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domenica 6 luglio 2025

La Cina post-maoista come Fascista (James A. Gregor)

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Presentiamo qui l'ultimo paragrafo del libro dello storico James A. Gregor 
A Place in the Sun: Marxism and Fascism in China. Ci interessa questo tipo di analisi perché, continuando nel solco della distinzione fra "amici della società aperta" e "nemici della società aperta", è per noi fondamentale primo capire cosa pensano le élite liberali e, secondo, utilizzando parte della loro analisi, superare i limiti di una lettura forzatamente binaria e anti europea. Questa lettura anti europea ha creato la falsa dicotomia fascismo-comunismo, così da tenere le masse separate. Alcuni intellettuali liberali, hanno però dovuto per forza affrontare questo discorso superficiale, andando così a muovere le acque chete della sedazione forzata. 

Ovviamente essendo liberale e di visione angloamericana l'autore è terrorizzato dalla Cina comunista, non trova di meglio che accusarla di "fascismo", ma è proprio questo terrore che ci fa comodo. Perché il comunismo cinese è uguale al fascismo? Ovviamente secondo il professore statunitense vede un marxismo come qualcosa di inafferrabile e in via di sparizione. Ma noi sappiamo che il marxismo come concetto non può e non è mai stato chiaro e unico. E' la presentazione dei suoi nemici che lo ha definito meglio dei suoi estimatori, capaci di farsi guerre per anni. E' importante continuare a studiare e capire, ma liberandosi dalla propaganda e dalle limitazioni e gabbie dell'anticomunismo e dell'antifascismo, veri limiti per cambiare la società.

Tornando a Pechino: in effetti la Cina ha un sistema economico misto, è etnicamente molto compatta, ha un partito unico e una visione statale e statalista molto forte. E' una sorta di Fascismo. Come il Fascismo è una sorta di Comunismo. Di certo siamo anni luce lontani dalle visioni liberali in cui l'interesse dei privati, tutti immaginati piccoli miliardari, è la scusa per opprimere milioni, miliardi di individui e per cancellare culture millenarie. 

Ma vi lasciamo alla lettura del paragrafo, ognuno si dia da fare. 

La Cina post-maoista come Fascista


Del marxismo della Cina comunista rimane ben poco. La Cina contemporanea è un regime reattivo e sviluppista che non solo cerca la parità con le sue controparti “imperialiste” e “plutocratiche”, ma aspira a un posto al sole come “regno centrale”. Cerca non solo il suo adeguato “spazio vitale”, ma anche il suo ruolo di egemone in Asia orientale. La Cina contemporanea ha tutta l'aria di essere il tipo di sistema antiliberale, collettivistico, a dominanza partitica, elitario, militarista, plebiscitario, reattivo, nazionalista e fascista dello sviluppo con cui il ventesimo secolo ha familiarizzato. (1)

Anche prima delle trasformazioni derivanti dal riformismo rivoluzionario di Deng Xiaoping, i marxisti-leninisti dell'Unione Sovietica avevano individuato l'emergere di una “tradizione di grande potenza” in Cina, che minacciava la sicurezza di tutta l'Asia orientale e il futuro dell'intera regione del Pacifico. La Cina comunista è emersa come contendente per il posto e lo status in Asia orientale e, come tale, si rivela una potenziale minaccia per la pace e la sicurezza del nostro tempo.

Ci sono pochi dubbi sul fatto che la Cina rivoluzionaria, sotto l'egida di Sun Yat-sen, Chiang Kai-shek o Mao Zedong, soddisfacesse i requisiti per entrare nella classe dei nazionalismi reattivi e di sviluppo.(2) Inoltre, è ormai generalmente riconosciuto che il marxismo, in quanto teoria rivoluzionaria, ha svolto un ruolo scarso, se non nullo, nell'ideologia che ha governato il sistema emergente. Tutti sono ormai d'accordo sul fatto che il marxismo era minimo nel regime che ha governato la Cina continentale dal 1949 al 1976.

Il maoismo è stato identificato da molti come “totalitario” a causa dell'utopico tentativo di Mao di trasformare la nazione attraverso campagne di mobilitazione di massa che coinvolgevano le agenzie del partito e dello Stato.

