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lunedì 12 giugno 2023

Clochemerle ovvero la politica dell’orinatoio (Jean-Claude Michéa)

*Clochemerle è un piccolo villaggio creato dalla fantasia dello scrittore Gabriel Chevallier, diventato sinonimo di luogo d’intrighi e di bassezze (N.d.T.).

kalessaradan Paul Bielaczyc

La fusione che Jaurès e Millerand invocavano con le loro raccomandazioni tra il movimento operaio socialista – che fino a quel momento si era tenuto in disparte rispetto alle divergenze parlamentari tradizionali [a] – e la sinistra radicale e repubblicana (è quel sistema integrato che definirà da quel momento in poi la nuova sinistra del XX secolo) entrerà definitivamente nel costume politico francese solo nel corso degli anni Trenta e per effetto della crescente minaccia del fascismo hitleriano
[b] (da questo punto di vista, dunque, è proprio l’esperienza dei Fronti popolari che consentirà di fare attecchire nell’immaginario collettivo l’idea – che oggi quasi più nessuno pensa di contestare – secondo la quale una sensibilità di sinistra include, per definizione, una dimensione «sociale», se non addirittura anticapitalista). Ciò significa, tra l’altro, che fino alla fine degli anni Venti – se si lascia da parte un istante la scena parigina e si volge lo sguardo verso la «provincia» (il vero luogo della politica, diceva Albert Thibaudet) – ciò che ancora definiva il più delle volte un «uomo di sinistra» (espressione che del resto inizia a diffondersi solo all’indomani dell’affaire Dreyfus) era non tanto la sua lotta contro la modernizzazione capitalistica del mondo quanto la sua accanita opposizione repubblicana e «radicale» alle «forze reazionarie», vale a dire alle ultimissime sopravvivenze [c] del potere della Chiesa cattolica e dell’antica aristocrazia terriera [d].

venerdì 26 agosto 2022

Il vero volto dei democratici (Jean Thiriart)


Miti della democrazia e realtà delle plutocrazie occidentali

I democratici umanitari che affermano che gli uomini sono uguali e che, sulla base di questa convinzione, distribuiscono il diritto di voto a tutti, non possono rivendicare alcuna giustificazione sperimentale per le loro convinzioni e azioni. Sono uomini che hanno una fede e che agiscono di conseguenza, senza cercare di scoprire se quella fede corrisponde alla realtà oggettiva.” Aldous Huxley


Tutti i nostri sistemi pseudo-democratici si basano su diverse false premesse, la principale delle quali è che i numeri - cioè la maggioranza - fanno la legge. Nella misura in cui tutti gli uomini sono uguali nelle capacità intellettuali e morali, nella misura in cui l'opzione impegna la responsabilità, il sistema che consiste nell'installare il dominio di 51 persone su altre 49 è già altamente discutibile.

MA GLI UOMINI SONO TUTTI UGUALI?


L'osservazione elementare della misura ci insegna che gli uomini sono diversi, diseguali. Ogni uomo è una miscela di vari doni (carattere, intelligenza, salute) e di qualità acquisite e varie (cultura, discernimento). Così, quando un uomo esprime o sostiene un'opinione, può farlo per ignoranza, per soddisfare gli appetiti materiali o con discernimento.

Le opinioni crude sono estremamente varie perché gli uomini sono estremamente diseguali. Molti, anche se lasciati a se stessi, hanno la decenza di ammettere di non avere un'opinione, per mancanza. Le prese di posizione importanti sono possibili solo dopo un minimo di condizionamento.

Tutta la democrazia logomachica e parlamentare si basa sul falso postulato che un voto vale l'altro. Così l'analfabeta avrà lo stesso peso dell'accademico quando si tratta di cambiare le strutture dello Stato; e il rentier avrà lo stesso peso dell'operaio quando si tratta di valutare gli standard di un lavoro manuale decente.

Tutti sono responsabili di tutto. Questa è di fatto l'anarchia. Questa anarchia è però temperata da un altro vizio fondamentale, il secondo dei mali che attenua la gravità del primo, cioè il condizionamento.

venerdì 31 dicembre 2021

Per una politica rivoluzionaria (Ernst Niekisch)

Rivoluzione nazionalbolscevismo, Niekisch

Le analisi di Niekisch come questa sono fondamentali per una serie di motivi: sono una ricostruzione storica lucida e di prim'ordine; parlano di un'occupazione politica e culturale dalla quale liberarsi, situazione che viviamo anche oggi; sottolineano l'importanza della geopolitica e della politica estera; indicano come filosofia occidentalista e dominio di potenze occidentali sia la stessa cosa. Anche se questo scritto è del 1926, abbiamo ancora
 tanto da imparare.

