domenica 11 agosto 2013

L'impero d’Europa: la problematica imperiale e la costruzione europea (Frédéric KISTERS)

"L'Europa aspira all’Impero"
(Jean-Louis Feuerbach)

Prolegomeni

Chiunque conosca la storia, sa che gli imperi hanno svolto un ruolo essenziale nell’evoluzione dell’umanità. Tra il 50 e il 200 d. C., in effetti, quattro grandi imperi inglobavano l’insieme del mondo civilizzato: Roma, i Parti Arsacidi, il Kouchan e lo Stato degli Han orientali, formavano una fascia ininterrotta dalla Gran Bretagna al Mar Cinese, attorno alla quale non vivevano che dei barbari. Così uno storico come Toynbee, nella sua "Grande Avventura dell'Umanità", voleva mostrare come noi, poco a poco, siamo passati da un’era di civilizzazioni locali (che più spesso erano imperi) a un’insieme universale, dal momento che l'oekoumène ha finito per ricoprire la terra intera. Egli presenta all’inizio le prime civiltà isolate e pressoché senza contatti tra di loro. Poi, mostra come gli imperi in espansione, entrarono in contatto e dunque s’influenzarono reciprocamente. Il processo crebbe fino all’Era Moderna nel corso della quale tutte le civiltà furono collegate. L'Impero è dunque il principale agente di diffusione delle civiltà.
(1) Il sociologo e storico Wallerstein, da parte sua oppone, su di un altro piano, gli imperi unificati politicamente alle « economie mondo che incombono su un insieme di Stati di diversa forza, come il Mediterraneo dal VII al II secolo a.C. prima della sua unificazione da parte di Roma o quello, posteriore ma che copriva lo stesso spazio, al quale Fernand Braudel dedica la sua opera principale (XIV-XVI d. C.). Prima dell’Era Moderna, la maggior parte delle economie-mondo o si mutavano in imperi, o venivano fagocitate da uno di essi. Al contrario, il capitalismo, conclusione delle economie-mondo, si mantiene da cinque secoli perché si estende sulla quasi totalità del globo: esso "si fonda sulla costante presa in carico delle perdite economiche da parte delle entità politiche, mentre il profitto economico è distribuito a degli interessi privati." (2) Il capitalismo domina tutti gli imperi esistenti. Anche l’URSS, che tentò di sottrarvisi, dovette tenerne conto. La conclusione era che solo l’instaurazione di un impero universale socialista avrebbe potuto mettere fine al capitalismo. Il termine impero discende dal latino imperium (l'autorità di comando militare per coercizione, la quale completava la potestas, l'autorità in forza dei valori). L’imperatore cumulava un certo numero di poteri in precedenza esercitati da diversi magistrati (i consoli, i censori, i tribuni e il pontefice massimo) e li esercitava a vita. Era proclamato imperator dai soldati (il popolo in armi). Contrariamente all’imperium proconsolare, quello dell’imperatore era illimitato nel tempo e nello spazio e non era subordinato a nient’altro. Il suo potere si appoggiava sulla sua clientela, sulla sua fortuna personale, sul giuramento di fedeltà e sulla sua auctoritas (la sua preminenza morale). (3) In seguito, quando l’egemonia europea si estese sull’insieme del globo, noi attribuimmo il nome di impero a un certo numero di Stati, contemporanei o passati, che presentavano delle somiglianze con quello che avevamo conosciuto, alla maniera dei Greci che diedero agli dei stranieri dei nomi usciti dal loro pantheon, fino a commettere qualche imprecisione. Da allora, certi autori distinguono due tipi di impero: la linea europea che discende dal principato e gli « altri ». In effetti, si potrebbe anche concedere una linea cinese, la linea degli imperi mesopotamici, etc.. Ma, tralasciando le forme singole, noi ci avvicineremo alla figura dell’Impero in quanto archetipo che appare senza posa, sotto rinnovati aspetti, dall’alba della Storia (4).