La grande politica richiede immaginazione: citazioni di Jean Thiriart


Ci sono alcune dinamiche politiche e geopolitiche che si ripropongono con chiarezza e costanza in vari luoghi e tempi, ma che a seconda del pensiero dominante dell'epoca vengono travisate e impiegate in qualche forma di propaganda o di guerra morbida nella maniera più utile a chi controlla media e cultura di massa.

Per resistere a questi incessanti tentativi di confusione vorremmo presentare alcune citazioni di Jean Thiriart trascelte dal suo ultimo libro L'impero Euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, un inedito del 1986 pubblicato postumo dalle Edizioni all'insegna del Veltro. Nelle 250 pagine di questo libro, Thiriart porta a compimento il suo coerente percorso di analisi geopolitica, iniziato negli anni '60 col famoso Un impero di 400 milioni di uomini: l'Europa e proseguito con una incessante attività di militanza e di ricerca. Il "geopolitico militante" (se vogliamo riprendere la definizione che ne dà il suo biografo Yannick Sauveur) è davvero una bussola con la quale orientarsi per interpretare il presente. Come vedremo, le dinamiche della geopolitica, scienza "pesante" come la definisce l'autore, valgono per gli anni '80 come per i secoli precedenti e come per il periodo che stiamo vivendo. Per esempio, sarà sufficiente sostituire la sigla URSS con la parola Russia e avremo concetti chiari e solidi, fondamenta sulle quali mettere le idee a posto.


Nel 1986 Thiriart mostrava come il bellicismo antisovietico fosse una replica di quello che aveva coinvolto la Germania nel 1939. Oggi vediamo che questo bellicismo è ancora vivo e vitale; il Presidente della Repubblica Mattarella,

martedì 21 gennaio 2025

Filippo Corridoni: il volontario (Alceste de Ambris)

IN CASERMA ED AL FRONTE


Non appena la dura lotta ebbe raggiunto lo scopo e la guerra fu finalmente dichiarata, la «pensione» di via Eustacchi si vuotò ad un tratto. La stanzetta nella quale ci riunivamo due volte al giorno per i pasti modesti e per le assordanti discussioni, divenne muta. Tutti i commensali della pensione si erano arruolati come volontari per fare quella guerra che avevano predicata: primo fra tutti, Filippo Corridoni.
Corridoni, De Ambris, guerra, sindacalismo


Lo ricordo — fu l'ultima volta che lo vidi — appunto nella sala da pranzo della pensione, quando egli era stato appena vestito da fantaccino, e rideva delle sue scarpe troppo larghe é dei suoi calzoni troppo corti. Fu un colloquio breve. Io pure dovevo partire per recarmi al deposito del mio reggimento. Ci abbracciammo e ci baciammo con gli occhi pieni di lacrime. Partendo, recai con me la disperata certezza che non avrei più riveduto Filippo Corridoni.

Questa certezza, del resto, era in tutti coloro che ne conoscevano la temeraria audacia ed il proposito fermo di offrire, con l'olocausto della propria vita, un esempio memorabile.

A questo punto credo doveroso lasciare la parola ad uno che gli fu sempre vicino durante tutta la campagna di guerra, da quando nella vasta Caserma di via Lamarmora studiava il passo coi suoi commilitoni, e prestava attento orecchio alle istruzioni dei graduati o degli ufficiali, fino al giorno della sua morte gloriosa!

In caserma — scriveva Dino Roberto, il suo compagno d'armi — era il soldato più disciplinato. Unica sua aspirazione era di andare al fronte il più rapidamente possibile. Ricordo che ogni giornata trascorsa in caserma senza esercitazioni utili o pratici insegnamenti lo rendeva di malumore e non rare volte protestava ad alta voce contro un supposto ostruzionismo che faceva lenta ed uggiosa la preparazione militare dei volontari.

lunedì 23 settembre 2024

Chandra Bose nostro eroe: podcast sul canale

Chandra Bose eroe della liberazione dell'India è un vero "rossobruno". Il nostro podcast sulla sua figura, i suoi ideali, il suo pensiero politico. L'impegno anticolonialista e rivoluzionario è un esempio ancora oggi. Il Canale youtube

