolidamento, avere una visione del mondo forte, l’ideologia eurasista, deve, a mio avviso, portarci decisamente fuori dallo specifico contenuto geopolitico a beneficio del tradizionalismo.
Perché la penso in questo modo?
Ci sono due strategie che la Russia può opporre all’espansione delle forze atlantiche.
La prima, quella geopolitica, è già stata collaudata durante la guerra fredda. Essa consiste in un sistema di “equilibrio dinamico”, di “sfide” e “risposte”simmetriche. L’essenza di questa strategia è di conservare la parità con le forze atlantiche in tutti gli aspetti della competizione militare e tecnico-scientifica imposti dall’Occidente; l’Unione Sovietica – pur avendo risorse molto superiori e ritrovandosi in una situazione geopolitica più “vincente” rispetto alla Russia attuale – agendo simmetricamente, non poteva sostenere questa competizione ed è stata portata al collasso. Non vi è nessun dubbio che lo stesso destino attenda anche la Russia, se essa seguirà questo percorso.
La seconda strategia, fondata sull’ideologia dell’eurasismo, include tutte le condizioni indispensabili perché la Russia possa reggere ed ottenere il successo nella sua opposizione all’Occidente.
L’Occidente vince dovunque ci sia un’affermazione delle istituzioni sociali liberal-democratiche che abbia portato all’assolutizzazione di valori despiritualizzati, puramente consumistici. Questa è la via del cosiddetto sviluppo “democratico”.
Riconoscendo che i valori tradizionali non possono coesistere con la democrazia occidentale, il solo modo adeguato di opporsi all’Occidente dal punto di vista dei valori diviene il ritorno all’autoritarismo tradizionale, eurasiano.
Capisco che il termine “autoritarismo” suoni male, dal momento che esso genera associazioni con totalitarismo. Ma il sistema totalitario – che atomizzando la gente, cancellando i suoi valori religiosi e nazionali prepara essenzialmente la “materia prima biologica” per la democrazia, per la società dei consumi – non ha nulla in comune con l’autoritarismo di tipo eurasiano che mirava a rivivificare le eredità spirituali, l’autocoscienza religiosa e nazionale dei popoli.
Quando parlo di eurasismo, io implico la tradizione, che è il rivivere dell’eredità sacra di tutti i popoli che discendono da un’unica radice eurasiana. Quando parlo di “autoritarismo di tipo eurasiano”, implico un governo autoritario, i cui vettori principali sono orientati al risveglio dei valori tradizionali. Proprio questo orientamento alla tradizione crea anche la garanzia affidabile che l’autoritarismo eurasiano non degenererà mai nel totalitarismo irreligioso.
Vi è per la Russia un’altra qualsiasi possibilità di salvare la propria originalità, di non diventare una “riserva di materie prime” per l’Occidente e un mercato per beni a buon mercato, ecologicamente scadenti? No, perché le deboli dinamiche di una civiltà di terra – com’è quella della Russia – nonostante tutti gli sforzi, non possono competere con le forti dinamiche di una civiltà di mare.
Seguendolo nella direzione del modernismo, ma cedendo all’Occidente sul passo dello sviluppo, la Russia è destinata ad essere sconfitta nella corsa tecnologica, spendendo infruttuosamente le sue risorse, i suoi mezzi e i suoi sforzi. In più, questa corsa senza senso comporta la rovina del territorio, la perdita del sentimento del “prossimo”, che è il principale contenuto spirituale di tutte le religioni monoteistiche. Voglio ripetere ancora che solo una lotta a livello dei valori, solo il risveglio delle tradizioni religiose e nazionali, solo l’ideologia del tradizionalismo può non solo fermare l’espansione dell’Occidente, ma anche fornire potenti mezzi per vincerlo.
L’Occidente, in particolare la sua guida – gli USA, rappresenta un esempio di dominio totale dello stato, ha portato all’automatismo di un sistema politico in cui il “fattore umano” è considerato un niente. Questo è spiegato dal fatto che ogni individuo è schiavo del corpus delle leggi dello stato, non pensa autonomamente ma automaticamente agisce secondo le categorie di queste leggi. Esso manifesta una piena corrispondenza tra la forma (lo stato democratico) e il contenuto (la massa atomizzata della società civile).
Nel confronto con il sistema politico della “dittatura della legge” del Mondo Nuovo, l’arcaico Vecchio Mondo che l’ha generato è destinato a trascinarsi e ad essere sconfitto. Perché in quest’ultimo le tradizioni nazionali e religiose svolgono ancora un ruolo esistendo al di fuori del terreno delle leggi ufficiali ed entrando spesso in contraddizione con il modernismo. Il Mondo Nuovo è andato avanti per la tortuosa strada del progresso, essendosi liberato di tutti i residui arcaici, distruggendo la vita esteriore ed interiore dell’uomo.
La liberazione dai “limiti” delle tradizioni – un lento procedere nel progresso – può dare il successo alla Russia e agli altri paesi eurasiani nel confronto tecnologico con l’Occidente? Io ritengo di no: primo, non è facile “liberare” i popoli dai “limiti del passato”, se i popoli considerano questo passato un lascito sacro, un’essenza nazionale e religiosa, un segno principale della propria identità, e, secondo, lo sradicamento di questi “residui” è possibile solo avendo fatto propri i valori consumistici occidentali, e in questo caso quel popolo andrà a prendere il suo posto tra i vassalli dell’Occidente ed eseguirà rispettosamente gli ordini e le “raccomandazioni” di Washington, - che rimane in questo caso il solo leader.
