lunedì 23 dicembre 2013

ATTACCO AL POTERE (John Kleeves)

UNA AGENZIA FEDERALE CHIAMATA HOLLYWOOD

Solita premessa. Hollywood dipende dalla grande e semi segreta Agenzia federale USIA (United States Information Agency, 30.000 dipendenti), operativa sin dal 1° Agosto 1953 per lo scopo dichiarato, e cioè scritto nel suo atto costitutivo, di creare nel pubblico internazionale una certa voluta e falsa immagine degli Stati Uniti. In poche parole l’USIA è il Ministero della Propaganda americano. La necessità era - ed è - di occultare la reale natura dell’entità americana per poter condurre impunemente una politica estera micidiale: gli USA infatti non sono una democrazia, ma una dittatura dell’imprenditoriato che ha per obiettivo lo sfruttamento materiale ed umano dell’intero mondo. Hollywood, come del resto le altre entità aziendali americane del settore dei media (reti TV, case editrici e discografiche, eccetera), deve essere sia autoremunerativa che soddisfare le esigenze dell’USIA. Come minimo, nessun film deve contraddire la versione della medesima sulla realtà americana, versione consolidata in ciò che si chiama Retorica di Stato Americana (USA opulenti, democratici, libertari, buoni, eccetera; in breve gli USA della Retorica di Stato Americana sono esattamente quelli che voi vi figurate in mente). L’USIA può anche arrivare a far produrre dei film ex novo, perché ha bisogno di un contenitore per certi temi speciali che le premono, ma in genere approfitta delle occasioni che si presentano per far inserire i suoi messaggi di valenza propagandistica, o politica o culturale. I soggetti importanti di Hollywood, i VIP, collaborano alla sistemazione perché necessario per rimanere a galla, dopo che era stato necessario per emergere. I grandi attori e i grandi registi di Hollywood sono così dei Divi di Stato e dei Registi di Stato, perfettamente equiparabili a dei funzionari governativi, a dei G-men di rango abbastanza alto. Io dunque esamino i film di Hollywood per segnalare al pubblico gli elementi di propaganda intenzionale fatti inserire dall’USIA.


LA TRAMA

The Siege
(Attacco al potere)

regia di Edward Zwick
prodotto nel 1998
da E. Zwick e L. Obst
per 20th Century Fox
con Denzel Washington,
Bruce Willis,
Annette Bening

Attacco al potere, visto il soggetto, è uno di quei film in cui l’USIA interviene maggiormente, se non è proprio lei a idearli dall’inizio. La trama si svolge nei nostri anni a Brooklin, una frazione della città di New York che conta sui due milioni di abitanti. Dalle foto incorniciate appese in uffici pubblici si vede che il presidente in carica è Bill Clinton. Ad un certo momento si attivano in successione quattro cellule di terroristi arabi, che compiono attentati suicidi: è sequestrato e fatto saltare un autobus carico di passeggeri; è fatto saltare un teatro pieno di gente; un furgone-bomba irrompe ed esplode in un grande edificio. I morti a questo punto sono 900. Le indagini sono condotte sin dall’inizio dall’FBI (la polizia municipale di New York non compare), nella persona del funzionario Anthony Hubbard (Denzel Washington), che già era il “capo degli agenti speciali dell’FBI” del distretto di Brooklin. Partecipa anche, ma a titolo personale, l’agente della CIA Sharon Bridget (Annette Bening). Dopo il terzo attentato il Presidente (cioè Clinton) proclama la legge marziale a Brooklin. Arrivano così i soldati, comandati dal generale De Veraux (Bruce Willis), che compiono rastrellamenti di arabi e ne chiudono migliaia in campi sportivi dotati all’istante di recinzioni e catenacci. De Veraux tortura ed uccide personalmente un arabo, ma sono Hubbard e la Bridget a risolvere la situazione individuando la quarta ed ultima cellula terrorista, che era costituita dal solo giovane Shamir, che sino allora aveva finto di essere un confidente della polizia, un collaborazionista; nel conflitto a fuoco sia Shamir che la Bridget muoiono. Il film termina con Hubbard che arresta De Veraux per l’omicidio dell’arabo.

