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martedì 15 giugno 2021

L'Esempio come forza antiborghese (Fidia Gambetti)

Fidia Gambetti è un fascista intransigente, capace di rinunciare ai gradi e partire per la guerra come semplice camicia nera. Da prigioniero dell'Urss passerà nelle fila del Partito Comunista e vi rimarrà per il resto della vita. Nel 1942 a 31 anni, pubblica il libro "Controveleno" così descritto da Ezra Pound: "Ho ricevuto in questi giorni il volume di Fidia Gambetti, Controveleno, libro di dottrina e più che di dottrina, di fede e di stile fascista, di fascista nato. [...] Ecco un libro senza paura. Un libro che delinea e riafferma delle verità che abbiamo capito, ma che non dobbiamo dimenticare. Un libro fascista e confuciano, dunque!".
Di seguito un paragrafo del libro, in cui l'autore si concentra sui pericoli dello spirito borghese. 

Spirito borghese, Gambetti, fascismo, comunismo, antiborghese

Il Fenomeno Borghese

Tutti sanno che il processo intentato dalla rivoluzione al fenomeno borghese, nel quale individua il nemico più tenace, l'anti-rivoluzione per eccellenza, non è diretto contro una categoria sociale, ma contro una categoria dello spirito, ben più difficile da circoscrivere e da combattere. Si tratta di una forma mentale e morale che alligna con eguale facilità nei soggetti di condizione e anche di educazione più disparata, che trova in ognuno di noi senza eccezioni, una naturale predisposizione. C’è colui che nasce segnato da codesto invincibile complesso, del quale non riuscirà mai a liberarsi, qualunque sia l’orientamento della sua vita: operaio, contadino o artista, tenderà costantemente ad evadere dal suo stato, nel quale non trova il punto d’equilibrio e di soddisfazione; aspirerà, nel primo caso, a lasciare l’officina e il mestiere per correre dietro al miraggio, verso cui lo sospinge la propria natura, di un posto di usciere o di piccolo impiegato; nel secondo caso, come per un primo passo, aspirerà al lavoro in fabbrica, ma soltanto, intendiamoci bene, sospinto e solleticato dalla illusione dei borghesi conforti urbani; nell’ultimo caso, l’incubo della ricchezza, del denaro, della celebrità che sono la negazione della vera arte e della vera gloria. Per costoro non v’è salvezza, poiché la natura umana non si può cambiare che in peggio.

Altri hanno facilità ad imborghesirsi: cioè, più precisamente, non sanno difendersi dal pericolo, si arrendono incapaci di combattere. E’ il caso più frequente e più diffuso anche, purtroppo, fra i protagonisti della rivoluzione, fra i primogeniti, fra i fedeli delle ore drammatiche e rischiose. Passano gli anni: tutto congiura a distruggere quelle prette, genuine virtù anti-borghesi che abbiamo già definite mistiche, un privilegio della giovinezza; la vita di ogni giorno esige un’altra logica, un’altra morale. Si cambia sovente senza accorgersene perché si ha troppa dimestichezza con sé stessi, è troppo comodo mutare i disagi in abitudini, i tormenti in facili conquiste; bisognerebbe suonare la sveglia alla coscienza ed esaminarsi da fuori, avendo memoria di quel che un tempo si era e di come si sperava di essere e di diventare. Senza accorgersene, oppure impotenti a difendersi. Il conformarsi è dolce al pari dell’ozio dopo un lauto pranzo, quando nessuno si muoverebbe per evitare sia pure la morte al più caro degli amici. In codesta dolcezza sonnolenta si smarriscono molti fra gli uomini sui quali la rivoluzione credeva un tempo di poter contare. Essi hanno troppo presto dimenticato la fede, il disinteresse, il coraggio delle origini, bacati dal bacillo borghese che li ha guastati talvolta fino al midollo. Per taluno c’è ancora possibilità di guarigione, a patto di scarnificarsi all’osso, di confessare i propri errori e le proprie colpe, di ricominciare tutto da capo.

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Si tratta di una forma mentale e morale che trova in ognuno di noi una naturale predisposizione.
Ecco dove il nemico più insidiosamente s’annida e dove opera con sottile pazienza. Non saremo mai a sufficienza spietati e intransigenti contro noi stessi, contro le sopravvivenze, le storture che in noi portiamo e coltiviamo, onde sovente la forza ed il coraggio non bastano. Saremo sempre troppo poco severi verso i nostri difetti, siamo troppo inermi contro le nostre debolezze anche quando ne abbiamo certezza; è qui l’origine della colpevole indulgenza verso gli altri. Il significato forse meno chiarito della fierezza mistica che dà contenuto alla rivoluzione e che giustifica la sua fatalità non solo storica e politica, bensì anche etica, è anzitutto in questa volontà diciamo, senza paura dei termini, "sacerdotale", che si richiama costantemente al più alto esempio, su di esso informa spirito, stile, carattere, costume, da esso assimila per irradiarla ancora, la chiara potenza, educativa. Non c’è al mondo una forza maggiore dell’esempio. Al bene e al male, gli uomini sono portati quasi per mano. Le parole non servono mai. La fede stabilisce in tal modo un vero e proprio ordinamento morale, cui dovrebbe corrispondere la gerarchia dei valori intimi. Allora nascono i capi e le masse diventano popoli presso i quali la coscienza è legge: purché gli esempi, e soltanto a tale condizione, siano alti e spiegati come una bandiera che non si ammaina al tramonto del sole.

Dal libro "Controveleno" di Fidia Gambetti, 1942

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