Che cosa accadrebbe se il Vecchio Mondo, o più concretamente la Russia, rinunciasse alle regole della dinamica, alla corsa tecnologica, in favore delle regole della statica? Esaminiamo la questione in modo più dettagliato. Primo, la Russia libererebbe gli enormi mezzi che vengono spesi nelle “corsa tecnologica” con l’Occidente e potrebbe impiegarli nelle branche realmente rilevanti per il popolo: per il recupero dell’agricoltura, ora in crisi permanente, per il recupero ambientale del territorio, per progetti microeconomici diretti al risveglio della campagna.
Credo che molti Russi esprimeranno la loro paura che, avendo rifiutato il progresso tecnologico, la Russia rimarrebbe senza difese di fronte alla potenza militare dell’Occidente. Ma questi timori sono completamente infondati per due ovvie ragioni.
In primo luogo, l’Occidente, incontrato il rifiuto da parte della Russia e dei suoi partner eurasiani di partecipare alla tecnologia militare, perde il suo principale argomento di “minaccia” – con l’ausilio del quale vengono accumulati mezzi ingenti a scopi militari, raccolti dai contribuenti intimiditi dall’immagine della Russia come “eterno”, “imprevedibile” nemico. La nuova posizione assunta dalla Russia e dai paesi eurasiatici – il rifiuto della proliferazioni delle armi, la protezione dell’ecologia e delle famiglie – creerà un forte movimento dissidente in Occidente. Così l’ideologia eurasista si diffonderà ovunque esiste ancora l’aspirazione a salvare i popoli ed il loro ambiente vitale dall’influenza distruttiva dei ciechi meccanismi del progresso. In secondo luogo, nei primi tempi, in cui l’ideologia eurasiana non porterà frutti tangibili, la Russia conserva il suo arsenale nucleare, in grado non solo di fornire una difesa affidabile per se stessa, ma anche di difendere tutti i suoi alleati eurasiani.
E’ difficile elencare in un breve discorso tutti i vantaggi e i valori che saranno apportati alla Russia dalla rinuncia alla corsa tecnologica con l’Occidente. Il recupero ambientale del territorio e il risanamento del suolo sono le prime, fondamentali conquiste che otterrà la Russia, avendo cessato di svolgere i ruoli imposti dall’Occidente. Il ritorno alle tradizioni religiose e nazionali non sarà solo la migliore protezione effettiva dalla despiritualizzazione occidentale, ma anche il mezzo per ottenere il favore dell’Altissimo, per ottenere il paradiso. E questo è lo scopo finale di coloro che credono, considerando la vita mortale come una prova, solo lo stadio spazio-temporale del percorso diritto dall’eternità all’eternità.
Disegnando la sua strategia nei confronti dell’Occidente, della civiltà del Mare, la Russia deve partire dalla comprensione della sua natura continentale. La terra non ha e non può avere quelle intensissime dinamiche peculiari al Mare. Ogni tentativo di indurre la Terra al dinamismo del Mare porterebbe ad un solo risultato – l’intrusione del Mare nella Terra, il diluvio virtuale dei valori, sotto il quale tutte le originalità dei popoli, tutti i loro valori tradizionali scomparirebbero. La Terra, soggetta agli scuotimenti ed alle oscillazioni dei valori, è destinata all’inondazione da parte della civiltà del Mare. Al fine di sentirsi stabile e sicura, essa dovrebbe liberarsi dal paradigma binario della geopolitica fondato sulle dialettiche “Terra – Mare”, e procedere verso un paradisma trinitario del tradizionalismo eurasiano, fondato sull’ordine di “Montagna – Terra – Mare”. La propensione a quest’ordine è dettata dal Sacro Corano: «Sulla terra abbiamo stabilito una solida roccaforte di montagne, così che essa non vacilli...» (21:31).
Una potenza di natura continentale, quale è la Russia, avendo deciso di contrastare la civiltà del Mare, deve fare una scelta: o essere guidata dalle dinamiche del Mare e obbedire alle forze atlantiste, o essere guidata dalla natura statica delle montagne, e vincere. Avendo deciso di condurre la sua lotta con l’Occidente al livello dei valori, con le regole eurasiane, la Russia ha già fatto una scelta a beneficio della statica, a beneficio della tradizione. Le tradizioni sono statiche, esse sono montagne. Come le montagne consolidano la Terra, non permettendole di essere scossa, così la tradizione consolida la coscienza dei popoli. Il popolo che vive secondo le tradizioni conosce esattamente come comportarsi in questa o quella situazione della vita. Esso agisce come agivano i suoi padri, rifà il sentiero degli antenati, perché vi è una stabilità, vi è un percorso al paradiso. Le tradizioni creano uno stabile sostegno per la vita sociale, non permettendo agli animi umani di essere afferrati da effimere passioni.

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Lo scettico potrebbe chiedere da dove viene una tale fiducia. Io so che l’attuale élite di potere russa rifiuta essenzialmente il modello di vita liberal-democratico e realizza con chiarezza che l’Occidente atlantico, se non il nemico, è l’oppositore, e che l’Oriente eurasiano è l’alleato. E’ possibile convincersi di ciò, dopo aver analizzato i “punti di orientamento eurasista” nelle iniziative estere del governo russo, la sua marcata attenzione per i religiosi, la sua politica di risveglio dell’asse “Mosca-Caucaso-Teheran” come contrappeso strategico all’asse “Washington-Caucaso-Tokyo”. E’ possibile convincersi di questo avendo interpretato le eccezionali dichiarazioni del presidente russo a Rostov sul Don nel novembre dello scorso anno, quando egli ha sottolineato che lo status della Cecenia non ha importanza, una volta che il suo territorio non serva da testa di ponte per il nemico.