*

Ma bisogna dire questo: se firmiamo questa pace, ci porremo sotto la costrizione della forza. Nel nostro cuore, rifiutiamo questa pace” – Vorwärts, 8 maggio 1919


La politica tedesca in quanto tale non può avere altri obiettivi che la riconquista dell'indipendenza nazionale, la rottura dei vincoli imposti, e la ricostituzione di un'importante influenza globale. Dal punto di vista tedesco, che è naturalmente il nostro, non c'è niente di più importante di questi obiettivi. Tutta la nostra politica domestica, sociale, economica e culturale deve ricevere questo impulso, la sua linea generale e lo spirito che lo domina. Il sentimento di questa necessità è quasi onnipresente! Quante volte, lasciandoci pervadere dalle preoccupazioni della politica interna, la politica estera ha abbandonato il nostro campo visivo. Ci sono “grandi” giornali tedeschi che non parlano quasi mai di politica estera, come se questo la rendesse parte delle banalità della nostra esistenza nazionale. Al contrario, ogni ritardo alla modifica dell'insegna dell’erario, ancora in stile monarchico, li preoccupava in grande misura. Senza una parola da dire, nemmeno infastiditi, non avendo la coscienza tranquilla, si privano del gioco della politica globale, in ragione della nostra debolezza, imponendoci innumerevoli umiliazioni, ingiustizie e pericolosi attacchi contro il futuro del Reich. Così larghi strati della nostra gente cercano la causa della loro sventura esclusivamente nella situazione politica interna. Sperano che basti sostituire qualche alto funzionario, sciogliere un'organizzazione segreta, imporre dazi differenti alle importazioni, ridurre le tasse doganali, convocare o sciogliere il Reichstag, procedere con nuove elezioni, che tutto cambi all'interno del Paese. Ignorano il contenuto del Trattato di Versailles. Non sanno che il commissario incaricato dei risarcimenti è l'uomo più potente della Germania, che le nostre ferrovie e il nostro denaro sono nelle sue mani. Non hanno idea di prospettare i debiti che pesano su di noi e non capiscono che il Piano Dawes, in definitiva, è una questione che tocca gli stipendi dei tedeschi. Il tenore di vita del lavoratore tedesco si riduce nella misura in cui rimborsiamo gli obblighi del Piano Dawes. Il costo della vita per il lavoratore, da una parte, e il Piano Dawes accanto al Trattato di Versailles, dall'altra, sono incompatibili. Strappare questi trattati, revocare gli obblighi che impongono, rompere gli impegni sarebbe l'unica politica tedesca che salverebbe l'operaio da un assoggettamento irrimediabile. A questo punto le esigenze del lavoratore e gli interessi della Nazione coincidono: se egli oserà lottare per il suo spazio vitale e la sua libertà, guiderà, allo stesso tempo, la battaglia per la liberazione di tutta la Nazione. La missione nazionale a noi affidata e il modo in cui essa sarà adempiuta dipenderanno dalla sua futura posizione sociale e politica.

sabato 3 luglio 2021

Democrazia morbosa (José Ortega y Gasset)

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Le cose buone che accadono nel mondo ottengono in Spagna solo una pallida eco.
Al contrario, quelle terribili risultano incredibilmente efficaci e qui acquisiscono intensità maggiore che altrove. Ultimamente l’Europa ha subito una grave svalutazione della cortesia e, contemporaneamente, in Spagna si è giunti al trionfo della scortesia. La nostra razza malaticcia si sente lusingata quando è invitata ad assumere una condotta plebea, alla stessa stregua di un corpo immobilizzato al quale venga permesso di allungarsi a suo piacimento. Il plebeismo, trionfante in tutto il mondo, la fa da tiranno in Spagna. E siccome ogni tirannia è insopportabile, sarebbe auspicabile preparassimo la rivoluzione contro il plebeismo, il più insopportabile di tutti i tiranni.

Dobbiamo ringraziare per l’avvento di una così irritante monarchia il trionfo sulla democrazia. Al riparo di questa nobile idea, la perversa affermazione di tutto ciò che è basso e volgare si è insidiata nella coscienza pubblica.

Quante volte capita! La bontà di una cosa travolge gli uomini, e messisi questi al suo servizio si dimenticano facilmente che ci sono molte altre cose buone con le quali è necessario far convivere la prima, sotto pena di trasformarla in pessima e funesta. La democrazia, in quanto tale, intesa cioè nel senso stretto ed esclusivo di norma del diritto politico, sembra essere un’ottima cosa. Però la democrazia esasperata e al di fuori dei suoi limiti, la democrazia nella religione o nell’arte, nel pensiero e nell’azione, la democrazia nel cuore e nell’abitudine è il peggior morbo che può affliggere una società

Tanto più ridotta è la sfera di azione di un'idea, tanto più perturbatrice sarà la sua influenza se si pretende proiettarla sulla totalità della vita.

Immaginatevi quello che succederebbe se un vegetariano convinto aspirasse a guidare il mondo dall’alto del suo vegetarianesimo culinario: in arte censurerebbe tutto ciò che non fosse paesaggio orticolo; l’economia nazionale sarebbe prevalentemente agricola; la religione ammetterebbe solo arcaiche divinità cerealicole; la scelta dell’abbigliamento oscillerebbe solo tra canapa, lino e iuta e, in filosofia, si ostinerebbe a propagandare una botanica trascendentale.