Tipologia

Come lo storico del diritto John Gilissen, noi distinguiamo due concezioni del termine Impero: stricto sensu, si tratta di una forma di governo dominata dalla figura di un autocrate che possiede il titolo di imperatore o un altro equivalente (faraone, gran khan, re dei re...); lato sensu, l'Impero designa metaforicamente ogni stato vasto e potente, quale che sia il suo modo di governo. Dal momento che numerosi imperi stricto sensu non hanno meritato in permanenza nel corso della loro durata formale il titolo di grande potenza, conviene dividere questi Stati in tre categorie :
- gli imperi lato sensu o grandi potenze;
- gli imperi stricto sensu che furono, in un momento o un altro della loro storia, delle grandi potenze;
- gli imperi stricto sensu che rimasero o divennero degli Stati piccoli o medi.
Di conseguenza, noi consideriamo ad esempio che la Roma repubblicana entra nella prima categoria dopo la seconda guerra punica e passa nella seconda sotto Augusto. Quanto all’impero d’Occidente in fase finale, esso appartiene al terzo gruppo. Alla differenza tra imperi stricto sensu e lato sensu si sovrappone una classificazione per tipi di cui il numero e la natura delle categorie variano da un autore all’altro. Sebbene la tipologia degli imperi ci appaia secondaria, ci siamo concessi un gioco logico. Da parte nostra, procediamo attraverso una serie di antinomie: opponiamo gli imperi terrestri o continentali agli imperi marittimi; gli imperi centralizzati a quelli più decentrati; gli imperi di lunga durata, spesso legati ad una dinastia o ad una successione di dinastie, agli imperi effimeri che sono più spesso l’opera di grandi conquistatori. Ne risultano otto possibili associazioni che designano assai precisamente le caratteristiche dei differenti tipi di imperi:
1) terrestre/centralizzato/effimero. Esempio : Napoleone I
2) terrestre/centralizzato/duraturo. Esempio : la Roma del Basso Impero
3) terrestre/décentrato/effimero. Esempio : di conquista
4) terrestre/decentrato/duraturo. Esempio : l'Akkad di Sargon (- 2340), la Roma dell’Alto Impero
5) marittimo/centralizzato/effimero. Esempio : il Giappone del XX secolo
6) marittimo/centralizzato/duraturo. Esempio : Atene (- 479-404)
7) marittimo/decentrato/effimero. Esempio : impero di Knut il Grande (1013-1033)
8) marittimo/decentrato/duraturo. Esempio : imperi spagnolo e portoghese
Per essere più precisi, aggiungiamo alle classi precedenti due sotto-categorie. Tra gli imperi di conquista, ci sembra di dover distinguere quelli fondati da popoli nomadi. Separeremo anche gli imperi feudali, come quello dei Plantageneti, da quelli “terrestri decentrati duraturi”. Questa classificazione, non cancella l’idiosincrasia degli imperi, ma permette di intravedere, attraverso le nebbie casuali dell’accidentale, i contorni imprecisati di una figura perenne.

Nascita

Gli imperi si formano più spesso sul modello idealizzato di uno dei loro predecessori. L'archetipo si riproduce nella storia secondo il movimento che Spengler chiamò la pseudomorfosi. Per gli Europei, la nozione di Impero evoca necessariamente il principato romano. Dal principato discende, come un fiume che scaturisce dalle montagne, un corso ininterrotto di imperi (romano, bizantino, carolingio, i due imperi bonapartisti, gli zar; si potrebbe anche comprendere come esempio la successione degli imperi cinesi). (5) L'imperialismo è sia un carattere permanente dell’impero che la condizione necessaria per la sua nascita. Esso si manifesta in due forme. La più corrente e antica è la potenza marziale, brutale. Un popolo impone la sua dominazione ai propri vicini. Ma, altri imperi si sono formati più pacificamente per una sorta di sinecismo, come quello di Carlo V che è più il risultato di una lunga teoria di alleanze matrimoniali che di conquiste. Evidentemente, la volontà di dominio non si realizza senza una superiorità, sia essa tecnologica, organizzativa, demografica, morale o altro. Ma questi strumenti dipendono a loro volta in parte dall’energia che li anima. L'uomo inventa per asservire i suoi congeneri o la Natura. Ma se la volontà di potenza non domina lui stesso, egli non creerà nulla. Dunque, l’imperialismo produce i mezzi della propria realizzazione. Anche quando l’Impero si costituisce per libera associazione, non per questo le volontà di potenza e di estensione albergano di meno le premesse necessarie: gli uomini si raggruppano per proteggersi ma soprattutto per dominare. Anche la presenza di un pericolo favorisce la formazione o il mantenimento di un Impero. I popoli si alleano per combattere un nemico comune ma, soprattutto, il pericolo incita gli antichi imperi a mantenere e a rafforzare la loro coesione. Nel designare il suo nemico, che sarà talvolta un altro impero, l’Impero si definisce negativamente, nomina ciò che non desidera diventare, rifiuta che l’altro intervenga nel suo dominio. Sottolineiamo che, contrariamente al Grossraum schmittiano, l'Impero non si accontenta di respingere gli interventi delle potenze esterne: esso stesso si afferma come predatore! Spesso il nome di Impero è abbinato a quello del suo fondatore. Si tratta per lo più di Stati i cui confini furono tracciati a colpi di spada. I loro nomi evocano fantastiche ma brevi epopee. Grandi figure emergono così dalla storia degli imperi che si sono formati più lentamente o che non erano delle monocrazie. In effetti, per perdurare, l’Impero deve costituire un’élite di governo che assicuri la continuità della sua politica. Gli imperi sono spesso formati da popoli che hanno raggiunto un momento di « potenza biologica ». Questa espressione un po’ romantica, riscopre ed esprime una congiuntura straordinaria e complessa di elementi che ha fatto sì che in un dato momento, che dura l’istante di una generazione, un popolo si sia trovato dotato di una grande forza di espansione. Parte di queste cause sono oggettivabili: una forte demografia, una tecnologia superiore, delle istituzioni adatte alla situazione... ma l’essenziale è soggettivo e indicibile: l'energia, la fede nel destino, la convinzione in una superiorità razziale, culturale e religiosa. È così che si vede il piccolo popolo macedone conquistare l’immenso impero persiano o alcune centinaia di conquistadores abbattere le nazioni Inca e Maya. Il bisogno di espansione economica sembra secondo noi secondario, perché esso prende l’avvio dalla volontà di dominare, di cui quello economico non è che un aspetto. Quelli che vogliono solo ammassare delle ricchezze si distolgono dall’Impero e investono i loro sforzi nell’economia mondo. Ricordiamo tuttavia che gli imperi continentali ricercano l’autarchia o almeno l’indipendenza, mentre le potenze marittime sviluppano il libero scambio. Nei due casi, si tratta nondimeno di organismi politici; al contrario, l’economia mondo è economica, essa non mira a governare ma al profitto.