Vorrei essere capito bene. Io non faccio parte di quei Ceceni “pacifisti” che fanno appello alla Russia ed alla comunità mondiale per il ristabilimento in Cecenia di una pace qualsiasi. I Ceceni non hanno bisogno della “pace ad ogni costo”; è possibile pagare qualsiasi prezzo solo per valori assoluti, e solo in questo io vedo l’unica ragione per combattere. Naturalmente noi combattiamo per vincere, per difendere la nostra religione e il nostro modo di vita. Ma in questa guerra, non siamo interessati alla sconfitta della Russia, perché se la Russia perderà, al cambio del presente governo russo - che ha seguito una politica di resistenza all’infezione democratica, disastrosa per la Russia e per tutti i suoi vicini, compresa la Cecenia – giungeranno i sostenitori dell’occidentalizzazione, nemici del tradizionalismo, veramente religioso e nazionale.
Mi aspetto una domanda sul wahhabismo, su quell’ideologia che minaccia il tradizionalismo ceceno dall’interno.
La conoscenza della letteratura e delle pubblicazioni religiose prova che nel mondo non esiste nessuna comprensione autentica né dell’Islam tradizionale, né di quell’ideologia chiamata oggi “wahhabismo”. Sottolineo subito che Wahhab è uno dei nomi sacri del nostro Creatore, che non può essere menzionato sai musulmani in definizioni politiche; di conseguenza da questo momento io userò i termini “ikhvanismo”, “ikhvani”, che sono anche chiamati “fondamentalisti”.
Veramente, Islam fondamentale, intentendo con esso l’Islam coranico, è una religione di comunità consanguinee, essendo queste la cellula base della struttura tribale del popolo. Una simile situazione sociale di Islam noi la scopriamo anche in molti espliciti dettati del Corano, e nella loro realizzazione pratica nella ummah di Medina del profeta Muhammad (a.s.s.)., e anche nella ummah, guidata dai primi quattro retti khalif (possano essi essere graditi ad Allah). Ho illustrato con maggiori dettagli tali questioni in alcuni speciali lavori, ed ora caratterizzerò brevemente il contenuto sociale della ummah, rispecchiato nella Costituzione di Medina compilata dal Profeta (a.s.s.):
1. funzioni di “arbitrato” del Profeta (a.s.s.) o dei suoi khalif a capo della ummah, organizzata come una confederazione tribale, ogni soggetto della quale vive “secondo le usanze”, con il completo autocontrollo delle comunità consanguinee;
2. consanguineità della comunità come unità base della società islamica;
3. stretta osservanza del principio di responsabilità sociale (collettiva), come fondamento dell’ordine della legge teocratica.
Se noi lo convertiamo nei postulati dello ikhvanismo, scorgeremo un varco radicale verso questi principi:
1. rigida subordinazione dei leaders di vario livello al principio territoriale (stato) che struttura l’organizzazione ikhvanista;
2. l’individuale come unità base dell’organizzazione politico-territoriale;
3. assolutizzazione giuridica del principio della responsabilità individuale, come fondamento dell’ordine della legge civile.
Perciò non è corretto definire lo ikhvanismo “Islam fondamentale” –
Ovviamente è in pratica un “nuovo Islam”. E’ utile osservare qui che esattamente il cosiddetto Islam tradizionale è nei fatti un Islam rinnovato, e ha generato il nuovo Islam.
La fratellanza di sangue, che è sacra per l’Islam, è stata sostituita dagli ikhvans (“fratelli”) da un legame ideologico, “jamaat”. In alter parole, al posto del legame di consanguineità naturale, consacrato dall’autorità del Corano e della Sunna del Profeta (a.s.s.), che ha creato una comunità unita di musulmani, gli ikhvanis hanno posto un’organizzazione che non può essere distinta in nulla dalle organizzazioni statali, eccetto che per una rigida disciplina “da caserma”.
Molto probabilmente – come movimento che non solo replica il principio statalista nella sua struttura organizzativa, ma dichiara anche apertamente il suo tentativo di costruire uno “stato islamico” – lo “ikhvanismo” è irrimediabilmente ostile alle strutture consanguine e tribali che sono agli antipodi dello stato. In ciò sta tutta l’essenza del conflitto tra l’Islam tradizionale, fondamentale, professato dai Ceceni e il “nuovo Islam” introdotto nella nostra terra dagli emissary dello “ikhvanismo”.
Ma questo conflitto compare solo in tempo di pace, quando le questioni della sistemazione sociale della Cecenia divengono effettive. In tempo di guerra questo conflitto scompare, perché tutti I segmenti della Resistenza agiscono come una forza unita in vista di una comune missione sacra. Qui ancora non si fa attenzione da quali principi e sigle i combattenti della Resistenza siano uniti: da “jamaat” o dal sangue. Dicendo che coloro che combattono in Cecenia contro l’esercito russo sono ikhvani, la propaganda russa aumenta la loro popolarità, mentre coloro che combattono non sono ikhvani ma Ceceni, personalità giuridiche formatesi nelle loro comunità consanguinee.
L’Islam tradizionale in Cecenia è stato preservato nella struttura tribale della nazione cecena ed è impossibile cancellarlo o riviverlo pienamente senza la distruzione o la rivivificazione della gerarchia tribale e consanguinea del popolo. Al di fuori di tale struttura nessuna corrente islamica può evitare di essere più o meno distorta. Là, dove l’Islam tradizionale viene abbandonato e i legami di sangue sono disintegrati, crescono le circostanze favorevoli per il “nuovo Islam” – lo ikhvanismo. «Un luogo sacro non è mai deserto».
Come può sembrare paradossale alla maggior parte dei presenti, proprio all’interno del mondo islamico in Cecenia vi sono le condizioni meno favorevoli perché lo ikhvanismo metta raduci. Questo perché ancora oggi i Ceceni la maggior parte delle forme tradizionali di vita sociale.