Chandra Bose Nazbol


 

 

domenica 2 aprile 2023

Filippo Corridoni: l'interventista (Alceste de Ambris)

Guerra, Corridoni, sindacalismo rivoluzionario

L'INTERVENTISTA


UN FOCOLARE DI FEDE


Quando scoppiò la guerra europea, Filippo Corridoni si trovava in carcere, per una delle solite montature giudiziarie, con le quali la polizia si illudeva di «mettergli giudizio».

Corridoni era allora alla testa dell'Unione Sindacale Milanese ed io — ritornato dall'esilio l'anno precedente — facevo vita comune con lui in una modesta «pensione» posta al quarto piano di una casa di via Eustachi, nei nuovi quartieri fra Porta Venezia e Loreto. Oltre a Corridoni ed a me, s'assidevano quotidianamente al desco della «pensione» Attilio Deffenu — un piccolo sardo, morto anch'e gli eroicamente al fronte combattendo con la Brigata Sassari —Michele Bianchi, Cesare Rossi, e mio fratello Amilcare, compagno di Corridoni nella dirigenza dell'Unione Sindacale Milanese.

Era un cenacolo rivoluzionario, la «pensione» di via Eustachi, e non mancava di carattere. L'omogeneità politica di coloro che la componevano non escludeva le più profonde diversità individuali. Ma fra quegli uomini di tutte le razze e di tutti i temperamenti, che s'armonizzavano in una idealità comune, vigeva un'amicizia, così sincera e fraterna da escludere perfino — cosa estremamente rara nei cenacoli politici — le meschine gelosie, le malignità e le maldicenze reciproche.

Io, che ho avuto la fortuna di far parte di quel gruppo fino a che la guerra non venne a scioglierlo, non posso ripensare senza commozione alla «pensione» di via Eustachi. Povera «pensione», divenuta silenziosa e vuota dalla fine del maggio 1915: mentre prima era così piena di fervore, di entusiasmo operoso, di feconde discussioni, di amichevoli alterchi, di voci e di risa!

giovedì 23 marzo 2023

Filippo Corridoni: il rivoluzionario (Alceste de Ambris)


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Pubblichiamo il profilo dedicato a Filippo Corridoni dal suo compagno e commilitone Alceste De Ambris e pubblicata nel 1922. In questo primo contributo De Ambris si sofferma sulla biografia e sul carattere rivoluzionario del protagonista. 

PREMESSA


I lettori comprenderanno senza sforzo perchè le pagine che presentiamo qui innanzi, lungi dall'avere la pretesa di una rigida e gelida obbiettività, risentono vivamente dell'affetto fraterno che legò il biografo a Filippo Corridoni, negli ultimi dieci anni della vita di questi; perdoneranno perciò il loro carattere spiccatamente personale.

Il biografo dubita tuttavia di poter trasmettere ai lettori la sensazione del commosso ardore con il quale ha scritto: soltanto chi ha avuto la fortuna di conoscere Filippo Corridoni e di amarlo e di esserne amato, nella intimità di una lunga amicizia, può comprendere interamente questo, che la penna è impari ad esprimere.

Perchè Filippo Corridoni non era solamente un magnifico agitatore, un condottiero di folle audace ed esperto, un soldato eroico della sua fede: egli era anche un dolce amico, un indimenticabile compagno, un irresistibile fascinatore di anime.

Ricordiamo che, essendo Egli stato a Parigi una sola volta e per pochi giorni, era riuscito a lasciare un ricordo incancellabile perfino negli uomini più freddi di quell'ambiente scettico e blasé, che ce ne parlavano ancora dopo molti mesi con affettuosa ammirazione.

Donde venisse quella sua singolare magnetica forza d'attrazione ch'Egli inconsciamente esercitava anche sugli individui meglio corazzati e più refrattari, non meno che sulle folle, ognuno che abbia intelletto d'amore potrà intendere, leggendo le pagine autobiografiche che pubblichiamo più innanzi.