Impero e Stato

L'Impero e lo Stato sono fratelli ma non sono gemelli. Stabiliscono una netta distinzione tra l’interno e l’esterno, delimitano i loro territori per mezzo di frontiere e non tollerano alcuna ingerenza di potenze straniere. Se lo Stato è un’opera della Ragione, l’Impero è un risultato della Storia. Lo Stato centralizzatore combatte tutte le sfere concorrenti: le libertà locali, i poteri personali feudali o confessionali. Esso stabilisce una Legge unica che, valida in tutti i luoghi che controlla. Per lo Stato, la legalità primeggia sulla legittimità. Mentre le questioni di legittimità ostacolano il normale funzionamento dell’Impero, esse non disturbano la burocrazia di Stato che funziona sul modello legale. L'Impero differisce dallo Stato in altri punti essenziali: da una parte, esso combatte i privilegi e i costumi solo nella misura in cui minacciano la sua integrità ; se stabilisce un diritto pubblico uniforme, lascia ai popoli la scelta del loro diritto privato; d’altra parte l’Impero, contrariamente allo Stato, accetta che la sua autorità vari d’intensità da una contrada all’altra. (6) Attualmente il modello statale è superato e questo per un insieme di ragioni :
- il mito dello Stato è morto, non è più animato dalla fede dei rivoluzionari del 1789 e dei loro successori del XIX secolo;
- lo Stato si sgretola, le sfere di potere e di interessi si moltiplicano;
- da questo fatto, il controllo del politico non appartiene più allo Stato ma, all’esterno, agli organismi internazionali, alle forze capitaliste ed alle grandi potenze; all’interno, ai partiti, ai gruppi di pressione; di qui perde la sua ragion d’essere;
- lo Stato, in questo mondo senza confini, è diventato un’entità troppo piccola. (7)
L'Impero, per definizione, non riconosce alcuna autorità superiore. Anche nel campo religioso, esso resiste al clero come fecero i ghibellini. In effetti, l’Impero partecipa anche del sacro, quando l’imperatore è egli stesso dio! Si attribuisce a Luigi XIV la frase: "Lo Stato sono io!", un imperatore dichiarerebbe "Dio, sono io!". L'Impero non tollera alcuna ingerenza di potenze straniere, siano esse temporali o spirituali, nei suoi affari interni o nella sua sfera d’influenza (gli interventi degli USA a Grenada o a Panama seguirono questa logica). Ma questo rifiuto di sottomissione ad un’autorità superiore o anche legale, non basta a legittimare la sua sovranità. In effetti, come scriveva Julien Freund nella sua opera principale: "è politicamente sovrana non tanto l’istituzione che in principio non è subordinata ad alcuna volontà superiore, ma quella che si fa volontà assoluta attraverso la dominazione della concorrenza." In ogni circostanza, anche la più disperata, l’Impero pretende alla prepotenza.