Gli ikhvani ceceni, a causa della perdurante guerra e del suo contorno propagandistico, sono apparsi al centro dell’attenzione universale. In effetti, nelle regioni islamiche della Russia, ad esempio, esistono condizioni molto più favorevoli per l’espansione ed il rafforzamento dello ikhvanismo, dopo che in quelle regioni, come dovunque nell’ex URSS, sotto l’influenza delle politiche comuniste antinazionali ed antireligiose, era state interrotte le forme naturali, comunitarie di vita sociale – e di conseguenza il risveglio religioso è canalizzato non dall’Islam tradizionale, ma dal “nuovo Islam” ikhvanista. E questo illustra chiaramente l’essenza dello ikhvanismo come fonte di modernismo. Perciò non c’è niente che possa essere efficacemente opposto all’ideologia ikhvanista, a parte l’ideologia del risveglio del puro, tradizionale Islam con i suoi contenuti comunitari consanguinei. Questo è un comune obiettivo sia per le comunità nazionali che per le organizzazioni tradizionali islamiche, tra cui il Consiglio Centrale Spirituale dei Musulmani.
Il Consiglio Spirituale dei Musulmani di Russia potrebbe usare la propria autorità, le connessioni con i circoli governativi, lo status di entità ufficiale all’interno della struttura dello stato, al fine di agire come promotore e intermediario del processo di negoziazione del Caucaso. Un grande passo positivo dovrebbe essere il coinvolgimento in questo processo anche della Chiesa Ortodossa Russa. La cooperazione tra Islam e Cristianesimo, storicamente associati ad una posizione di mutua ostilità, dovrebbe convertire questo impulso verso il processo di pace in Cecenia nell’inizio di una rivoluzione spirituale sull’intero continente eurasiano. Se fino ad ora i democratici dalle strutture legali liberticide, come l’OSCE, agiscono come intermediary nel conflitto russo-ceceno, noi non abbiamo la possibilità di conquistare la pace attraverso la mediazione di figure religiose dell’Islam e dell’Ortodossia, che hanno dimostrato le grandi potenzialità pacificatrici delle religioni monoteistiche. Questo passo sarebbe un grande riconoscimento delle nostre religioni, sarebbe il vettore verso risveglio del tradizionalismo, verso l’unione della quale ho parlato, del sud islamico con il nord ortodosso, sarà il fondamento dei valori per l’integrazione non solo dei popoli eurasiani, ma anche di tutti i popoli della Terra, sarà il disastro e la sconfitta irreversibile del globalismo. Senza esagerazioni, questo diverrà il punto di svolta della tragica storia dell’umanità, carica di guerre ed inimicizie, una svolta verso la vita nella terra di Dio, sotto le leggi di Dio. Mi sono impegnato con queste idee anche nel testo dell’iniziativa di pace, che potete trovare nel mio libro «Vedeno o Washington?».
Così, la funzione del mufti può svolgere un potente ruolo nell’impegno dell’integrazione eurasiana, contribuendo al dialogo con il patriarcato ortodosso e all’elaborazione di un programma a lungo termine per l’opposizione allo ikhvanismo.
Per opposizione allo ikhvanismo, io intendo che i popoli musulmani di Russia, sfortunatamente, nella maggior parte dei casi, non hanno salvato che lo “scheletro” strutturale della consanguineità, parzialmente tribale che crea nella nazione cecena una “immunità” naturale contro lo “ikhvanismo”. Ma la figura del mufti di tutte le regioni musulmane russe può capire che il tallone d’Achille dell’ideologia ikhvanista può diventare solo il predicato del legame della consanguineità, la sua sacralità, sottolineata nel Corano. Contro questa ragione, lo ikhvanismo non ha e non può avere argomenti, e la sua incoerenza con l’Islam coranico diventerà evidente.
Noi dobbiamo capire che la lotta va diretta non contro gli “ikhvanisti”, che già ammontano a decine di migliaia tra le popolazioni musulmane di Russia, ma contro lo “ikhvanismo”, esponendo agli occhi dei giovani coinvolti in esso, tutta la ripugnanza verso il carattere generale del puro,coranico Islam, di quei postulati dello ikhvanismo che essi presentano come “fondamentalismo”. Ciò che è necessario non è uccidere gli ikhvanisti, ma condurre una lotta totale contro lo ikhvanismo, che è l’ideologia.

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Una domanda può apparire: perché durante i tre anni di guerra non si è risvegliata in Cecenia la società tradizionale? Il fatto è che il governo ceceno era impegnato non verso di essa, ma nella costruzione dello stato.
Sono certo che il concetto espresso nella relazione, che è pienamente esposto nel mio libro «Tra Vedeno e Washington», sarà oggi accettato da tutti I combattenti ceceni, compresi gli ikhvanisti. Prima ho già spiegato il perché. Sono altrettanto sicuro che il concetto proposto troverà una risposta positiva anche in Russia.
Non ho nessun dubbio che il mio programma è il solo percorso per la protezione del mondo multipolare e la ripresa dell’ordine naturale, nel quale la natura non è un’officina, ma un tempio, e l’uomo in essa - non un operaio, non un robot senz’anima, ma un servitore di Dio. Perché sono certo che il mio programma sarà accettato da ciascuno: sia dai Ceceni che dai Russi e dagli altri popoli eurasiani? Perché è fondato sulla verità. Perché sono convinto di questo, che cos’è questa verità? Perché è conforme con lo spirito e con la lettera di tutte le Scritture monoteiste.