IL TERRORISMO ARABO SECONDO L’USIA
1) Il film tratta di terrorismo arabo. Già questo, considerato l’intero contesto hollywoodiano, è propaganda. Infatti Hollywood affronta l’argomento “terrorismo” in modo selettivo: sempre tratta il terrorismo altrui e mai quello americano. Storia e attualità offrono una profusione incredibile di atti terroristici made in USA. Solo quelli nei confronti di Cuba dovrebbero bastare: esplosione nel 1960 del mercantile francese Le Coubre ancorato all’Avana; invio nell’isola dal 1961 al 1963 di almeno sei team di killer professionisti presi in prestito da Cosa Nostra per uccidere Castro; attacchi di aerei privi di insegne a pescherecci e manifatture cubane protratti per tutti i Sessanta e i Settanta, e cioè per vent’anni di seguito; contaminazione col Photoxin dei sacchi di iuta usati per imballare lo zucchero cubano, per sabotarne l’esportazione; invio nel 1969 e nel 1970 di aerei che sparsero cristalli per provocare siccità in zone fertili e piogge torrenziali in lande desertiche; diffusione nel 1961 di un’epidemia negli allevamenti di tacchini dell’isola; diffusione nel 1971 di un’altra epidemia negli allevamenti di maiali; diffusione nel 1981 di una influenza perniciosa che colpì 300.000 persone, delle quali 158 morirono (101 bambini); sabotaggio con bomba del 7 ottobre 1973 del DC8 della Cubana Airlines in volo da Barbados all’Avana con 73 persone a bordo, tutte morte; attentati dinamitardi agli alberghi cubani nel 1997 per danneggiare il turismo, in uno dei quali trovò la morte il turista italiano Fabio di Celmo. E potremmo portare migliaia di altri casi simili accertati che hanno riguardato e riguardano i quattro angoli del mondo: gli Air Commandos e i Navy Seals sono corpi speciali dedicati statutariamente ad attentati terroristici, per non parlare dei circa 80.000 agenti di campo della CIA, e tutta questa gente è sempre in missione, a fare o preparare qualche cosa contro qualcuno. Orbene, mai Hollywood ha preso spunto da uno di quei fatti per fare un film. Lo avesse fatto direi che sarebbero normali anche film sul terrorismo arabo, o nord irlandese, o che altro. Ma non lo ha fatto ed allora tutti i film di Hollywood sul terrorismo altrui sono automaticamente propaganda, realizzati come sono non per trattare storie di terrorismo in sé ma per colpire selettivamente qualcuno.
2) In ogni caso terrorismo arabo, e rivolto contro gli Stati Uniti. Come tratta Hollywood il fenomeno? Per valutare ciò dobbiamo sapere come stanno le cose. Le cose stanno come nessun telegiornale qua in Europa Occidentale dice ma come ognuno dentro di sé realizza: gli Stati Uniti opprimono obiettivamente gli arabi in generale e i palestinesi in particolare, e questi e quelli operano le ritorsioni che possono. Non ci sono dubbi sull’oppressione. Gli USA sostengono regimi arabi invisi alle popolazioni come in Egitto, Giordania, Arabia Saudita, eccetera, perché gli permettono un conveniente uso del petrolio mediorientale, e tormentano regimi popolari come in Libia, Iran e Iraq perché non glielo permettono. L’Iran si è liberato solo nel 1979 della tremenda dittatura esercitata dagli USA tramite lo Scià, mentre gli stessi USA nel 1991 hanno guidato una coalizione che ha provocato 300.000 morti in Iraq. E 300.000 morti non sono una cosa da nulla. Come non lo erano stati del resto i 290 passeggeri dell’aereo di linea iraniano abbattuto intenzionalmente (a scopo intimidatorio) nel 1988 dall’incrociatore americano Vincennes. Inoltre c’è naturalmente la questione di Israele, che solo gli Stati Uniti tengono in vita, partecipando ogni tanto ai massacri: nel 1982 i cannoni da 400 mm della corazzata New Jersey aprirono il fuoco sui campi profughi palestinesi in Libano facendo migliaia di morti, le solite donne, i soliti bambini, eccetera. Neanche queste sono cose da nulla. I terroristi arabi che colpiscono gli Stati Uniti pensano dunque di avere motivi validi e concreti per le loro azioni. Non ho detto che li hanno; ho detto che sono convinti di averli. Il che solo concorda con la natura umana: nessuno si dedica a tali cose senza essere convinto di avere motivi validi e concreti. Il governo statunitense sa benissimo tutto ciò, così come lo sa l’intero establishment dominante nel paese. Sono anzi i primi a saperlo. Ma non va detto. L’USIA ha così preparato la sua versione sull’argomento “ Terrorismo arabo anti-americano e anti-israeliano ”. E’ una versione semplice: i terroristi arabi sono giusto dei pazzi fanatici religiosi, che si danno da fare non per vendicare - sia pure dal loro punto di vista - concreti morti e concreto sangue ma solo perché odiano la civiltà Occidentale. La odiano perché percepiscono che tale civiltà, data la sua forza oggettiva, è destinata a disgregare il loro fasullo mondo islamico fatto di curiosi muezzin, di donne velate, di paradisi dove schiere di vergini urie attendono i giusti. In poche parole odiano il Progresso. Questi terroristi se la prendono specialmente con l’America non perché questa abbia fatto loro torti particolari, ma