Ebbene non appare meno assurdo l’uomo che, come ce ne sono tanti oggi, ci viene accanto e ci dice: “lo sono innanzitutto un democratico”.

domenica 6 giugno 2021

Che significa Destra e Sinistra? Due essenze introvabili (Marco Tarchi)

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Qualunque manuale di scienze sociali insegna che il trattamento classificatorio dei concetti deve sempre seguire due regole: fondarsi su un unico criterio esplicito di distinzione e produrre categorie esaustive ed esclusive. Per usare le parole di un politologo, l'esaustività di una classificazione "implica che ogni unità debba essere attribuita ad una classe. L'esclusività richiede che nessuna unità sia attribuita a più di una classe". I molti tentativi di classificare scientificamente le ideologie e i comportamenti politici sulla base di categorie come destra, sinistra e - residualmente - centro non hanno quasi mai seguito questa elementare indicazione, ed ogni volta che hanno cercato di conformarvisi (ultimo il caso di Norberto Bobbio, col suo recente volumetto di grande successo) si sono invischiati in aporie indistricabili.

Il problema potrebbe essere aggirato convergendo su definizioni minimali e di più ristretto raggio esplicativo, che, senza alcuna pretesa di onnicomprensività, servissero ad indicare dei paletti di confine fra aree politico-culturali contigue e attraversabili ma pur sempre autonome e coerenti nella loro diversità di fondo. Ma anche su questo terreno, storici, sociologi, scienziati della politica e filosofi sono sin qui giunti a conclusioni assai poco confortanti.

Il quesito sui contenuti semantici dei termini destra e sinistra non è d'altronde nuovo. Chi legga l'opera che Zeev Sternhell ha dedicato alla febbrile ricerca di una "terza via" che percorse la società intellettuale francese tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del secolo successivo sa come proprio la ripulsa di queste categorie di appartenenza politico-parlamentare abbia costituito il precario punto di convergenza delle inquietudini dei "non conformisti degli anni Trenta" e dei loro precursori: sindacalisti rivoluzionari e boulangisti, nazionalisti populisti e socialisti aristocratici. E già questo dato testimonia la precoce diffusione di un sentimento di loro insufficienza od obsolescenza. D'altro canto, però, la sopravvivenza dei due concetti e la diffusione delle loro etichette in seno al grande pubblico - confrontata con i rovesci politici di chi riteneva di poterne prescindere - ci lancia un segnale inverso: di vitalità, di resistenza alla prova, confutato a sua volta dalla puntuale riemersione di polemiche e dubbi. Per non disperdersi in questo circolo vizioso, si rende urgente una ridiscussione teorica del significato e dell'utilità dei concetti in questione.

domenica 25 aprile 2021

Stanis Ruinas: un esempio di libertà (Filippo Ronchi)

Stanis Ruinas, Pensiero nazionale, liberazione, fascismo, 25 aprile

Dissidenti

Dopo la conquista del potere, il fascismo fu caratterizzato da un dissenso interno plateale, che si manifestò in una forte componente «movimentistica». Essa non riuscì ad affermarsi, ma si battè, tollerata (se non tacitamente appoggiata) dallo stesso Mussolini che in fondo non dimenticò mai le sue origini socialiste. La natura eterogenea dell'ideologia dei fasci, il valore strumentale e contingente attribuito ai «princìpi», la spregiudicata tattica politica erano stati, prima della marcia su Roma, i punti di forza del PNF. Successivamente si rivelarono elementi di debolezza. La «rivoluzione fascista» non ci fu. Allo scontro frontale con la liberaldemocrazia si sostituirono il compromesso governativo e il processo di inserimento nelle tradizionali strutture statali. Ma molti militanti che provenivano dalle esperienze del sindacalismo, dell'estrema sinistra, dell'arditismo, del legionarismo fiumano durarono fatica a rendersi conto ed a convincersi di quel che stava accadendo; alcuni anzi non accettarono mai l'involuzione. Fra questi il sardo Stanis Ruinas, al secolo Antonio de Rosas (1899-1984). Repubblicano, antiborghese e anticapitalista intransigente, egli rimase fedele alle sue idee durante il Ventennio, nel periodo della RSI ed anche nel secondo dopoguerra.

Nel Ventennio

Formatosi alla scuola del mazzinianesimo e del socialismo di Pisacane, Ruinas considerò Mussolini come colui che aveva inteso portare a compimento quella «rivoluzione nazionale» e popolare avviata dai democratici del Risorgimento, ma subito riassorbita dalla borghesia liberale e moderata post-unitaria. Così anche nel corso del Ventennio la borghesia che continua a condizionare pesantemente l'azione del fascismo originario, i gerarchi corrotti ed inetti, la monarchia e la Chiesa cattolica costituiranno -per Ruinas- nemici da battere, in nome della realizzazione del programma di San Sepolcro, espressione del «fascismo autentico» fautore di una rivoluzione antiborghese. Gli attacchi che Ruinas rivolge dai numerosi quotidiani di cui è collaboratore ("L'Impero", "Il Popolo d'Italia", "Il Resto del Carlino") o direttore ("Popolo Apuano", "Corriere Emiliano") all'establishment attirano i sospetti e le ire degli apparati del regime. Egli viene sospeso, reintegrato, radiato «per indisciplina e scarsa fede» dal PNF, sottoposto a vigilanza speciale, fino alla riconciliazione avvenuta alla vigilia della Seconda guerra mondiale grazie al libro "Viaggio per le città di Mussolini" (1939). E proprio aderendo alla guerra mussoliniana, Ruinas ritroverà le ragioni dello scontro supremo con le forze «plutocratiche» e «trustistiche» inglesi e statunitensi, nelle quali per lui si concretizza il sistema capitalistico, «che è il nemico numero uno del proletariato e della rivoluzione». La guerra fascista è interpretata, dunque, come strumento per sconfiggere prima le «demoplutocrazie occidentali» e poi, forti di quella vittoria, rovesciare il predominio del capitalismo interno e di quello internazionale.

