Con le prime forme di
proto-capitalismo, nell’Europa del XIV sec., e in particolare in Italia, i ceti
borghesi, che avevano assunto il governo delle città, divennero non solo meno
disposti a dedicarsi alla guerra e alla virtus
militare, al fine di non intaccare i propri affari, ma iniziarono anche a
diffidare di armare il popolo per utilizzarlo nelle guerre, che pure
continuavano ad essere combattute. Così Filippo di Mézières si esprimeva a
favore dell’uso di milizie mercenarie, in quanto appariva rischioso armare i
ceti subalterni, «inclinati alla ribellione nei confronti dei loro signori
naturali in quanto si sentono in condizioni di servitù […]»[2].
Nella società iper-consumista
contemporanea tali atteggiamenti paiono estremizzati in un assoluto rifiuto
dell’aggressività, che ovviamente va condannata con ogni forza, ma che non può
mai essere eliminata in tutte le sue forme. Ad esempio l’uccisione animale a
scopo alimentare, la quale si sta avviando a divenire un tabù sempre più
diffuso. Non solo. La morte stessa, anche se naturale, viene sistematicamente
censurata. Come notava lo storico francese Philippe Ariès, «La buona creanza
vieta ormai qualunque riferimento alla morte. È morboso, si parla come se la
morte non esistesse. Ci sono soltanto persone che scompaiono e di cui non si
parla più - di cui si parlerà forse più tardi, quando si sarà dimenticato che
sono morte.»[3]
Lo studioso notava altresì che tale dinamica si verificava «in tutte le società
che avevano oltrepassato lo stadio dell’industrializzazione, in cui le tecniche
del settore terziario avevano raggiunto il loro pieno sviluppo.»[4]
Forme simili di rituali sono rimaste
anche in epoche più recenti. Il cristianesimo stesso si fonda su una morte
violenta, quella di Cristo, che genera la salvezza, dunque la vita eterna, per
i fedeli. Nella sfera laica sono a lungo stati presenti rituali che
permettevano lo sfogo innocuo della distruttività dell’hunting ape. Si pensi, a livello popolare, al rituale
dell’uccisione del maiale nei mesi invernali o, in ambito aristocratico, alla mensur, la scherma degli studenti
universitari germanici, entrambi esempi di catarsi dell’aggressività.
Tornando all’attuale società
capitalista, essa non tollera più queste forme rituali. È terrorizzata dagli
aspetti più oscuri dell’animo umano, vuole censurarli, addirittura cancellarli,
se possibile. O isterilirli, svuotandoli di significato oppure trasponendoli in
realtà virtuali (film, videogiochi, ecc.). Contemporaneamente, eliminando i
rituali che celebrano il paradossale legame fra vita e morte, il capitalismo ha
eliminato anche la religiosità, salvando solo la religione, ovvero una sorta di
insieme di etichette etico-sociali di pura forma. Con il risultato di avere
provocato lo smarrimento esistenziale dell’uomo e, dunque, il suo
indebolimento. Ma non diversamente sarebbe andata, sotto questo punto di vista,
col prevalere di qualsiasi altra forma di materialismo, persino quello marxista.
NOTE:
[1] K.
Marx, F. Engels, Manifesto del partito
comunista, Romba-Bari, Laterza, 2008, pp. 15-6
[2] Citato in C. Da Monte, Ghibellini
del Montefeltro e della terra di Romagna. Battaglie e gloria fra tante
pellegrine spade, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2021, p. 14
[3] P.
Ariès, Storia della morte in Occidente,
Milano, Bur, 2012, p. 185
[4] Ivi, pp. 182-3
[5] W.
Burkert, Homo necans. Antropologia
del sacrificio cruento nella Grecia antica, Torino, Boringhieri, 1981, p.
31
[6] Ivi, p. 22
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