perché l’America è il simbolo dell’Occidente, la sua punta di diamante. Se la prendono anche con Israele non perché li ha spodestati dalla loro terra, torturati a migliaia e assassinati a decine di migliaia, ma perché è una testa di ponte dell’Occidente nel loro mondo. Si può verificare che tale versione è stata imposta in tutti i film di Hollywood che hanno trattato il soggetto del terrorismo arabo, e ricordo in particolare Delta Force (1986) di Menahem Golan, con Chuck Norris; Wanted, vivo o morto (1987) di Cary Sherman; Frantic (1988) di Roman Polansky con Harrison Ford; Navy Seals: pagati per morire (1990) di Lewis Teague con Charlie Sheen; True Lies (1994) di James Cameron con Arnold Schwarzenegger. La versione è stata IMPOSTA: i registi, gli sceneggiatori e i produttori di Hollywood sanno benissimo come stanno le cose, proprio come lo sa il più sprovveduto di noi, ma appunto c’è la supervisione e la censura finale dell’USIA. Non ci sono dubbi che la versione sia stata imposta anche per Attacco al potere. Per tutto il film i giovani arabi sospettati e spiati dagli investigatori dell’FBI sono presentati come esagitati carichi di un odio che non si sa da dove provenga. Dobbiamo essere vigili e notare anche quello che non c’è ma che logicamente avrebbe potuto e dovuto esserci: un bel monologo di uno di quei terroristi, magari diretto alla sua ragazza come si fa normalmente nei film, dove spiega la sua versione della storia, le sue motivazioni. MANCA. Solo nel finale Shamir dice qualcosa in merito all’agente della CIA Bridget che si accinge ad uccidere. E cosa dice? Solo questo (è un monologo di 8 secondi): qualche farfugliamento isterico, sconclusionato, e poi chiara la frase che preme al regista e a chi dietro di lui, e cioè l’accusa all’America di “voler insegnare al mondo come vivere”. Questo sarebbe il motivo di tutto, l’unica colpa dell’America: essere troppo grande, troppo forte, troppo attraente. Essere il Progresso. Il regista ci mostra come Shamir prima di accingersi a compiere il suo attentato suicida e sanguinosissimo (ed inoltre perverso: vuole fare una strage nella folla che protesta contro gli internamenti per farne ricadere la colpa sul governo) pratichi abluzioni rituali islamiche e indossi un sudario: chiara indicazione per il pubblico della natura religiosa-culturale delle sue motivazioni. Il particolare del sudario è macabro, inserito per colpire il subconscio del pubblico e caricare di negatività questi attentatori.
3) Gli arabi sono presentati come una razza inferiore. Ciò perché sia così sono ritenuti dagli americani, e sia perché utile per togliere valore a qualunque loro rivendicazione. Sono presentati esattamente come gli indiani nei famigerati western di Hollywood: cenciosi, velleitari e fanatici, portatori di una cultura in estinzione perché non all’altezza. Sono anche sporchissimi, evidentemente abituati a vivere sotto le tende: l’appartamento in cui sono sorpresi dall’FBI i tre membri della cellula N°3 non potrebbe essere più lercio. Si è trattato di una indicazione precisa data allo scenografo, per convogliare il messaggio per via subliminale. Per contro la regia ci fa sapere che i tre della cellula passavano il tempo a guardare la televisione, mangiare pizza e bere drinks: inveiscono contro l’America ma i suoi agi piacciono anche a loro. Come gli indiani, che ululavano ma ricercavano i buoni utensili e il buon whisky.
4) Si è detto che il generale De Veraux tortura e uccide un arabo. Lo fa in un gabinetto, dove l’uomo è sistemato nudo su una sedia. La scelta del gabinetto - precisamente un orinatoio - non è casuale ed ha valenza subliminale: quello è il posto per tale gente. Fatto il lavoro De Veraux esce e si toglie i guanti: guanti di gomma, sanitari. Vedremo che c’è molto ma molto d’altro su questo episodio.
5) Assai curato il personaggio di Faruk Haddad, detto Frank, il vice di Hubbard all’FBI. E’ un arabo americano inserito nella vicenda ostensibilmente perché conosce arabi e lingua, ma in realtà per fargli ricoprire il ruolo dell’arabo buono, esattamente così come nei western c’era sempre l’indiano buono, quello voglioso di integrazione e collaborazionista (indiano buono che poi, la Storia insegna, ha fatto la stessa fine degli altri; in effetti, non erano indiani “buoni”, erano indiani deficienti). Durante i rastrellamenti dell’esercito anche suo figlio viene internato, lui ha un momento di ripensamento (l’America lo ha tradito) e lascia l’FBI dopo quindici anni di servizio. Ma l’America gli piace troppo: può dare dei dispiaceri, creare delle incomprensioni, ma è sempre la società migliore e più avanzata del mondo. Così riprende il distintivo che gli porge Hubbard e torna con entusiasmo a combattere per il Bene. La regia ci suggerisce anche cosa piaccia in particolare a Frank dell’America: il fantastico sviluppo tecnologico (Frank adora i marchingegni elettronici e invidia il rilevatore a microonde in dotazione all’esercito; al contrario degli arabi cattivi e testoni lui il Progresso lo capisce, e quindi lo apprezza).