Universalismo e civiltà

L’Impero mira all’egemonia locale, anzi all’universalismo. Un impero sano vuole estendere senza posa il suo dominio e la sua influenza. La volontà di estensione si manifesta in due maniere: sia l’impero controlla un insieme geografico vasto ma limitato, sia tende all’universale. Chiamerei “imperi messianici” quest’ultima categoria, perché l’idea di conquista mondiale è di origine cristiana. In effetti, fu la scuola stoica che sviluppò l’idea dell’universalismo di Roma, ma i filosofi la concepivano come « l’insieme della comunità umana che partecipa alla Ragione (oekoumène)", in opposizione al mondo barbarico. In questo senso ristretto, l’impero romano era sì universale. L'idea fu rafforzata dal cristianesimo. Nel IV secolo, c’era identità tra civiltà romana e cristiana. Dio proteggeva l’Impero. Poco sensibili all’universalismo romano, i barbari furono più ricettivi verso l’universalismo cristiano. Nel Medio Evo, la coesistenza dell’impero bizantino e di un impero d’Occidente costituiva la negazione stessa del principio dell’universalismo romano. Inoltre, i possedimenti di Carlo Magno non inglobarono mai l’insieme delle terre cristiane; in compenso il Sacro Romano Impero della Nazione germanica oltrepassò i limiti del defunto impero romano. L'universalismo cristiano, inteso come "l'insieme degli Stati credenti", non aveva un’unità istituzionale. Quanto agli imperi cristiani, nessuno era agganciato a Roma. La forza dell’idea imperiale risiedeva nel carattere sacro conferito dall’istituzione, ma il sacro era concesso dalla Chiesa, mentre in precedenza l’Impero era sacro in se stesso. (8) Tuttavia, anche se pretende all’universalità, l’Impero è sempre collegato ad un luogo. Come ogni ordine giuridico, esso è situato. L'Impero, prima di essere un’idea, è un territorio. La sua propensione a tracciare frontiere ne è il segno evidente e visibile. (9) Per di più, l’estensione dell’Impero è correlativa a quella di una civiltà. Nonostante i popoli nomadi non fossero portatori di una civiltà – sebbene detenessero una cultura – essi furono tuttavia i media tra civiltà le cui frontiere non erano limitrofe: così l’impero di Gengis Khan collegò l’Europa cristiana, l’Oriente, l’India e la Cina. L'Impero più che uno Stato è uno stato d’animo. Esso si concepisce come uno spazio d’ordine e di ragione attorniato dai barbari. L'imperium permette la conquista, mentre la potestas assicura la conservazione del territorio acquisito. Se l’Impero impone più spesso il suo ascendente attraverso la potenza, non si perpetua che incarnando una civiltà. Esso si costruisce attorno ad un mito. Ugualmente, esso fonda la sua identità e quelle dei suoi popoli. Così in breve nasce una comunità di cultura e di destino. (10) L'Impero, che comprende una molteplicità di etnie, è governato da una casta che non dipende dal locale. La sua burocrazia non è ereditaria. È perché il sovrano si attornia spesso di eunuchi privi di discendenza di affrancati interamente devoti al loro padrone. Anche gli imperi feudali tentarono di creare un’élite di governo non ereditaria: i primi feudi ed i timars turchi non derivavano da un patrimonio familiare, ma erano concessi dal sovrano in cambio di servizi; nell’impero carolingio, il giuramento di vassallaggio (un legame personale) rafforzava la fedeltà allo Stato (più astratto) senza sostituirvisi. (11) Questa élite di governo sarà la portatrice della civiltà imperiale. Infine, sottolineiamo che il sistema imperiale si concilia difficilmente con la democrazia, soprattutto parlamentare. Tuttavia l’Impero non è necessariamente una monocrazia, basta una concentrazione dei poteri (oligarchia, aristocrazia, ...).

Spazio e durata

Le dimensioni dell’Impero sono difficili da valutare. Jean Thiriart sosteneva che la grandezza minima varia a seconda delle epoche. I più vasti si attraversavano in 40-60 giorni di viaggio. Il modo di trasporto determina allora la grandezza (i messaggeri dell’impero Han raggiungevano i confini dell’impero in 6 settimane, le marine di Carlo V avevano bisogno di qualche settimana per giungere alle Americhe). A quel tempo, minimo e massimo sono impossibili da fissare: le conquiste mongole e i possedimenti di Carlo Magno portano il nome di impero. Sembrerebbe dunque che sia sufficiente essere, in un’epoca e in una data area, uno Stato più grande degli altri per meritare il titolo di impero. Per la sua dimensione, l’Europa raggruppa popoli diversi, cosa che incita il governo al rispetto delle particolarità regionali ed alla tolleranza religiosa (la persecuzione dei cristiani fu dovuta alla loro intransigenza ed alla loro arroganza che minacciavano l’ordine imperiale). Ma, attraverso un processo naturale, le culture locali si indeboliscono poco a poco a vantaggio di una eminente civiltà imperiale. L'Impero ha bisogno di estendersi, ma deve mantenere una certa omogeneità: esso ingloba una molteplicità di popoli, ma questi devono condividere il maggior numero di valori comuni: ideologici, religiosi, istituzionali e linguistici... Evidentemente, una unità religiosa, linguistica o culturale può in parte compensare l’aspetto composito dell’Impero. La cultura imperiale appartiene spesso a – ed è creata da – un’élite di governo (cultura romana, confucianesimo..). Esiste in seno all’Impero una tensione perpetua tra le etnie e lo Stato centrale. L'Impero sopravvive in quanto mantiene la sua coesione, la regione in quanto mantiene la sua identità. La nozione di durata appare ancora più difficile da discernere. In effetti, da una parte l’Impero si vuole eterno; d'altra parte, numerosi imperi sono crollati alcuni anni dopo la loro nascita. Si tratta in particolare di imperi costituiti da grandi capi guerrieri e da popoli nomadi (Alessandro, Gengis Khan, Tamerlano, Attila... ). La durata in sé, non ha dunque importanza, essa è più il segno di una riuscita che una caratteristica propria all’Impero. Tuttavia, i lustri determinano due grandi tipi d’imperi: quelli che non hanno il tempo di strutturarsi e gli altri. Certi parleranno di imperi abortiti, ma il loro numero e la loro influenza nella Storia, non permettono di scartarli.