martedì 23 febbraio 2021

Utopia liberale e capitalismo reale (Michéa, Jean-Claude)

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L’idea che la concorrenza «libera e non falsata» sarebbe – secondo le parole di
Milton Friedman – l’unico mezzo conforme alle esigenze della libertà individuale di «coordinare l’attività di milioni di persone, ciascuna delle quali conosce solo il proprio interesse, in modo che la situazione di tutti ne risulti migliorata […] e senza la necessità che le persone si parlino o si amino» [a], costituisce, da Adam Smith, uno dei dogmi fondamentali del liberismo (ma si trova traccia delle primissime formulazioni fin dal XVII secolo, nell’opera pioneristica di Boisguilbert) [b]. Nondimeno, la realtà empirica è ben lontana dal corrispondere a questo schema ideale. 

Infatti, come sottolineava Orwell, «il guaio, con la concorrenza, è che c’è sempre un vincitore. Il professor Hayek nega che il capitalismo liberale porti necessariamente al monopolio, ma, all’atto pratico, tale sistema ha portato proprio a quello» [c].

Vedere in questa costante tendenza [d] del sistema capitalista a formare dei cartelli, dei trust e degli oligopoli un semplice tradimento del «vero» spirito liberale appare dunque serio più o meno come considerare il fatto che un giocatore finisce sempre per impadronirsi del viale dei Giardini e del parco della Vittoria come una distorsione rispetto allo spirito del vero Monopoli. Ma questa differenza costitutiva tra l’ideologia della libera concorrenza e le sue forme di esistenza storicamente concrete si spiega anche attraverso la differenza che esiste per definizione tra il punto di vista dell’ideologo liberale – quello che s’interessa soltanto, in quanto spettatore che si presuppone imparziale, alle condizioni dell’equilibrio generale del mercato – e quello di ogni soggetto economico preso singolarmente. In effetti, come osserva Pierre-Yves Gomez, «a pensarci bene, gli attori economici definiti attraverso l’antropologia liberale non hanno alcun interesse a essere in concorrenza. Quando sono in concorrenza guadagnano meno, niente profitti da monopolî, niente ricavi dovuti alla loro posizione di mercato, alla possibilità di alzare il prezzo senza subire la concorrenza. In realtà, un’azienda ha un solo desiderio: agire in monopolio; il responsabile di un’azienda ha un solo desiderio: quello di fare accordi coi concorrenti per mantenere, per esempio, dei prezzi elevati […]. Si ha sempre l’impressione che il mondo liberale sia composto da persone il cui unico desiderio è quello di essere in concorrenza, ma è vero il contrario, fin dalle premesse liberali. Per guadagnare di più, gli individui hanno interesse ad accordarsi, a organizzare collusioni allo scopo di limitare i costi e di aumentare di molto i guadagni» [e]. 

martedì 9 febbraio 2021

Destra o sinistra? Destra E sinistra! (Hans Zehrer)

Hans Zehrer è una figura un poco conosciuta oggi, almeno in confronto a simili pensatori del movimento rivoluzionario nazionale tedesco come Ernst Niekisch e Karl Otto Paetel, entrambi i quali sono riusciti ad acquisire un maggior grado di celebrità moderna. Questo è forse ingiusto per Zehrer, che era senza dubbio più conosciuto di entrambi durante il periodo cruciale 1928-1933 in Germania; certamente era più influente. Nato nel 1899, Zehrer combatté la Grande Guerra e, dopo aver partecipato Putsch di Kapp del 1920, iniziò una vita di giornalismo politico di tutto rispetto. Ciò che ha reso famoso il nome di Zehrer è stata la sua direzione della rivista nazionale Die Tat ("Il Fatto"...) nell'ottobre 1929. Die Tat crebbe rapidamente sotto la guida di Zehrer fino a diventare il giornale politico più letto nel paese. Il fattore chiave del successo di Die Tat è stata la sua posizione politica unica. Zehrer e la sua cerchia di collaboratori hanno pubblicato critiche dettagliate del capitalismo, sostenendo la sua sostituzione con un sistema mercantilista di nazionalizzazione di massa, rigorosa autarchia e barriere tariffarie esclusive. Hanno rifiutato non solo il concetto di partiti, ma l'intera divisione sinistra-destra, sostenendo invece un'alleanza del "Terzo Fronte" tra tutte le forze militanti dall'estrema sinistra all'estrema destra. Erano anche elitari, rifiutando il NSDAP per le sue radici plebee e il suo carattere di "partito di massa", desiderando invece una "rivoluzione dall'alto" guidata dall'esercito e dal presidente. Il culmine per Zehrer probabilmente arrivò durante il governo di breve durata di Kurt von Schleicher, dove Zehrer divenne l'"uomo dietro il trono" ideologico del regime di Schleicher e Die Tat servì come una sorta di giornale non ufficiale di politica statale. 