6) Si parla nel film di un certo sceicco Ahmed Bin Talem, famigerato sponsor del terrorismo. Evidentemente voleva ricordare lo sceicco Osama Bin Laden, ora famosissimo perché accusato dagli USA dell’attentato dell’11 settembre 2001 e già allora indicato dalla CIA come principale mandante degli attacchi terroristici antiamericani, e cioè come Mostro Internazionale N°1. Citare Ahmed Bin Talem era un elemento di propaganda perché così il film non solo sosteneva intenzionalmente le accuse della CIA, già una presa di posizione, ma anche voleva fare ciò senza parere, in modo nascosto, subliminale (il nome Bin Talem invece di Bin Laden).



ALTRA PROPAGANDA
7) Il paese sembra impreparato agli attentati terroristici. Questi non mobilitano una burocrazia poliziesca precisa, che sembra non esistere: le indagini rimangono nelle mani del funzionario FBI del quartiere; non arrivano personaggi con tutti i tipi di divisa e di qualifica, ognuno dei quali sappia perfettamente cosa fare. Evidentemente è impreparato perché tali attentati qui sono rari, trattandosi di un Paese così in armonia con se stesso e col mondo. Invece questo non è il Paese dell’armonia: ogni anno si verificano mediamente 150 attentati terroristici, solo i più clamorosi dei quali giungono ad avere un’eco all’estero (come gli attentati alle Twin Towers di New York del 1993, di Oklahoma City del 1995 che provocò 169 morti, di Atlanta durante le Olimpiadi del 1996, per non parlare di quello epocale dell’11 settembre 2001 che ha raso al suolo le medesime Twin Towers facendo 2.700 morti; Theodore Kaczinski, Unabomber, prima di essere arrestato nel 1996 aveva compiuto 16 attentati), ed una burocrazia poliziesca precisa in merito non solo esiste ma è anche elefantiaca. Altro che funzionario di quartiere dell’FBI.
8) Agli Stati Uniti fa comodo fare credere che i loro Presidenti comandano. Così allontanano la cognizione del loro vero sistema politico, che è una dittatura dell’imprenditoriato esercitata collegialmente tramite il Congresso, e possono eventualmente incolpare un singolo uomo per i misfatti di una categoria. E’ così una legge dell’USIA per Hollywood che i Presidenti siano presentati come ammantati di potenza suprema. Attacco al potere non è eccezione, e l’unica entità pubblica che interviene al di sopra del funzionario Hubbard saltando ogni grado intermedio che come appena detto sembra non esistere è il Presidente, che ordina la legge marziale per Brooklin.
9) C’è un omaggio subliminale al becero senatore Jesse Helms, noto per la sua spietatezza all’interno contro i dissidenti politici, che fa finta di credere “comunisti” o “nazisti”, e all’estero contro i paesi che non chinano il collo, che fa finta di credere “nazisti” o “comunisti”: c’è una riunione di alti papaveri ed un senatore, che prende la parola e gode di qualche inquadratura, è impersonato da un attore che somiglia a Helms. Vecchio trucco: in Furore John Ford aveva fatto impersonare il direttore di un ostello per poveri a una comparsa che somigliava al presidente Delano Roosevelt.