Morte dell’Impero

Per Wallerstein, la centralizzazione costituisce a volte la sua forza a volte la sua debolezza, perché da una parte permette di attirare la ricchezza eccedente verso il centro, ma dall’altra induce una certa rigidità, un conservatorismo che può giungere al rifiuto dell’evoluzione tecnologica. L'apparato burocratico, quando si sclerotizza, assorbe una parte troppo grande delle somme raccolte e il governo perde allora il margine di manovra che gli è necessario per realizzare i suoi obiettivi politici e strategici. (12) Per Gilissen al contrario, le cause della decadenza dell’Impero sono più o meno le stesse che presiedono alla sua formazione. Come prima, egli pone l’« arretramento dell’aggressività » o, se si preferisce, dell’imperialismo. Una serie di sconfitte militari risultanti da una relativa decadenza tecnologica, da dissensi interni, da disordini amministrativi o dall’incapacità dei capi militari, conducono l’Impero verso la sua fine. L'Impero maturo tende per natura a rimanere sulla difensiva. Mentre i conflitti intermi prendono spesso il posto delle guerre con l’esterno. Nel caso degli imperi formati da rapide conquiste, è spesso la megalomania del capo che porta alla loro rovina, quando l’ambizione sorpassa i mezzi. L'esempio di Alessandro il Grande è tipico. Suo padre Filippo si sarebbe probabilmente limitato alla conquista dell’Anatolia, della Siria e forse dell’Egitto, ma non sarebbe penetrato più avanti, nel cuore dell’impero achemenide. Così agendo, il suo impero sarebbe stato meno labile, avrebbe compensato in durata ciò che perdeva in termini di spazio. Ma, di fatto, senza questa grande avventura, la cultura ellenistica non avrebbe raggiunto il bacino dell’Indo. L'Impero è colpito assai spesso da guerre di successione. Lo Stato ne esce indebolito e gli eredi si spartiscono i territori (Carlo Magno). Inoltre, nessuna dinastia sfugge alla degenerescenza genetica. Certi Stati praticano altri metodi di successione, ma non sempre giungono a rinnovare l'élite dirigente. I popoli sottomessi si rivoltano, sia perché temono che la loro cultura sia sradicata a vantaggio della civiltà imperiale o di quella del popolo dominante nell’Impero, sia perché il mantenimento dello Stato centrale diviene troppo pesante in rapporto ai servizi che esso rende (mantenimento dell’ordine, della giustizia, delle infrastrutture...). L'Impero può essere sentito come « etnocida ». L'Austria-Ungheria e l’impero ottomano non riuscirono ad assimilare le diverse nazionalità che li componevano, rivendicando ciascuna delle etnie la creazione di uno Stato-nazione. Gli imperi coloniali si sono disgregati perché la Metropoli li sfruttava senza alcuna contropartita (indipendenza degli Stati Uniti). Durante la sua fase discendente l’Impero spesso si feudalizza, ma non è sempre un segno di decadenza; si ha un effetto conosciuto nell’impero feudale. Quando il popolo dominante s’indebolisce, la sua posizione privilegiata viene contestata; se si arrocca sui suoi vantaggi mentre non è più in grado di adempiere ai suoi impegni, l’Impero si disgregherà. Ma, in numerosi imperi, essendosi realizzata una certa assimilazione, l’etnia dominante può essere sostituita da un’etnia concorrente o da una casta cosmopolita interamente devota alla causa dello Stato federale. I disordini nell’amministrazione sono spesso evocati come causa di decadenza dell’Impero, ma ci sembra che si tratti piuttosto della conseguenza dei punti precedenti. Ugualmente, il declino economico si spiega più spesso con un arretramento tecnologico, con disordini interni, con una cattiva gestione, con una mancanza di dinamismo e, spesso, con una bipolarizzazione della società in una massa di servi laboriosi e pochi grandi proprietari, con la conseguenza della scomparsa degli uomini liberi che fornivano i contributi e le reclute per l’esercito.

Europa (13)