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Il breve articolo qui sotto, tratto da un'edizione del 1932 di Die Tat, è un esempio abbastanza tipico della posizione di Zehrer sulla questione 'Sinistra-Destra', invoca l'ideale unificante dello Volksgemeinschaft (Comunità di popoloe sottolinea la convinzione che in realtà solo superficiali qualità separano "l'uomo di destra" dall'"uomo di sinistra".



Ci poniamo quella domanda che ci viene imposta dall'era odierna e che ci appare di importanza decisiva: destra o sinistra?

lunedì 8 febbraio 2021

Consigli di Stato o Stato corporativo? (Paetel, Karl Otto)

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Tratto dal Manifesto Nazional Bolscevico

La questione fondamentale riguardo l'economia nel socialismo nazional-rivoluzionario può essere solo:

Tutto il potere nelle mani della nazione. Insieme c'è la richiesta parallela e concreta della struttura statale: lo stato è la nazione sovrana, i suoi organi legislativi ed esecutivi sono i mandatari del Volk.

Il che significa di conseguenza: Consigli di Stato.

Il principio di autogoverno espresso al suo interno non è in alcun modo "razzialmente straniero" ["Volksfremd"] o tipicamente russo, piuttosto è la vecchia "democrazia germanica".

giovedì 26 novembre 2020

Guerra e Pace: Pacifismo e Nazione (Paetel, Karl Otto)

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Dal Manifesto del Nazional Bolscevismo

La guerra e la pace non possono mai essere giudicate di per sé. La negazione o l'affermazione del loro valore e status è decisa solo in relazione alle esigenze della vita völkisch [völkischen Lebens], alla volontà nazionale di autodeterminazione e alle decisioni personali uniche che influenzano il destino nazionale che domina la vita degli individui. Coloro che non sono disposti a vedere e affrontare ogni problema dal punto di vista della loro esperienza individuale saranno in grado di esprimere un tale giudizio solo quando la loro relazione con questo aspetto sarà chiara. La guerra può essere approvata solo quando è definitivamente stabilito che è essenziale e inevitabile per il futuro, la libertà e la vitalità di un Volk, solo se il suo sperpero della sostanza del Volk [Volkssubstanz] è giustificato da un futuro più grande e più sicuro per la Volksgemeinschaft stessa.

Ma un Volk che, come oggi in Germania, è solo un oggetto della politica di altri Stati, può conoscere solo un'alternativa: prima la libertà, poi la pace.

mercoledì 25 novembre 2020

L'Ultimo Presidente: l'Enigma Bill Clinton (A. Dugin)

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Breve saggio su William Jefferson Clinton

Clinton è l'ultimo Presidente USA del millennio. In un certo senso, è l'ultimo accordo di una cadenza - il presidente della "fine della storia" di Fukuyama. La sua immagine psicologica, politica, ideologica, è a modo suo un marchio del postmoderno. Egli rappresenta uno dei maggiori successi dell'Occidente sulla via del dominio mondiale totale.

Tuttavia il significato oggettivo di questa figura emblematica è radicalmente diverso dalla sua immagine complessiva. Non assomiglia affatto ad un eroe della civiltà, "il grande vincitore". Qui dobbiamo scavare nell'enigma di William Clinton - perché di enigma si tratta.
La sua banalità, la sua vaghezza, la sua prevedibilità falsamente spensierata, presentano in verità un contenuto più profondo.

Clinton divenne Presidente degli USA quando il Paese che aveva originariamente mostrato l'essenza del "dopo-storia" era pronto a dispiegare la sua dittatura civilizzata a tutto il resto dell'umanità. Oggi il pianeta terra è una sorta di colonia degli USA, e in questo scenario William Clinton è diventato "il padrone del mondo".

Dal punto di vista ideologico, Clinton presenta in sé tre distinti elementi che, riuniti un un unico grande insieme, fanno di lui il presidente ideale in un momento così importante per gli USA e per l'intero Occidente.

martedì 29 settembre 2020

IL GIOVANE NAZIONALISMO (Karl Otto Paetel)

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I giovani in Germania si trovano oggi di fronte a una decisione concreta
: o la jeunesse dorée, per essere l'ultimo contingente dell'età di ieri, nella chiara evidenza della situazione disperata della borghesia che ha fallito politicamente in ogni circostanza (la vergognosa capitolazione dei capitalisti nella Ruhrkampf prima del generale Dégoutte al momento in cui i sussidi statali furono tagliati è solo uno dei tanti esempi);

oppure, da socialisti, essere i custodi dei valori originari della storia tedesca e anche della cultura borghese, solidali con il proletariato nella loro lotta di classe senza sentimenti "Proletkult" (culto del proletariato). Non esiste una soluzione di compromesso.