10) Gli Stati Uniti vogliono propagandare un’immagine di società multirazziale in armonia, dove tutti hanno pari opportunità e partecipano con pari entusiasmo alla vita civile, orgogliosi di far parte di una tale Great Society. E’ ciò che ci si aspetta da un paese multirazziale e democratico. Balle naturalmente. Stiamo parlando di una Nazione che è stata schiavista sino al 1865 (sino a ieri, cioè); che ha dato nominalmente diritto di voto a tutti solo nel 1964 (un’ora fa, praticamente); che in questo preciso istante esclude ogni minoranza riconoscibile da qualunque posizione di potere effettivo, sia politico che economico; ed il cui gruppo etnico dominante WASP ( White Anglo Saxon Protestant ) si crede il popolo eletto. Così, come nei film di guerra di Hollywood i reparti presentano una composizione che riflette rigorosamente la percentuale nella popolazione (tot anglosassoni, tot caucasici, tot neri, e se c’è posto un ispanico, un giallo, un ebreo, quant’altro), allo stesso modo si presenta in Attacco al potere la sezione dell’FBI di Brooklin comandata da Hubbard, arricchita per l’occasione dall’arabo Faruk-Frank. (Il film La sottile linea rossa fa eccezione, perché i soldati sono tutti bianchi; ma c’è un motivo, per il quale rimando alla mia analisi del film pubblicata anche su questo stesso giornale). Si fa di più in questo film: l’attore Denzel Washington è infatti un nero. E’ lui, un nero, il protagonista del film; la parte di Bruce Willis è del tutto secondaria. Come ognuno sa è una rarità per Hollywood concedere la parte di protagonista a un nero. Perché non rende al botteghino. Le cose sono andate presumibilmente nel seguente modo. Si tratta di un film altamente politico, la cui stesura è caduta quindi completamente nelle mani dell’USIA, se come già detto non è stata lei ad avviarlo. Questa voleva presentare il Paese nel modo più innocuo possibile, vittima innocente di un malvagio e ingiustificato terrorismo arabo. Cosa di meglio che affidare la parte del capo investigatore americano a un nero? E’ come dire: I neri stessi ci amano al punto di combattere in nostra difesa, tanto li rispettiamo e siamo delicati con loro; che motivi possono mai avere gli arabi per odiarci? La scelta avrebbe però comportato sacrifici al botteghino per la 20th Century Fox e allora il Divo di Stato Bruce Willis accettò una particina per fornire un nome nei manifesti. O più probabilmente dovette accettare, perché si trattava di una comparsata davvero poco attraente: come vedremo De Veraux-Willis è utilizzato per riabilitare un mostro.
11) Hubbard trova modo in un rapido scambio di battute di dirci cosa è l’FBI: lo scopo dell’FBI, dice, è “opporsi al crimine”. Non è vero. L’FBI - Federal Bureau of Investigations - è la polizia politica americana e il suo scopo è di controllare e reprimere il dissenso politico interno. Fu l’FBI a condurre tutte le grandi repressioni sociali americane del Novecento: la Red Scare del 1920-22; la neutralizzazione del movimento sindacale del 1945-47; l’Era McCarthy del 1950-60; la soppressione del movimento per i diritti civili dei neri e delle Pantere Nere del 1964-72.
12) L’FBI represse il movimento delle Pantere Nere nel seguente modo: suoi anonimi agenti tendevano agguati in strada ai leader del movimento e li uccidevano. Gli agguati dell’FBI avvenivano spesso all’uscita di bar, di notte. Con questo sistema furono eliminate alcune decine di persone. Bobby Seale, scampato ai sicari dell’FBI ma tenuto in carcere sino al 1997 con pretesti, appena uscito ha rilasciato una intervista, diffusa anche da Rete 2, dove ha confermato quelle procedure. Ebbene il film contiene una scena designata specificatamente a riabilitare l’operato dell’FBI del periodo: la cattura da parte della squadra di Hubbard di un sospetto terrorista, che
avviene all’uscita di un bar, di notte. La scena ricorda gli agguati omicidi di allora ma li colloca adesso in un contesto positivo. Ciò ha valenza subliminale: il subconscio dello spettatore conclude che anche gli agguati di allora erano a fin di bene.
13) Diversi elementi di propaganda riguardano la CIA. C’è un suo agente nel film, ed è una donna, e di aspetto dolce e fragile; morendo cerca di recitare il Padre Nostro, aiutata da Hubbard. Ci sono agenti della CIA donne e con un dolce aspetto, ma visto il tipo di film si è certamente trattato di una scelta precisa, allo scopo di porre in buona luce l’Agenzia. Invece il fatto che la medesima reciti il Padre Nostro è una invenzione propagandistica completa: gli agenti della CIA - specie quelli operativi sul campo - non sono tipi da preghiere, per quanto delicato sia il loro aspetto; sono dei mercenari, dei veri assassini di professione, e senza dubbio ciò vale anche per gli agenti donna. Quindi Hubbard - da funzionario dell’FBI ligio alla legge come sono certamente tutti i funzionari dell’FBI, non è vero? - vuole arrestarla perché per legge la CIA non può operare sul territorio nazionale statunitense. E’ vero che così è per legge, ma è altrettanto vero che all’atto pratico la legge è ignorata, come tutti sanno negli Stati Uniti, compreso Edward Zwick. Potrei fare decine di esempi a supporto, non ultimo l’assassinio dell’ex ambasciatore cileno Orlando Letelier compiuto nel 1973 a Washington - la capitale, sita ben all’interno del territorio degli StatiUniti - da un team di agenti della CIA guidato dal funzionario della stessa Orlando Bosch (un collega della nostra dolce Sharon Bridget). Ricordo solo che le Pentagon Papers nel 1972 rivelarono che la CIA stava spiando negli Stati Uniti circa 200.000 cittadini, mentre circa 400 suoi agenti erano infiltrati nei media nazionali. Oggi come oggi non ci sono Pentagon Papers che facciano rivelazioni ma non è impensabile immaginare che i cittadini spiati siano 400.000 e gli infiltrati nei media 800. E nel film Hubbard vuole arrestare la Bridget. Questa è ancora più grossa di quella dell’agente CIA che recita il Pater Noster.