L'Europa è sempre stata divisa linguisticamente e politicamente, ma condivide una comune eredità culturale: le civiltà greco-latina e cristiana. Il geografo Pieter Saey, che ha contribuito all’opera collettiva dedicata ai grandi miti della storia belga sotto la direzione di Anne Morelli , rifiuta all’Europa il titolo di continente. Egli contesta anche che l’Europa sia uno spazio culturale unificato, perché resterebbe da creare una cultura supernazionale Tuttavia egli scopre quattro mobili storici che hanno favorito l’emergere di una coscienza sopranazionale: la difesa contro i Turchi (motivazione che potrebbe tornare in primo piano sotto la forma del fondamentalismo islamico), la dominazione di una potenza sulle altre (il rispetto dell’equilibrio europeo), il mantenimento della pace ed il bisogno di un allargamento del mercato (che in sé non è sufficiente per forgiare un’idea europea). L'autore conclude: "La definizione di questo (= lo spirito europeo) è variata in funzione delle realtà che gli autori avevano sotto gli occhi e non ha alcuna perennità. Non più della continuità nel tempo che hanno le diverse definizioni dell’Europa storica e geografica." (14) A sostegno della sua tesi egli propone una serie di cartine che disegnano le diverse forme che l’Europa ha potuto prendere nel corso della sua storia. Di fatto, secondo le epoche prese in esame o secondo gli autori scelti, l’Europa cambia considerevolmente di dimensione e di forma: tanto si riduce al mondo della Grecia classica, quanto si estende al mondo cristiano o ingloba la civiltà celtica... Con queste avvertenze, il signor Saey spera di impedire che un mito europeo sostituisca un mito nazionale, perché egli è verosimilmente devoto dell’universalismo. Il suo contributo chiude d’altronde l’opera diretta da Anne Morelli, cosa che non è innocente. (15) Certi non sembrano voler comprendere che l’Europa e l’Impero sono dei concetti dinamici che non possiedono dunque dei limiti fissati definitivamente. Alla mutevolezza dell’Europa nello spazio, noi opponiamo la permanenza dell’idea dell’Impero nel tempo. Dalla deposizione di Romolo Augusto, Impero ed Europa non coincidono più. Il nostro continente riscoprirà la sua potenza quando avrà di nuovo realizzato l’adeguamento tra il suo territorio e la sua civiltà. "L'Impero non è una democrazia" gemono altre anime buone... In effetti, come già sottolinearono i filosofi dei Lumi e i più grandi giuristi del XVII secolo, la democrazia non conviene che ai piccoli Stati. Questo non impedisce che essa possa esistere in seno all’Impero, a livello locale. Noi concepiamo naturalmente, al centro, uno Stato potente e aristocratico (in senso etimologico) che si prenda carico della politica estera, dell’esercito, dei grandi indirizzi economici e, alla periferia, delle regioni che esercitino le competenze di istruzione e cultura e assicurino l’amministrazione locale. Inoltre, come scriveva Jean Thiriart, "La libertà (reale e non formale) è direttamente proporzionale alla potenza della propria patria". I cittadini di una nazione asservita sono dei servi, quale che sia il suo modo di governo; essi non sono liberi se una potenza esterna impone loro una maniera di pensare e di agire.

I nostri nemici

Domandiamoci piuttosto, al di là di ogni considerazione morale, se l’Europa possieda i mezzi della grandezza. A grandi linee, possiamo mettere avanti che gli elementi determinanti sono la forza militare, il potenziale industriale o la ricchezza, la popolazione e la superficie. Quando la si vede come un insieme coerente, l’Europa detiene questi elementi. Solo altri due poli godono di vantaggi paragonabili: gli Stati Uniti e il Giappone. (16) (e a quest’ultimo manca la superficie). La CSI è fuori gioco per molto tempo e la Cina non ha ancora raggiunto un grado di sviluppo sufficiente, ma in avvenire bisognerà senza dubbio competere con questi attori di secondo piano. L'Impero europeo, in senso lato, si inscriverebbe logicamente nel lignaggio romano. Diverse minacce lo incitano a formarsi : i barbari (17) musulmani, i barbari mercantili e i due poli concorrenti. È solo nominando i suoi nemici che l’Europa riscoprirà il suo destino. Gli integralisti musulmani non costituiscono ancora un serio pericolo dal punto di vista militare, ma essi rappresentano un fattore di turbolenza sul lato meridionale dell’Europa e all’interno stesso dei suoi confini. Ricordiamo che i movimenti islamici sono in parte finanziati dagli Stati Uniti, altro nostro nemico... Per "barbari mercantili", noi designano gli speculatori internazionali, coloro che giocano al casinò-economia, contro i quali l’Europa dovrà proteggersi. Il Giappone ha accresciuto il suo peso associandosi in seno all’ASEAN ai "piccoli dragoni asiatici". Ma l'insieme manca di coesione politica. Tra i membri dell’ASEAN si trova anche il Viet-Nam ex-comunista che, spaventato dal riarmo cinese, cerca degli alleati. I piccoli paesi membri si sono sviluppati più velocemente del Giappone che ha così perduto la sua preminenza assoluta in seno all’ASEAN. È probabile che il Giappone tenterà di estendere la sua influenza verso le steppe russe ricchissime di materie prime. Esso inizierà allora una corsa con l’Europa e forse con la Cina il cui atteggiamento sarà determinante per l’equilibrio della regione. Farà concorrenza al Giappone o si alleerà con esso? Gli Stati Uniti presentano delle singolari caratteristiche: essi non si sono costituiti a partire da un gruppo di comunità storiche, ma a partire da un magma di individui venuti dai quattro angoli del mondo. La loro cultura è il risultato del sincretismo di valori importati. Questa cultura è considerata come un oggetto commerciale, un mezzo per fare in modo che l’altro finisca per assomigliare a loro, accettando i loro prodotti. Mentre l’Impero cerca la distinzione, gli Stati Uniti mirano all’assimilazione. La loro strategia si confonde con quella dell’economia mondo.