Questa decisione non esclude i giovani tedeschi dalla storia del loro popolo. E i fatti, attorno ai quali deve orientarsi oggi ogni decisione politica, rendono la scelta abbastanza chiara:

  • La guerra persa, condannata a causa della sua intera struttura che giustificava una politica unvölkisch (franchigia a tre classi *), a causa della corruzione della borghesia nel tumulto commerciale - questo ci ha reso i più profondamente anti-borghesi.
  • La rivoluzione perduta, condannata a causa delle mezze misure e della mancanza di istinto da parte dei suoi leader, persa per cecità nei confronti del compito nazionale di sconvolgimento radicale - questo ci rese ancora più rivoluzionari.

giovedì 24 settembre 2020

Perché ha fallito la sinistra (Jean-Claude Michéa)

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La crisi della sinistra spinge a interrogarsi sui suoi metodi, sulla sua pedagogia, sulla sua capacità di aggregare, dunque sulle ragioni dei suoi fallimenti in un contesto che, in teoria, dovrebbe invece favorire l’adesione alle idee socialiste e all’anticapitalismo. Quali sono per lei le ragioni di questo fallimento? 

A prima vista, in un contesto economico e sociale che, come voi dite, dovrebbe essere «favorire l’adesione alle idee socialiste e anticapitaliste», la «crisi della sinistra» può in effetti apparire davvero strana. Non era George Orwell che osservava, già nel 1937, che «ogni pancia vuota è un argomento a favore del socialismo»(1)? In realtà, la chiave del mistero si trova nella stessa osservazione di Orwell. Il fatto è che il «socialismo» e la «sinistra» appartengono, fin dall’origine, a due storie a rigor di logica distinte, che si sovrappongono solo parzialmente. La prima – nata nel quadro tumultuoso e liberatore della Rivoluzione francese – si articola interamente attorno all’idea di «Progresso» (essa stessa presa dalle correnti dominanti della filosofia illuminista) che a lungo ha permesso ai suoi innumerevoli fedeli di giustificare ideologicamente tutte le battaglie contro il potere della nobiltà e di quelle «forze del passato» – tradizioni popolari comprese – di cui la Chiesa cattolica era il simbolo privilegiato (da qui, tra l’altro, l’anticlericalismo viscerale che dà alla sinistra francese un connotato specifico che non si ritrova granché in quelle delle nazioni protestanti). Tale ruolo centrale svolto dal concetto di «Progresso» (o di «senso della storia») nell’immaginario della sinistra è proprio ciò che permette di spiegare come, ancora oggi, siano sempre i concetti di «Reazione» e di «reazionario» – che pure dovrebbero avere un senso politico preciso solo nel contesto del XIX secolo e di quello che Arno Mayer chiamava la «persistenza dell’Ancien régime» – che continuano a definire lo zoccolo duro di tutte le analisi, nonché l’origine di tutte le scomuniche della sinistra

venerdì 18 settembre 2020

Il liberalismo libertario non conosce crisi (Jean-Claude Michéa)

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Domanda: Il liberalismo culturale, per tanto tempo egemonico, oggi ha del piombo sulle ali. Sempre più voci e osservatori, da Zemmour a Finkielkraut, attaccano sui media il famoso «pensiero unico» e rompono il politicamente corretto. In seno alla sinistra di governo, la «linea Valls», attenta alla sicurezza e poco portata sul «sociale», sembra averla spuntata definitivamente sulla «linea Taubira», più lassista. Eppure l’economia di mercato viene contestata sempre di meno. La fase «libertaria» del liberalismo, che è emersa dopo il Maggio ’68 e che lei ha ampiamente analizzato nelle sue opere, oggi va considerata alle nostre spalle?

Ho l’impressione che questa sia soprattutto una di quelle illusioni ottiche che sono il fascino alla società dello spettacolo! E siccome questa illusione trova la sua fonte principale in alcune particolarità dell’odierna situazione politica, mi sembra indispensabile tornare un istante sulle radici reali di quest’ultima.

All’inizio del 1996, sul loro Remarques sur la paralysie de décembre 1995, i redattori dell’Encyclopédie des nuisances avevano annunciato, con la loro consueta lucidità, «che non ci sarebbe stata “uscita dalla crisi”; che la crisi economica, la depressione, la disoccupazione, la precarietà generale eccetera erano diventate il modo di funzionamento dell’economia universalizzata; che tutto sarebbe andato sempre di più in tal modo». Vent’anni più tardi, siamo costretti ad ammettere che quel giudizio (che aveva suscitato all’epoca il sorriso beffardo di quelli che ne sanno, o che la sanno lunga) non solo è stato confermato interamente dai fatti, ma incontra anche una crescente eco in tutte le classi popolari europee (e ormai anche negli Stati Uniti), come testimoniato ampiamente dall’aumento costante dell’astensionismo, della scheda bianca e delle percentuali di voti ottenute dai partiti cosiddetti «antisistema» o «populisti». In effetti tutto avviene come se ovunque le classi popolari stessero prendendo coscienza, fosse anche sotto alcune forme mistificate, che da tempo i due grandi partiti del blocco liberale (quelli che Podemos definisce a buon diritto i «partiti dinastici») non hanno più altro ideale concreto da proporre se non la dissoluzione continua e sistematica dei modi di vivere specifici delle classi popolari stesse – e la dissoluzione delle loro ultime conquiste sociali – nel moto perpetuo della crescita globalizzata, sia essa ridipinta di verde o coi colori dello «sviluppo sostenibile», della «transizione energetica» e della «rivoluzione digitale». 