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Ma l’hadith del Profeta (a.s.s.) dice che dobbiamo aspettarci l’aiuto di Allah. Io penso che questo aiuto sia vicino, perché sempre più popoli in Eurasia e in tutto il mondo inizio a capire che il sentiero della salvezza in questa vita e in quella eterna è segnato dal motto «salvezza della terra e guarigione dell’anima», e che noi non dobbiamo distruggere, ma salvare il centro della vita tradizionale che i ceceni difendono sulla loro terra. Con la scomparsa di questo centro, scomparirà anche l’esempio vivente dell’unità inseparabile dei valori religiosi e nazionali stabilita nell’accordo concluso tra l’Altissimo e il profeta Noah (sia pace di lui). In questo caso verrà definitivamente perduta l’arca dell’alleanza salvatrice dell’umanità – fondamento tradizionale della vita sociale mantenuta dal popolo di Noya (Noh-chi).
Sono realista e comprendo perfettamente il tipo di mondo in cui viviamo. Perciò, io non invoco i popoli a distruggere gli stati in modo rivoluzionario. Ne risulterebbe il caos, in quanto sarebbe la perdita dei legami di consanguineità e del sistema tribale. Per questo è necessario seguire una via graduale, che sia orientata al risveglio delle tradizioni religiose e nazionali. Primi fra tutti, i popoli slavo, turco e iraniano, che hanno visto nel Caucaso un solido legame di unione tra Nord ortodosso e Sud islamico, e poi anche l’integrazione pan-eurasiana, può creare unificazione contro la civiltà del Mare, nella Confederazione Eurasiana degli Stati Autoritari.
La fase seguente, alla quale ci condurrà un approfondito tradizionalismo, è la creazione della genuina Organizzazione delle Nazioni Unite, in cui i soggetti non saranno più gli stati, come nell’attuale ONU, ma popoli che vivono secondo le loro tradizioni. E’ il percorso verso la ricostruzione della comunità del nostro Profeta (a.s.s.), in cui tutti i popoli e la fedi possono vivere nella pace e nella concordia. E forse, la conferenza di oggi è il primo passo per la realizzazione di questo proposito salvifico e gradito a Dio.
Grazie per la vostra attenzione!

Discorso di ALEKSANDR G. DUGIN, leader del Movimento "EURASIA"

Vorrei dire innanzi tutto che aver scelto questo momento per organizzare la conferenza non è casuale. Alcuni scopi dell’idea evincono dalla nostra politica internazionale. La presente dottrina russa di politica estera rappresenta concettualmente un modello di “pensiero di transizione”, Perciò è di estrema rilevanza elaborare proprio ora alcune fondamentali raccomandazioni strategiche, basate su di un serio approccio scientifico, geopolitico, religioso ed etnologico, al fine di dare un orientamento definito in questo mondo complesso ed in costante cambiamento in cui si trova oggi la Russia.
Il numero di nuove sfide oggi di fronte alla leadership russa è grandissimo. Di queste sfide ci ha parlato nel suo documento profondo ed esaustivo il rispettabile Talghat Tajuddin; si riferisce ad esse anche il messaggio di saluto di Gennady N. Seleznev. Queste sfide sono di una nuova natura. Quale può essere la risposta della Russia? Potremmo dire che al presente (forse come conseguenza delle condizioni storiche) la leadership russa non ha una chiara rappresentazione di questo dato di fatto. E questo perché i nostri passi in politica estera sono in un certo modo incoerenti. E’ assolutamente chiaro che siamo orientati verso un mondo multipolare e verso la conservazione del nostro status di grande potenza. I nostri passi concreti soffrono ancora di una certa confusione, quando si tratta di interessi geopolitici definiti.
Molto indicativo in questo senso è il modo in cui nella Russia contemporanea si sta formando l’atteggiamento verso gli stati islamici, e il tipo di politiche adottate dai vertici russi in relazione all’Islam all’interno del nostro paese. E’ utile analizzare ciò dal punto di vista della diplomazia “fondamentale” o, se preferite, “profonda” (in analogia alla “psicologia profonda”).
Nel “pensiero internazionale” contemporaneo della leadership russa esistono tre tendenze.
La prima è quella del modello inerziale “sovietico” di relazioni verso il mondo circostante. Questa è una cosa ovvia, dal momento che la maggior parte dei nostri leaders ha operato in varie istituzioni sovietiche. Non è sorprendente che essi abbiamo mantenuto un’inclinazione sistematica a vedere la situazione mondiale proprio secondo il paradigma “sovietico”.
Nel caso delle relazioni russe con i paesi del mondo islamico, questo vuol dire sostegno ai paesi con un Islam moderno e non fondamentalista, orientato in “senso sociale”, cioè ai paesi arabi del “socialismo islamico” - Iraq, Libia, Siria, e un tempo Egitto.
La seconda tendenza si è formata negli ambienti del Ministero degli Esteri russo durante il periodo delle “riforme liberali”. Essa può essere definita come “atlantismo conseguente”. La Russia si sarebbe volutamente declassata come protagonista attiva sull’arena mondiale, preferendo seguire la scia della politica estera americana. Voglio insistere: proprio Americana, non semplicemente “occidentale”, dal momento che il mondo unipolare incentrato sull’America non lascia all’Europa nessun diritto ad una propria soggettività. Il significato della Russia in questo modo viene ridotto ad un ruolo esecutivo di “co-sponsor” ovunque ciò le sia richiesto. Questa tendenza (dimostrata, ad esempio, in alcuni casi di raffreddamento tra la Russia e certi “stati canaglia”, come li chiamano gli Americani, comprendendo alcuni stati arabi) sta ormai diventando una cosa del passato.