Il nostro passato e il nostro avvenire

L'Impero è il mezzo per superare la nazione e la regione. È il solo mito in grado di forgiare un patriottismo europeo. Ma, troppi regionalisti vogliono creare dei mini Stati-nazione. Eppure il XXI secolo sarà l’era dei grandi insiemi. Ma lo Stato-nazione desidera la legalità, l’uniformità, la centralizzazione. Esso stabilisce una legge unica sull’insieme del suo territorio. Al contrario, l’Impero non possiede un’autorità eguale su tutte le nostre contrade. Certe regioni giungono a beneficiare di statuts particolari, transitori o definitivi. Così, nell’impero romano, il diritto romano si sovrapponeva ai diritti locali senza eliminarli. Naturalmente, il diritto pubblico era unificato ma, nelle questioni private, il cittadino ricorreva a seconda del caso al diritto romano o al diritto locale. Gli usi e costumi delle diverse etnie era così preservati. L'esistenza di status intermedi facilita l’integrazione di nuovi paesi: certi, che rifiuterebbero un’integrazione immediata, accetterebbero tuttavia un procedimento più attenuato che gestirebbe un periodo di adattamento. Quanto alla risoluzione dei conflitti etnici attraverso l’Impero, essa è un dovere ed una necessità. In un modello imperiale, la questione dell’intervento armato in Yugoslavia non si sarebbe posta. Che questa regione sia sul limitare dell’Impero o all’interno, le sue legioni avrebbero marciato immediatamente. Noi assistiamo ad un fenomeno nuovo: un insieme di Stati-nazione tentano di unirsi. Ma l'ideologia liberale spinge verso l’Europa minimale, la confederazione; ora l'Impero ha bisogno di un centro unificatore, aggregante, di un nucleo solido. L'esempio dell’Austria-Ungheria ci interessa primariamente, perché si avvicina per diversi aspetti alla situazione europea. Dapprima per il suo processo di formazione: essa si costituì per aggregazione pacifica di un insieme di principati a seconda delle eredità della famiglia Habsbourg. Ma esplose sotto la pressione delle diverse etnie che, infettate dall’ideologia liberale, reclamarono la costituzione di Stati-nazione. Per alcuni decenni, la stessa Austria-Ungheria fu uno stato bicefalo. La Cisleithania e la Transleithania sostenevano un sovrano in comune incoronato due volte. Ma le due parti dell’Impero si governavano secondo una logica di Stato contraddittoria con la nozione d’Impero. Non si trattava di un insieme di etnie infeudate all’Imperatore, ma di una confederazione di due Stati, essi stessi poco omogenei. In uno dominavano i Tedeschi, nell’altro gli Ungheresi, ma ognuno comprendeva numerosi popoli minoritari. I Tedeschi accordavano loro l’autodeterminazione, ma loro stessi non disponevano di uno Stato proprio, mentre gli Ungheresi ne possedevano uno che raggruppava altre etnie i cui diritti di autonomia non erano riconosciuti. Tuttavia, l’Impero avrebbe potuto perpetuarsi dopo la I guerra mondiale se gli alleati non avessero deciso altrimenti. L'instaurazione di una pax austria avrebbe impedito numerose guerre balcaniche. Noi paghiamo ancora intellettualmente i Trattati di Versailles e di Saint-Germain che hanno diviso l’Europa. (18) La costruzione europea passa necessariamente per la distruzione dei vecchi Stati-nazione. Due processi sono in vista; il primo, attenuato, consisterebbe nella progressiva devoluzione delle loro competenze verso l’Europa e le regioni, il secondo, brusco, potrebbe sopraggiungere se i nostri politici proseguissero nella loro cecità: il distacco pezzo per pezzo della Comunità, come accadde all’ex Cecoslovacchia. Chi costruirà questa Europa ? In questo campo, i nostri uomini politici si rivelano, come spesso accade, tanto generosi nelle parole quanto avari nei fatti. Noi conosciamo una casta di funzionari europei, ma la maggior parte di essi rivendica più un Grande Mercato che un’Europa politica, una economia-mondo invece di un impero! Inoltre, la volontà di riconoscere il nemico non esiste ancora. Non facciamo maggior conto del corpo elettorale. Gli uomini diffidano naturalmente del cambiamento e dell’ignoto. Finché conserveranno qualche speranza nell’attuale sistema, non discerneranno le cause profonde della crisi e avranno timore di perdere le magre rendite che lo Stato loro ancora garantisce, essi non si rivolteranno. Eppure non difenderanno più questo sistema di cui sono scontenti. Essendo la rivolta aperta esclusa dai loro spiriti, certi esprimono la loro disapprovazione attraverso il voto. Ma, tra gli stessi, ne troverete pochi che accetteranno di firmare la presentazione di candidati di una piccola lista contestatrice o rivoluzionaria. Solo nel segreto e nell’anonimato della cabina elettorale, essi osano svelare il loro sentimento. Sfortunatamente, un risultato statistico non ha mai modificato il corso della Storia. In più oggi la maggior parte della gente non conosce dell’Europa che dei regolamenti coercitivi, delle delocalizzazioni e dei raggruppamenti d’imprese, come i "piani di convergenza di bilancio" in vista di creare la moneta unica. Niente che sollevi l’entusiasmo delle masse... Infatti, l’Europa non si realizzerà che sull’orlo di un abisso, quando essa apparirà come l’ultima risorsa. Essa sarà un’opera della Storia e non della ragione. Ma prima dovrebbe costituirsi un partito, un ordine europeo perché, venuto il momento, gli eventi precipiteranno ad una tale velocità che nessun gruppo disporrà del tempo necessario alla sua strutturazione. La rivoluzione francese offre un buon esempio della deriva verso il caos. Un piccolo gruppo risoluto e ben organizzato può riportare un grande successo, tanto più che una crescente maggioranza della popolazione è apatica. Affiliamo dunque le nostre armi in attesa che sopravvenga il momento propizio.



