Articolo di chiaro stampo cattolico, è particolarmente interessante per riflettere sulle figure della rivoluzione cubana e non solo
Franco Cardini, da ultimo, ha pubblicato, per i tipi de La Vela editore, un libro con un titolo molto significativo: “Neofascismo e neoantifascismo”. Dal noto storico fiorentino lo scrivente ha imparato, contro ogni storicismo, che la storia non ha alcun senso immanente e, contro ogni determinismo, che la storia è sempre imprevedibile. Benché sia possibile individuare alcune costanti, più che altro dovute al comportamento umano, quindi di carattere antropologico, essa ha un andamento carsico. Molte sono le connessioni, le relazioni, le corrispondenze insospettabili per coloro che si fermano al luogo comune alimentato dal basso livello di molta divulgazione mediatica.
Il paradigma consolidato vorrebbe, ad esempio, che tra fascismo e antifascismo ci sia soltanto scontro e mai incontro. Invece gli incontri, al di sotto della superficie e delle apparenze, non solo ci sono stati ma sono stati non episodici ed assolutamente sostanziali. Senza ricorrere all’appello che Togliatti, nel 1936, rivolgeva alla sinistra fascista, chiamando i fascisti di sinistra “fratelli in camicia nera”, e senza d’altro canto rammentare i “corporativisti impazienti delle more di sviluppo di una idea” con cui Giovanni Gentile nel 1943 si rivolgeva ai comunisti, vogliamo qui scavare negli anfratti delle simpatie e delle segrete complicità rintracciabili tra alcune forme di populismo, a modo loro “cristiano”, generalmente, e molto inappropriatamente, bollate come di destra o di sinistra.
Parliamo di movimenti e regimi politici nati in area culturale ispanica, tra penisola iberica e America latina: falangismo, franchismo, peronismo e socialismo cubano.
I primi tre vengono ritenuti di destra e l’ultimo di sinistra. In realtà già tra i primi tre la classificazione a destra è molto problematica: perché se certamente autoritario e nazional-conservatore fu il franchismo, altrettanto non si può dire né del falangismo originario né del peronismo argentino che furono piuttosto movimenti nazionalisti di modernizzazione con forti propensioni sociali se non addirittura socialiste e, pertanto, annoverabili, pur con tutte le loro peculiari caratteristiche, nella tipologia “fascista”, la quale di per sé già sfugge al riduttivo schema “destra-sinistra” ricomprendendo, appunto, quei movimenti che tentarono nel XX secolo una sintesi tra nazionalismo e socialismo.
Ma è soprattutto del socialismo caraibico che si dovrebbe evidenziare il carattere affatto marxista, nel senso duro e puro della filosofia dialettico-materialista di Marx, quanto piuttosto populista tipicamente sudamericano, quindi persino a suo modo “cristiano”, che lo avvicina strettamente al peronismo argentino.
Tanto Che Guevara quanto Fidel Castro non nascono comunisti, semmai lo diventano. E lo diventano secondo una esegesi che non consente di classificarli come marxisti in senso stretto.
Il Che e il Lider Maximo nascono nazional-populisti. Iniziarono la loro avventura politica in nome delle rivoluzioni nazionali “libertadoras” e antimperialiste. Riecheggiava qui, senza dubbio, l’eredità bolivariana, da sempre forte nel Sud America, e, mediante essa, anche un certo influsso “massonico progressista” (1). Ma, soprattutto, vi era, in quell’inizio, l’eco del giustizialismo argentino, del peronismo. Il colonello Juan Domingo Perón in pochi anni era riuscito a modernizzare l’Argentina, in nome dell’indipendenza economica della Nazione, per sottrarla dal dominio del capitale anglo-americano, e in nome della giustizia sociale attuata secondo un interclassismo socialmente avanzato. «Vogliamo un’Argentina socialmente giusta, economicamente libera e politicamente sovrana», era scritto nel Manifesto politico di Perón.
Tuttavia vi era, nella fase iniziale della rivoluzione nazionale cubana, anche un terzo, potente influsso culturale, mediato per l’appunto dal peronismo: quello del falangismo joseantoniano, mai giunto effettivamente al potere ma la cui eredità ideale si era sparsa per tutto l’orbe ispanofono.