14) Un grande cavallo di battaglia della propaganda di Stato americana è il seguente: i misfatti ed efferatezze varie compiute dagli Stati Uniti all’estero sono sempre dovuti all’eccesso di zelo personale di singoli militari, agenti o funzionari, o alla loro sempre personale crudeltà o corruzione. Mai, come ovviamente invece è, i medesimi misfatti ed efferatezze sono il risultato di una volontà cosciente del governo americano. Così quando il funzionario della CIA Dan Mitrione alla fine dei Sessanta organizzava gli Squadroni della Morte in Uruguay e istruiva i poliziotti locali nelle tecniche di tortura tenendo corsi di addestramento nella cantina della sua villetta di Montevideo dove martoriava personalmente sino alla morte delle persone innocenti, ebbene tutto ciò lui non lo faceva eseguendo gli ordini del superiore e del superiore del superiore e così via sino al Congresso; no, per carità, lui lo faceva per eccesso di zelo personale anticomunista, unito forse a un certo sadismo congenito ( altrettanto sadicamente Mutrione fu poi rapito e giustiziato dai Tupamaros ). Così per i 16.500 oppositori politici sud vietnamiti torturati e uccisi dalla CIA con la collaborazione della polizia locale nell’ambito del programma Phenix voluto da John F. Kennedy: eccesso di zelo dei funzionari CIA sul posto. Quando le Pentagon Papers rivelarono che erano aerei della CIA e del Pentagono che esportavano alle Hawaii l’eroina del Triangolo d’Oro, eroina che poi da là andava in tutto il mondo coi proventi di ritorno che finivano in banche della Florida, la commissione d’inchiesta senatoriale concluse: alcuni funzionari della CIA e alcuni generali del Pentagono corrotti. Al solito si potrebbero fare decine e decine di esempi. Il generale De Veraux-Bruce Willis è appunto uno di questi personaggi cari alla propaganda dell’USIA. Un funzionario statale - nel caso un generale operativo dell’esercito - troppo compreso del proprio ruolo, che per eccesso di zelo nel difendere quella cosa grande, buona, irripetibile che è la sua Patria, l’America, travalica gli ordini (sempre troppo moderati, inadeguati a quel mondo cattivo che c’è là fuori) sino a infrangere la legge, sino a compiere crimini aborriti dalla sua stessa America. Ecco - ci dice il film - sono tipi del genere che hanno creato gli Squadroni della Morte in America Latina; che hanno fatto mitragliare da elicotteri i raccoglitori di banane guatemaltechi in sciopero contro la United Fruits; che hanno fatto torturare a morte 16.500 oppositori politici sud vietnamiti; che hanno eseguito la strage di My Lai; che hanno fatto bombardare ospedali in Corea, Vietnam e Iraq; che hanno fatto 4 milioni di morti in Corea e 6 milioni di orti in Vietnam; che hanno fatto bombardare i campi di palestinesi in Libano; che hanno... che hanno... che hanno. Chi ha fatto tutto ciò è sempre stato il governo americano, sapendo ciò che faceva, ed il regista del nostro film in merito non fa che fare propaganda, quella che gli impone lo stessissimo governo. La scena finale riassume la versione dell’USIA: Hubbard rinfaccia a De Veraux il suo comportamento illegale e lo sfida ad ordinare ai suoi soldati di ucciderlo; De Veraux, pure perverso, non vuole spingersi a tanto (Hubbard in quel momento rappresenta la Vera America, che lui rispetta) e si fa arrestare per l’omicidio dell’arabo.

CHI SI RIVEDE, DAN MITRIONE
15) Ed ecco la parte per cui dovremo sempre ricordare Bruce Willis, se non come attore almeno come uomo. L’episodio in cui De Veraux tortura l’arabo nel gabinetto vuole premeditatamente rievocare le torture eseguite da Dan Mitrione nella sua cantina di Montevideo, che lui aveva fatto attrezzare come un orinatoio - con rubinetti, scarichi a terra e piastrelle alle pareti - per gli schizzi di sangue delle vittime e le altre perdite corporali. E’ lui il mostro che Willis riabilita. La già buona ( e non casualmente ) somiglianza fisica di Willis con il fu Mitrione, un uomo di 50 anni di origini italiane, stempiato, è esaltata aumentando con ritocchi la sporgenza del naso dell’attore. Al tempo sui giornali comparvero foto di Mitrione in divisa ( prima di entrare nella CIA era stato il capo della polizia municipale di Richmond, Indiana ), e anche De Veraux è in divisa. Il messaggio subliminale per il pubblico è che Dan Mitrione era giusto un elemento come De Veraux e che le sue vittime erano dopotutto dei terroristi. Invece Mitrione obbediva agli ordini dei superiori nel quadro del Public Safety Program varato dal Congresso per l’America Latina e le sue vittime erano accattoni e accattone fatti rapire a caso nelle strade di Montevideo. L’episodio costituisce dunque una riabilitazione surrettizia di Dan Mitrione, la cui vicenda al tempo fece molto e negativo clamore per gli USA. Una operazione analoga a quanto fatto nel film Forrest Gump con l’attrice scomparsa Jean Seberg, anche se in scala assai ridotta e all’incontrario: Mitrione è riabilitato mentre la Seberg è diffamata. Bravo Willis. Il pubblico italiano potrà dire di non aver mai sentito nominare Dan Mitrione. Ma Hollywood-USIA non produce solo per l’Italia; produce per il mondo e ci sono paesi dove l’episodio ha lasciato lunghi strascichi nella memoria. Negli stessi USA ad esempio, dove ai funerali di Mitrione a Richmond parteciparono Frank Sinatra e Jerry Lewis, o in Francia, che produsse un film sulla vicenda: Etat de siege ( L’amerikano, 1973 ) di Costantin Costa Gavras, con Yves Montand e Renato Salvatori.