Oltrepassando le prime due tendenze, ecco la terza: la dottrina internazionale eurasista del mondo multipolare, che prende in considerazione una situazione internazionale completamente nuova ed una fondamentale regolarità geopolitica. Questa dottrina sta diventando più forte; è ora considerata con crescente interesse dai rappresentanti della leadership russa. La sua traccia è evidente in molte scelte recenti di politica estera del Presidente Putin; ed anche il corso politico che punta alla costruzione di un mondo multipolare deve essere riconosciuto come eurasista. E’ troppo presto, comunque, per parlare della vittoria finale del modello eurasista…
La concezione di mondo multipolare merita una speciale attenzione. Un mondo multipolare è qualcosa che non è mai esistito prima. Non è il mondo bipolare dei tempi della “guerra fredda”. Né è il mondo unipolare che viene offerto dall’orientamento filoamericano. Il mondo multipolare è un sinonimo della politica internazionale eurasista.
Al presente, il mondo multipolare si trova nella sua fase evolutiva. Durante la preparazione della nostra conferenza, I principali rappresentanti di molti stati islamici erano specialmente dispiaciuti che la Russia mancasse di una netta, coerente politica nei confronti del mondo islamico. Ma è moa profonda convinzione che la logica degli avvenimenti sosterrà il processo di formazione di una piattaforma internazionale eurasista, che – a mio giudizio – è il solo strumento (anche dal punto di vista concettuale) in grado di dare un’adeguata risposta alle sfide dei nostri tempi.
Un vivido esempio dell’approccio eurasista nelle relazioni tra la Russia e i paesi islamici è dato dalla improvvisa attivazione di relazioni russo-iraniane.
Se noi giudichiamo lo sviluppo delle relazioni russe con i paesi arabi del “socialismo islamico” come un elemento di “inerzia sovietica” nelle politiche estere russe, e il rifiuto di una partnership costruttiva con gli stati islamici come un residuo del decennio liberal-riformista (fortunatamente concluso o prossimo alla fine) – allora il dialogo russo-iraniano attesta il sorgere in Russia di un corso politico autonomo, basato sull’idea di un mondo multipolare e rispondente ai nostri interessi nazionali.
Questi tre elementi specificati (qualsiasi sia la loro combinazione) stanno ora esercitando la loro influenza sulla politica estera russa. Una volta messo in mente questo concetto, divengono comprensibili molte azioni ingiustificabili o sbagliate della leadership russa in tempi recenti. Sono comunque profondamente convinto che con il nostro nuovo Presidente, che valuta in modo obiettivo i fatti mondiali, il processo in cui le politiche russe assumono il loro “volto eurasista” troverà molto presto la sua strada.
Il modello della dottrina eurasista in politica estera, è strettamente lagato alla geopolitica e basato su precisi principi geopolitici. Dobbiamo ammettere che la geopolitica non è semplicemente la politica internazionale che tiene conto degli elementi di forza, come viene talvolta descritta dalle persone poco competenti in questa disciplina. La geopolitica è una metodologia piuttosto sviluppata. E’ una scienza che si evolve in modo dinamico. Ad esempio, essa domina la coscienza strategica americana degli ultimi decenni. Diciamo che “La grande scacchiera” di Brzeszinski merita estrema attenzione (sebbene alcuni politologhi americani sostengano che essa esprime solo l’opinione di una parte dell’establishmente americano). Negli USA, se non siete in possesso di competenza geopolitica, non potete, in linea di principio, mantenere nessuna seria posizione strategica. Spero che molto presto la Russia si metta in pari con l’America sotto questo aspetto, dal momento che senza il pensiero geopolitica, noi non possiamo comprendere questo mondo complesso in cui viviamo.
Il pensiero geopolitico è collegato ad un preciso dualismo – rappresentato da due tipi di civiltà: la “civiltà del mare” e “la civiltà della terra” o, in alter parole, la civiltà eurasiana (collegata alla terra) e la civiltà atlantica (collegata al mare). Questo dualismo di civiltà si mostra nelle guerre puniche tra Cartagine e Roma, nella lotta tra Sparta e Atene; nella lotta tra la tradizionalmente continentale Russia e la marittima Inghilterra; e, a metà del XX secolo, nel confronto da una parte tra l’URSS ed i suoi alleati, e dall’altra gli USA e la NATO.
La storia del mondo conferma l’esistenza di due tipi di civiltà, che – a livelli diversi, in differenti modelli sociali, formazioni ideologiche, coperture politiche – costituiscono una definita costante storica legata a uno spazio qualitativo. Questo è il fondamento delle leggi della geopolitica. Una volta compreso questo, una volta che cominciamo a leggere la situazione internazionale secondo le categorie geopolitiche, allora appare in noi stessi un nuovo sistema di coordinate, già indipendenti sia dalle ideologie, che dalla concreta religione e da ogni forma definita di sistema politico. La geopolitica introduce il suo indice nei modelli politici (ecco perché, ad esempio, noi possiamo parlare di democrazia eurasista o atlantista), nei paradigmi culturali, nella religione.
Forse questa è la cosa più difficile – vedere che i principi della geopolitica agiscono in una sfera così profonda e sottile come la religione. Ciononostante, è così.
Se noi richiamiamo la storia della Chiesa Cristiana, noi otteniamo la brillante e, se vi va, più evidente illustrazione del principio del dualismo geopolitico.
L’uniforme tradizione cristiana, essendo diventata la religione ufficiale dell’Impero Romano sotto Costantino il Grande, diviene storicamente scissa in due direzioni: la ortodossa, orientale, che può essere definite come la direzione eurasiana della Cristianità (forse questo chiarisce l’interesse per la geopolitica da parte delle gerarchie della Chiesa Ortodossa Russa), e la “Cristianità atlantica” dall’altra, incarnata nel Cattolicesimo e nel Protestantesimo.