martedì 21 luglio 2020

La disintegrazione del sistema / I. Analisi (Franco Freda)

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I. ANALISI


"È inevitabile che in questo mondo di sfruttatori e di sfruttati non sia possibile alcuna grandezza che per ultima istanza non abbia il fatto economico. Vengono bensì contrapposte due specie di uomini, di ani, di morali, ma non occorre avere molto acume per accorgersi che unica è la sorgente che le alimenta. Così è anche da un medesimo tipo di progresso che i protagonisti della lotta economica traggono la loro giustificazione. Essi si incontrano nella pretesa fondamentale di essere ognuno il vero autore della prosperità sociale per cui ognuno è convinto di poter minare le posizioni dell'avversario quando riesce a contestargli ogni diritto di presentarsi come tale." (L'operaio nel pensiero di Ernst Junger, Julius Evola)


La ragione fondamentale che ci ha indotto a convocare questo Congresso è determinata dal profondo convincimento - mio e vostro - che il momento presente imponga alla nostra organizzazione l'esigenza di "serrare i ranghi" attorno ai motivi centrali della nostra idea della vita e del mondo. L'esigenza, in primo luogo, di riconoscere quali siano realmente i piani di riferimento, i cànoni da cui derivare la nostra presenza politica - di scorgere la direzione ideale da assumere.

venerdì 17 luglio 2020

Il percorso politico di Jean Thiriart

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Jean Thiriart è il padre dell’idea d’Europa Unita e un infaticabile militante e ideologo dell’unificazione europea.
Dal 1960 al 1969, con l’organizzazione transnazionale europea JEUNE EUROPE, presente in 11 paesi, con il PARTI COMMUNAUTAIRE EUROPEEN (1965) ed il mensile LA NATION EUROPEENNE (1965-69), darà vita al tentativo di creare un partito rivoluzionario europeo e di definire le basi dottrinali di una nuova ideologia a dimensione europea, il “COMMUNAUTARISME NATIONAL-EUROPEEN” (nazional-comunitarismo europeo).

Nell’autunno del 1968, effettua un lungo viaggio nei paesi arabi progressisti, invitato dai governi irakeno e egiziano e dal partito BAA’TH.
Incontrerà vari ministri e direttori generali, dando interviste a tre giornali governativi iracheni e un’intervista unica alla stampa libanese ed una anche alla televisione di quest’ultimo paese.
Partecipa inoltre ai lavori d’apertura del congresso dell’UNION SOCIALISTE ARABE, il partito del Presidente Nasser, che incontrerà in questa stessa occasione.
Lo scopo del viaggio di Thiriart fu quello di gettare le basi per una collaborazione politico militare tra i paesi arabi progressisti e la sua organizzazione, che si concretizzerà con la creazione di “BRIGATE EUROPEE” (sul modello delle Brigate Internazionali del Komintern nella guerra civile Spagnola dal 1936-39) destinate ad inquadrare le organizzazioni palestinesi allora in formazione, nella guerra contro l’imperialismo israeliano.
Queste Brigate Europee avrebbero dovuto formare il cuore di una ARMATA DI LIBERAZIONE EUROPEA.

martedì 23 giugno 2020

Radici metafisiche delle ideologie politiche (Alexander Dugin)


Attualmente, nella sociologia, nelle scienze politiche e nelle discipline affini come la storia delle religioni, l'etnologia e l'antropologia (che negli ultimi tempi ha sottratto un certo spazio alla statistica e all'economia politica, regna il caos più completo per quanto concerne la definizione degli orientamenti ideologici fondamentali, quali possono essere il fascismo, il comunismo, il socialismo, la democrazia eccetera. Come se non bastasse il fatto che gli stessi comunisti, fascisti e democratici definiscono le loro posizioni in maniera confusa e spesso contraddittoria (il che è dovuto in gran parte a esigenze propagandistiche), l'eccessiva popolarità di cui gode la metodologia proposta dalla Nuova Sinistra ha provocato una confusione totale in questo campo, sicché «fascismo» è diventato sinonimo di «male assoluto», mentre «comunismo» (leggasi «libertà totale di desideri») è diventato sinonimo di «bene assoluto». D'altro canto, presso i democratici e i liberali centristi gode una grande fortuna un'altra formula. diffusa soprattutto dai sovietologi: «comunismo uguale fascismo». Se aggiungiamo altri fattori come la religione, il governo autoritario, le peculiarità nazionali o i cataclismi ecologici, allora le strutture logiche si sfasciano come un castello di cartapesta e le argomentazioni razionali cedono alle prese di posizione passionali, le emozioni, alle simpatie nazionali e personali e così via.

Tutto ciò si riflette in misura ancora più grande nella nostra politologia sovietica, la cui situazione, già caotica di per sé (indipendentemente dal caos che regna nella medesima branca in occidente) si aggrava sempre più a causa della cronica necessità di mentire e di occultare il proprio punto di vista, cosa che comporta come conseguenza logica il predominino assoluto di «osservazioni indirette», vale a dire di opinioni basate sui dogmi totalitari, i cui riti formali non possono essere abbandonati nemmeno per un attimo.


domenica 21 giugno 2020

Sulla questione ebraica (Karl Marx)

I

Bruno Bauer, La questione ebraica. Braunschweig, 1843.