ANCORA PROPAGANDA
16) Invece il fatto che De Veraux fa rastrellare gli arabi di Brooklin e li fa rinchiudere in campi sportivi attrezzati con recinzioni vuole rievocare il colpo di Stato in Cile del 1973, quando come tutti ricordano i sospetti oppositori furono rinchiusi negli stadi a decine di migliaia. E’ una riabilitazione perché suggerisce che anche in quell’occasione ci fosse qualche valido motivo. Non c’erano invece validi motivi: occorreva solo ribaltare un governo Allende che rendeva difficile alle Multinazionali statunitensi lo sfruttamento del Paese. Si sa tutto sulla vicenda: il colpo del ’73 in Cile fu richiesto da 10 Multinazionali statunitensi operanti in loco, che poi contribuirono con fondi; fu deciso dal Congresso; fu approvato da Nixon; fu diretto da Kissinger; e fu fatto eseguire al generale Augusto Pinochet. Anche questo episodio rivela dunque dei collegamenti con Etat de siege, un film dedicato al sovvertimento violento statunitense dell’America Latina. In effetti questo film è stato un riferimento importante per i congegnatori di Attacco al potere: volevano anche riabilitare - dato che vi era l’occasione - i misfatti compiuti dagli Stati Uniti in America Latina ed un sistema ottimo era di richiamare surrettiziamente un film critico ma famoso sull’argomento e quindi di ribaltarne altrettanto surrettiziamente le tesi.
E’ un po’ complicato, ma tutta la propaganda americana è complicata, sofisticata, basata com’è su una scienza psicologica avanzatissima, e se ci si vuole difendere occorre essere all’altezza. Per quegli stessi congegnatori il collegamento con Etat de siege è stato così importante da condizionare il titolo stesso dell’opera, che in originale è The Siege, una parola che compare uguale, anche come pronuncia, nel titolo del film di Costa Gavras. Per il pubblico italiano l’aggancio è venuto a mancare, o per questioni di lingua o perché qui L’amerikano non ha lasciato tracce (per forza : in questo Bel Paese tutto libertà e senza censura il film è stato ritirato subito dopo l’uscita nel 1973).
17) De Veraux è dunque un generale dell’esercito e l’USIA non manca l’occasione di fargli dire qualche utile falsità in proposito. Gliene fa dire due. De Veraux dice testualmente che l’Army è “la più temibile macchina bellica della storia del mondo”. Le forze armate di terra americane sono ben lungi da questo livello. Anzi, sono e sono sempre state di una debolezza stupefacente. Marina e Aviazione sono fortissime, ma l’Army è così. Per la dimostrazione di questa affermazione rimando al mio Sacrifici Umani del 1993 (Edizioni Il Cerchio), dove è anche contenuta la spiegazione del fenomeno. Qui mi devo limitare a fare osservare che gli Stati Uniti hanno sempre perso o non vinto tutte le guerre che potevano risolversi solo con le forze di terra (Corea, Vietnam, anche Guerra del Golfo del 1991), pur avendo sempre goduto di una ampia superiorità sia numerica che naturalmente di mezzi (in Vietnam 51 divisioni contro 10 divisioni nord vietnamite e 120.000 guerriglieri). I vertici militari e politici americani lo sanno benissimo (sono i primi a saperlo) ma non vogliono certo che il mondo se ne accorga: nei conflitti evitano con varie scuse gli scontri di terra e fanno polverone con l’aviazione, e per il resto ci pensa l’USIA con la propaganda, tramite soprattutto Hollywood. La seconda falsità è la seguente. Sempre De Veraux dice che l’Army non è adatta per gli interventi di polizia, benché sia stata costretta a farne qualcuno “all’estero”, “ad Haiti e in Somalia”. E’ una falsità doppia. Dal 1945 ad oggi gli Stati Uniti hanno compiuto circa 500 interventi armati all’estero, 218 documentati uno per uno dal 1945 al 1975 ; altro che “qualche intervento”. Quindi questi interventi non sono certo a scopi di polizia: sono nell’ambito della politica neo coloniale statunitense nel mondo a favore delle loro Multinazionali.