Forse all’inizio vi apparivano solo piccole omissioni e trascuratezze nella formulazione dei dogmi cristiani. Dal di fuori esse sembravano anche prive di significato, rispetto alle differenze tra i riti delle Chiese ortodosse di alcuni paesi. Ciononostante, noi ci troviamo di fronte al conflitto di civiltà tra Occidente cristiano e Oriente cristiano, che dura da oltre 1200 anni.
Quando il Patriarca ha una reazione di dolore alla visita del Papa di Roma in Ukraina, è perché quella visita è una sfida alla geopolitica ortodossa, alla nostra tradizione. In effetti, essa è un atto di aggressione geopolitica.
L’assalto, l’aggressione sembra differente a seconda delle differenti strutture. Esso si presenta in un certo modo nella sfera militare, in un altro nelle relazioni personali, e, ad esempio, non è così evidente nelle aggressive operazioni di marketing o nell’impari competizione contro un popolo straniero. E’ possibile parlare di specifica aggressione nella sfera religiosa. In questa logica, la visita del Papa nel territorio canonico della Chiesa Ortodossa Ucraina è un tipico atto di aggressione da “Cristianesimo atlantista”…
Così l’indice geopolitico riferito a tale o talaltra tradizione religiosa, dà dei modelli assolutamente differenti di civiltà. Uno incarnato nella società russa, nella civiltà dell’Europa orientale, l’altro nella civiltà occidentale. E tra di essi, nonostante il loro comune background cristiano, non vi è niente di niente in comune.
Seguendo il criterio di questa geopolitica “profonda”, è possibile definire che cosa si possa chiamare principio continentale o eurasiano nella religione. Generalizzando al massimo, si può definirlo come atteggiamento tradizionalista (il che implica contemplazione, assorbimento nell’interiorità, aspetti mistici). Queste caratteristiche sono pure distintive dell’Ortodossia russa, in cui alle questioni della vita ordinaria viene dato un grado di attenzione significativamente minore.
La mancanza di corrispondenza tra la Cristianità orientale e quella occidentale è stata magnificamente illustrata dal grande pensatore ortodosso Mikhail Dostoyevsky nella sua «Leggenda del Grande Inquisitore», che descrive acutamente il Cattolicesimo romano e più in generale il modello occidentale “atlantista”.
In questo modo, noi possiamo parlare dell’esistenza nella religione di un definito approccio geopolitica eurasiano, molto sottile e contemplativo, che risulta nell’aperta, profonda tradizione eurasista incarnata nella Grande Ortodossia. Dall’altra parte, la tendenza verso la vita profana della “Cristianità atlantista”, che attraverso il Cattolicesimo e il Protestantesimo (dove virtualmente scompare qualsiasi dimensione spirituale) dà spazio alla rappresentazione della migliore organizzazione della vita materiale.
Un analogo modello di indice geopolitico può essere applicato anche alle alter religioni. Noi scopriamo un’assoluta rassomiglianza, un’assoluta conferma strategica di questo modello anche nel dualismo che esiste nel mondo islamico…
Il mondo islamico ha il proprio dualismo geopolitico. Esso non è sottolineato ed espresso così chiaramente come nel caso della cristianità. Tuttavia, usando lo stesso criterio tipologico, vediamo che vi è uno specifico Islam eurasista. (profondo, contemplativo, mistico, che non dà eccessiva attenzione agli aspetti ordinary della vita). Possiamo chiamare Islam eurasista – analogo all’Ortodossia o Cristianità eurasiana – la direzione mistica shiita, il Sufismo in tutte le sue forme, i differenti modelli di tradizionalismo islamico (che non esclude, al contrario include nelle sue caratteristiche le pratiche spirituali di quei popoli tra cui l’Islam la sua affermazione). Questo tipo di Islam non deve essere necessariamente tollerante, umano. Ma proprio questo Islam eurasista contiene profondamente, in modo evidente, il principio della multipolarità, dal momento che ogni genuina spiritualità presuppone una soluzione non definitiva delle questioni razionali esteriori. E dopo i problemi della vita ordinaria rimangono fino ad un certo punto aperti, non può esistere il totalitarismo.
La Cristianità ortodossa eurasiana è una Cristianità antitotalitaria, una Cristianità che permette la realizzazione di una Comunità Ecclesiale a più voci, di una Cristianità aperta e contemplativa.
Esattemente allo stesso modo, l’Islam eurasista è aperto, contemplativo, multipolare, antitotalitario e tradizionale.
A sua volta, esso è in opposizione con la forma estrema della madhhab Hanbalita, tra cui sono sorti il wahhabismo e altri modelli ereticali, incarnati nella dottrina della setta “Tabliq” e di altri movimenti salafyi o ikhvanisti (secondo alcuni storici).
Questo Islam è atlantista per la sua natura interna, come atlantiste sono le forme occidentali della Cristianità. Esso inoltre ignora il lato divino dell’uomo, rifiuta la contemplazione e la multipolarità, impone a tutti la sua pratica unidimensionale, piatta, puramente ritualistica, primitiva. Non incidentalmente, gli stessi stati in cui questo Islam “protestante”, “atlantista” viene professato scelgono i loro partners geopolitici tra i rappresentanti di quella Cristianità “protestante”, “atlantista”. Oggi noi siamo testimoni di questa unità paradossale a prima vista, ma in realtà assolutamente logica e assai fondata.
Io non sono un teologo musulmano; non posso giudicare l’Islam dall’interno. Sto parlando come geopolitologo, discriminando precisamente tra regolarità precise. Io non mi assomo la responsabilità di stabilire se tale Islam o talaltro sia tradizionale o non tradizionale, eretico od ortodosso. A questo fine vi sono stimati mufti e teologi assai conosciuti in tutto il mondo. Questa questione è lasciata alla loro competenza. Io parlo come geopolitologo. E in quanto geopolitologo mi assumo la responsabilità di affermare che noi possiamo stabilire l’esistenza di due differenti tipi di Islam, che possiamo convenientemente chiamare “eurasista” e “atlantista”. E possiamo dire con fiducia che solo l’Islam eurasista, multipolare è il partner naturale della Russia ortodossa, eurasista.