NOTE

1- TOYNBEE (Arnold), La grande aventura dell’umanirà, Paris, 1994 (1^ ed. inglese 1976), 565 p.
2 - WALLERSTEIN (I.), Capitalismo ed economia-mondo (1460-1640), Paris, 1980, t. I, p. 313.
3 - JACQUES et SCHEID (John), Roma e l’integrazione dell’Impero, Paris, 1992 (2^ éd.), p. 29-37 e bibliografia p. XXII-XXV (n°246 à 322).
4 - Il presente articolo deve molto a GILISSEN (John), I Grandi Imperi. La nozione di impero nella storia universale, Bruxelles, Editions de la Librairie encyclopédique, 1973, p. 759-885 (Antologia della Société Jean Bodin per la storia comparativa delle istituzioni, XXXI) che è la conclusione e la sintesi di un colloquio organizzato dalla stessa società nel 1971. Si troveranno anche numerose rassomiglianzr tra l’idea di Impero e il concetto di Grossraum elaborato da Carl Schmitt : FEUERBACH (Jean-Louis), La tworia del Grossraum in Carl Schmitt, in Complexio oppositorum. Uber Carl Schmitt, éd. Helmuth Quaritsch, Berlin, (1986), p. 401-418. Tuttavia, se ogni impero possiede un Grossraum, il Grossraum non si confonde con l’Impero, il Grossraum va oltre le frontiere dell’Impero.
5 – Osservazione di Alain Besançon nel corso di un colloquio: Il concetto di impero, dir Maurice Duverger, Paris, PUF, 1980, p. 482-483 (Centro di analisi comparativa dei sistemi politici).
FREUND (Julien), L'essenza della politica, Paris, 1986 (1^ éd. 1965), p. 558ss.
6 - FEUERBACH (Jean-Louis), op. cit., p. 404; THIRIART (Jean), La grande nazione europea. L'Europa unitaria. Definizione di comunitarismo europeo., S.L., 1964, passim.
7 - FREUND (Julien), op. cit., p. 129.
8 - FOLZ (R.), L'idea di impero in Occidente. Dal V al XIV secolo, Paris, 1953, 251 p. (Collection historique). 9 - Jean-Louis FEUERBACH scrive a questo proposito : "Un Grossraum deve in effetti dapprima dimensionarsi uno spazio (...) federatore", op. cit., p. 406-407. Sulla nozione di frontiera nello spirito dei Romani, si consulti WHITTAKER (C.R.), Frontiere dell’impero Romano. Uno studio sociale ed economico, Baltimore-londres, 1994, XVI-340 p. et Frontiere d’Impero. Natura e significato delle frontiere romane. Atti della tavolo rotonda internazionale di Nemors 1992, Nemours, 1993, 157 p. (Mémoires du Musée de la préhistoire d’Ile-de-France, 5).
10 - "L'Impero è (qui) sia una comunità di cultura che una comunità di destino" THIRIART (Jean), La grande nazione. L'Europa unitaria. Definizione del comunitarismo nazionale europeo, Bruxelles, Machiavel, 1992 (3^ ed.), (nuova) tesi 34.
11 - WERNER (K.F.), Limpero carolingio e il Sacro Impero, ne Il concetto d'Impero, dir. M. Duverger, Paris, 1980, p. 151-198.
12 - WALLERSTEIN, op. cit., p. 19-20.
13 - Vedi anche LOHAUSEN (Generalel Jordis von), Reich Europa (L'Impero europeo), pubblicato in Nation Europa, maggio-giugno 1981; traduzione ed edizione francese : SAUVEUR (Yannick), Jean Thiriart e il nazional-comunitarismo europeo, Charleroi, Machiavel, 1984, p. 213-229.
14 - SAEY (Pieter), Le frontiere, l’antichità e la natura dell’Europa, ne I grandi miti della storia di Belgio, de Fiandra e Wallonia, dir. Anne Morelli, Bruxelles, EVO, 1995, p. 293-308.
15 - Idem, p. 307-308.
16 – Abbiamo d’altronde giù avuto l’occasione di criticare l’opera collettiva diretta da Anne MORELLI : KISTERS (Frédéric), A proposito dei « grandi miti della storia del Belgio » di Anne Morelli. La storia manipolata, ins Nation Europe, n° 6, 1996, p. 23-25.
17 - KISTERS (Frédéric), L'Europa nel mondo tripolare, in Vouloir, n°1(AS 114/118), 1994, p. 45-53. "Barbari" nel senso di estranei all’Impero e alla sua civiltà.
18 - BEHAR (Pierre), L'Austria-Ungheria, idea per l’avvenire: permanenze geopolitiche dell’Europa centrale e balcanica, Paris, 1991, 187 p. (Le Bon Sens); FEJTÖ (François), Requiem per un impero defunto: storia della distruzione dell’Austria-Ungheria, s.l., 1988, 436 p.

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