18) Il pericoloso generale americano si chiama De Veraux. Non si chiama Jones, Brown o Smith; si chiama De Veraux. Non è per caso e vuole suggerire per via subliminale che i funzionari americani che travalicando gli ordini fanno del male all’estero non sono veri americani; non sono WASP anglosassoni ma di altre etnie, del caso francese. Anche Mitrione, ammicca infatti la regia, non era un WASP, perché di origini italiane. I WASP sono buoni.

ATTACCO ALLA VERITA’
Così, passo dopo passo, inquadratura dopo inquadratura e senza che noi ce ne
accorgiamo minimamente, il film ci propina un numero insospettabile di menzogne. E cioè:
- che il terrorismo arabo antiamericano è un fatto religioso-culturale;
- che gli USA non hanno fatto torti agli arabi;
- che gli arabi sono una razza inferiore;
- che gli USA non sono abituati al terrorismo interno;
- che gli USA sono una democrazia;
- che il Presidente ha grande potere;
- che l’FBI è una normale polizia civile;
- che la CIA non opera nel territorio nazionale;
- che gli agenti della CIA sono persone brave e anche religiose;
- che il sen. Jesse Helms è un benintenzionato;
- che negli USA c’è una perfetta integrazione e armonia razziale;
- che le nefandezze americane nel mondo sono dovute a iniziative di singoli;
- che Dan Mitrione era giusto uno di questi singoli;
- che questi singoli non sono normalmente dei WASP;
- che il colpo di Stato in Cile aveva validi motivi;
- che le forze di terra americane sono forti;
- che gli interventi armati americani all’estero sono pochi;
- che gli stessi sono motivati da esigenze di “ polizia internazionale ”.
Già notevole ma non basta. Come tutti i film di propaganda, oltre ai singoli e isolabili elementi di falsità appena visti, Attacco al potere contiene infatti anche dei messaggi subliminali di sintesi, ottenuti convogliando tramite tanti particolari e dialoghi opportunamente strutturati e connessi delle impressioni generali agli spettatori. Nel caso i messaggi sono i seguenti:
a) che l’America è oltremodo preoccupata e impreparata di fronte agli attacchi terroristici ( che trova del tutto immotivati ) e può reagire dissennatamente ricorrendo alle Forze Armate e a elementi come De Veraux, che poi fanno sfracelli e colpiscono anche gli innocenti, in patria e può capitare anche all’estero.
b) che gli arabi americani si devono guardare dal coprire i terroristi arabi perché il governo potrebbe perdere la testa a tal punto da considerare nei loro confronti gli stessi provvedimenti presi a suo tempo con i giapponesi americani (internamento coatto). Non sarebbero quindi dei provvedimenti tipici di uno stato totalitario, ma dettati solo da isteria e inesperienza.
Sono delle minacce al mondo, e agli arabi americani, convogliate tramite Hollywood.

DOPO L’11 SETTEMBRE 2001
Tranne qualche aggiustamento per la sincronizzazione, l’analisi precedente risale al 1998, quando la scrissi per l’uscita del film in Italia. Ora siamo alla fine del 2001 e non possiamo non notare come quelle minacce dei messaggi di sintesi si siano realizzate nella vera pratica. C’è stato l’attacco alle Twin Towers e gli USA hanno reagito ricorrendo veramente alle Forze Armate e facendo veramente sfracelli all’estero: hanno addirittura portato la guerra ad un Paese, l’Afghanistan, e sembra ne preparino altre contro la Somalia, il Sudan, l’Iraq, chissà quanti altri. Gli arabi americani non sono stati dimenticati: in base all’USA Patriot Act introdotto dal governo americano il 13 novembre 2001 già 5.000 di loro sono stati convocati, questionati e debitamente intimoriti dalla polizia, mentre 1.200 sono stati arrestati arbitrariamente; tutta la comunità sa di essere una sorvegliata speciale, un altro passo e c’è il campo di concentramento, magari in Alaska dato che l’America non ha una Siberia. La precisione con cui il film ha anticipato una tale reazione in una tale evenienza – una reazione non scontata, non ovvia - lascia dei sospetti: captava forse questo film gli echi di strategie politiche che filtravano dalle stanze del potere, di scenari che si stavano preparando, compresi magari gli attentati? Non lo sappiamo; è un’altro dei tanti dubbi lasciati dall’attentato dell’11 settembre.

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