La concezione eurasista di Islam mi sembra molto produttiva, in quanto, in linea di principio, non si basa su questa o quell’altra sistemazione politica o dogmatica, essa fa solo attenzione allo spirito della società islamica, di cui stiamo discutendo. E se questo spirito è tradizionale noi dobbiamo riferirci a questo Islam come partner naturale. Il che significa che la Russia nella sua nuova veste deve scegliere I suo partners strategici tra I popoli della ummah islamica di orientamento eurasista. Da questo approccio noi possiamo ricavare molte importanti vedute su quali saranno le politiche estere della Russia nei confronti del mondo islamico, possibilmente rafforzando e sviluppando le sue tendenze eurasiste. Non sto semplicemente parlando di dialogo cristiano-islamico, ma di partnership strategica delle confessioni tradizionali eurasiane…
A proposito, un analogo dualismo geopolitico esiste anche nel Buddhismo. Il Buddhismo Hinayama (del Piccolo Veicolo) che rappresenta una sorta di “Buddhismo atlantista”, mentre il Grande Veicolo, il Mahayana, il Buddhismo Vajrayani – il Buddismo Chan tradizionale, il Buddismo Tibetano, il Buddhismo diffuso in Giappone, nell’Estremo Oriente – rappresenta il modello eurasiano. Anche qui, il dualismo geopolitica è riscontrabile, valutabile e reale.
Come conclusione, lasciatemi dire: se vogliamo che l’ideologia eurasista e la geopolitica si evolvano, non dobbiamo fermarci all’elaborazione a livello teoretico, ma contribuire in ogni modo possibile all’applicazione degli schemi eurasisti alla pratica politica concreta (come ha fatto personalmente il sottoscritto in questi ultimi 15 anni).
Sono profondamente convinto che un simile approccio – che da una parte generalizza e dall’altra è molto concreto, come il modello geopolitica eurasista – può risolvere molti problemi. Solo la geopolitica eurasista ci permette di costruire un consistente progetto di relazioni tra la Russia e il mondo islamico e aiuta a consolidare e rafforzare l’Islam russo, tradizionale, eurasiano.
La metodologia eurasista offre un’enorme quantità di mezzi così che le relazioni tra la Russia e il mondo islamico possano evolversi in modo non contradditorio, non conflittuale, armonico, seguendo una logica seria e fondamentale in armonia con il processo mondiale. Ed è nostro dovere utilizzarla.

Risoluzione collettiva dei partecipanti alla Conferenza

Il mondo islamico è pluridimensionale e a molte facce. La stragrande maggioranza dei Musulmani professa l’Islam tradizionale.
L’Islam tradizionale rifiuta categoricamente le “innovazioni”, anche se esse agiscono sotto la maschera di un “ritorno alla purezza originaria”. Il fervore protestante degli estremisti quali i Wahhabiti, il movimento “Tabliq” o i Talibani è alieno all’Islam.
Il mondo musulmano ha preoccupazioni strategiche comuni con la Russia rispetto alla maggior parte dei problemi. E se queste tendenza positiva sarà interpretata con proprietà e consolidata, l’unione del mondo islamico con la Russia permetterà di far fronte a molte minacce.
L’espressione, incontrata spesso nel moderno linguaggio politico, di “minaccia islamica” è completamente scorretta, essa offende i sentimenti di chi crede ed introduce un elemento di sfiducia e di estraneità nelle relazioni tra i musulmani e i rappresentanti di altre fedi tradizionali.
In pratica, dove vi è una forte tradizione islamica, non c’è nessuna inimicizia interconfessionale, i popoli delle Scritture sono protetti dalla legge musulmana.
Quelle tendenze estremiste che, sotto la copertura dell’Islam, rappresentano una minaccia per l’umanità, sono anch’esse una minaccia per l’Islam.
La minaccia palese allo sviluppo armonioso delle fedi tradizionali e delle culture nazionali dell’umanità è il processo di globalizzazione unipolare.
Questo processo distrugge il modo di vita tradizionale, minaccia le basi della fede, introduce nella società regole e standards che non sono compatibili con la rappresentazione islamica della continuità ed influenza negativamente le generazioni più giovani, separandole dalla fede dei padri, dalle radici morali.
Sulle basi dei risultati di questa conferenza noi proponiamo:
- di creare un comitato eurasiano di partnership strategica russo-islamica
a) per coordinare azioni nel campo della geopolitica,
b) per elaborare progetti sull’interazione ed il rafforzamento delle connessioni della Russia con il mondo musulmano,
c) per attivare ed approfondire il dialogo inter-confessionale ortodosso-islamico;
- di coinvolgere nella regolazione del conflitto ceceno le autorità rappresentative (russe ed estere) dell’Islam tradizionale ed anche le gerarchie della Chiesa ortodossa russa, per elaborare un progetto eurasiano di regolamentazione pacifica;
- di denunciare l’usurpazione della tradizione islamica da parte di forze e movimenti pseudo-islamici;
- di denunciare la globalizzazione unipolare come una tendenza che contraddice le problematiche dell’Islam e quelle nazionali della Russia e degli altri stati eurasiani;
- di difendere conseguentemente gli ideali di pace, concordia ed equità in tutto il mondo;
- comprendendo che l’umanità del XXI secolo, si trova ad un punto critico della storia, dobbiamo unire i nostri sforzi in nome della salvezza – recupero ambientale e guarigione dell’anima.

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