Gli ebrei tedeschi chiedono l'emancipazione. Quale emancipazione essi chiedono? L'emancipazione civile, politica.

Bruno Bauer risponde loro: nessuno in Germania è politicamente emancipato. Noi stessi non siamo liberi. Come potremmo liberare voi? Voi ebrei siete egoisti se pretendete un'emancipazione particolare per voi in quanto ebrei. Voi dovreste, in quanto tedeschi, lavorare per l'emancipazione politica della Germania, in quanto uomini, per la emancipazione umana, e non sentire come un'eccezione alla regola il modo particolare della vostra oppressione e della vostra ignominia, ma piuttosto come conferma della regola.

Ovvero gli ebrei pretendono la parificazione con i sudditi cristiani? Ma così essi riconoscono come legittimo lo Stato cristiano, così riconoscono il regime dell'asservimento generale. Perché dispiace loro il proprio giogo particolare, se accettano il giogo generale? Perché il tedesco dovrebbe interessarsi alla liberazione dell'ebreo, se l'ebreo non si interessa alla liberazione del tedesco?

giovedì 18 giugno 2020

Perché il fascismo era (è) sbagliato? (Alexander Dugin)

Dugin perché il fascismo era sbagliato, fascism was wrong
1. Era moderno e prendeva le mosse del concetto appartenente alla filosofia dell'Illuminismo. È assolutamente sbagliato: la modernità è malvagità e menzogna. Era la teoria politica moderna. Molto meglio di altre teorie politiche moderne, ma comunque moderna. Essenzialmente. In tutti i suoi aspetti che erano non moderni, anti-moderni e post-moderni non era sbagliato.

2. Era eurocentrico. Qualsiasi gruppo etnico è etnocentrico. È abbastanza normale. Ma essere eurocentrici nell'Europa moderna equivale ad essere anti-europei, perché la modernità europea non è affatto europea. Essere eurocentrici nell'Europa moderna e contro tutte le altre società (non europee) giudicate arretrate e sub-umane significa essere anti-tradizionali. L'appello al ritorno alle radici europee (tedesche, indo-ariane) fu legittimo e valido. Ma l'opposizione della profonda identità dell'Europa alle identità di altre società (molto meno modernizzate della Germania del XX secolo) era assolutamente sbagliata e ingiustificabile.

3. Era basato sul piccolo nazionalismo. Quindi tedeschi contro francesi, schiavi e così via. Era sbagliato e molti pensatori e combattenti tedeschi che sostenevano Hitler erano contrari a tale posizione (incluso Leon Degrelle per esempio). Il nazionalismo tedesco o italiano è una cosa - in definitiva piccola cosa. Quello indoeuropeo (indo-ariano) è altro, molto più grande. La Sacra Tradizione e il Terzo Impero dello Spirito sono la terza cosa, la più grande. Se un piccolo nazionalismo accetta di essere incorporato nel contesto indoeuropeo è positivo. Quando sottolinea le differenze interiori è male. Lo stesso per la civiltà indoeuropea. Se riconosce la sua natura sacra (Tradizione) è buona. Se si concepisce come obiettivo in sé non è accettabile e perde la sua legittimazione.

martedì 9 giugno 2020

Il fascismo immenso e rosso (Alexander Dugin)

Nel XX secolo solamente tre forme ideologiche hanno potuto provare la realtà dei propri principi in materia di realizzazione politico-statale: il liberalismo, il comunismo e il fascismo.

Anche volendo, sarebbe impossibile citare un altro modello di società che sia esistito nella realtà e allo stesso tempo non sia una forma delle tre suddette ideologie. Ci sono dei paesi liberali, dei paesi comunisti e dei paesi fascisti (nazionalisti). Gli altri sono assenti. E non possono esistere.

In Russia, abbiamo passato due tappe ideologiche – quella comunista e quella liberale.

Manca un fascismo.

CONTRO IL NAZIONAL-CAPITALISMO

Una delle versioni del fascismo che, pare, la società russa è già pronta ad accettare oggi (o quasi), è il nazional-capitalismo.

Non c’è quasi alcun dubbio che il progetto del nazional-capitalismo o del «fascismo di destra» è l’iniziativa ideologica della parte d’élite della società che è seriamente preoccupata dal problema del potere e che sente nettamente lo spirito dei tempi.

Tuttavia la versione «nazional-capitalista», di «destra» del fascismo, non esaurisce affatto l’essenza di questa ideologia. Inoltre, l’unione della «borghesia nazionale» e degli «intellettuali» sulla quale, secondo alcuni analisti, si fonderà il futuro fascismo russo, rappresenta un brillante esempio di un approccio del tutto estraneo al fascismo, sia come concezione del mondo, che come dottrina e come stile. Il «dominio del capitale nazionale» è la definizione marxista del fenomeno fascista. Essa non prende minimamente in considerazione la base filosofica specifica dell’ideologia fascista, ignora coscientemente il pathos di base, radicale, del fascismo.