Di Corridoni si può ben ripetere quello che Mazzini scriveva di Jacopo Ruffini : «Io non trovo qui sulla terra, fra quei che hanno concetto di fede e costanza di sacrifìcio, creatura che ti somigli».

sabato 26 marzo 2022

L'Oriente sta morendo: il veleno della civiltà (Ernst Niekisch)

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Scritto nel 1929, questo articolo di Niekisch sottolinea quanto è ancora necessario affrontare oggi: la totale sovrapposizione fra ideologie politiche e dominio geopolitico, ossia come il liberalismo sia nient'altro che il vincolo occidentale e inoltre la postura e il carattere centrale della Germania: essa, come l'Europa può essere vincolata all'occidente politico, ma aspira alla libertà orientale. 

Un tempo l'Est era uno spazio che attirava i tedeschi, uno spazio in cui si diffondeva la loro cultura. Il popolo tedesco avanzò verso l'Est, conquistandolo, colonizzandolo, mettendoci le radici e creando un nuovo paese, dando così prova dell'inesauribile e generosa ricchezza del suo sangue. Il battito del cuore tedesco, forte e sicuro di sé, risuonò fino agli stati baltici. Grazie ai colonizzatori, che integrarono l'Est nel ritmo e nelle tradizioni e variazioni della loro esistenza, la forza viva della volontà di vita tedesca si estese quasi all'infinito. Assetata di imprimere la sua forma, ha sottomesso ciò che ha dimostrato, vicino e lontano, la legge della sua essenza. Un'audacia giovanile spingeva uomini temerari verso l'Oriente. Le loro avventure, le loro vittorie e le loro opere dello spirito inondarono le terre orientali, come una benedizione fruttuosa.

Quale profondo e brutale cambiamento è avvenuto da allora! La progressione tedesca verso l'Est divenne difensiva, e poi dalla difesa, alla ritirata. Per decenni, la Germania continuò a perdere il suolo che un tempo aveva conquistato. Nel 1918, la ritirata divenne una debacle fatale; nello stesso modo in cui crollò il fronte militare, così crollò ad est il fronte civile. Il flusso di slavi che premeva da dietro, impose al popolo tedesco delle frontiere insopportabili e da allora hanno continuato a stendere le mani verso il suolo tedesco. Stanchi della guerra, i tedeschi hanno lasciato i territori minacciati, fuggendo il dolore e le sofferenze delle regioni di confine. Noi diciamo che l'Est sta morendo. Oggi, ci sono solo due isole che lottano disperatamente per sopravvivere: Danzica e la Prussia orientale. Il Reich non fa nessun appello di incoraggiamento promettendo la fine del blocco; nessuna truppa è in marcia portando soccorso. Per il Reich, sono una situazione scomoda, un imbarazzo. "Accettare obblighi supplementari, perché?"

domenica 6 febbraio 2022

A difesa della bandiera: Il Landvolk e la battaglia di Neumünster (Alexander Otto-Morris)

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Il movimento Landvolk (Landvolkbewegung) è poco conosciuto oggi, questo non vale per i lettori di questo blog perché ne abbiamo parlato diverse volte;  durante la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30 però ha avuto un'influenza incredibile in Germania sui radicali sia di destra che di sinistra. I contadini dello Schleswig-Holstein, stufi della terribile situazione economica e delle politiche dell'establishment socialdemocratico o dei politici liberali, hanno iniziato a organizzarsi collettivamente per combattere. Uno degli eventi più noti legati ai Landvolk, a parte la loro propensione per il piazzamento di bombe, fu la famigerata "Battaglia di Neumünster" che ebbe luogo il 1° agosto 1929, nell'omonima città. Il 1° luglio il famoso portavoce diel Landvolk Wilhelm Hamkens era stato incarcerato per aver incitato a scioperi fiscali i suoi compagni contadini. Dopo aver appreso che Hamkens sarebbe stato trasferito per il rilascio nella città di Neumünster il 1° agosto, migliaia di contadini rivoluzionari hanno deciso di convergere in città per una marcia pacifica per salutare il suo ritorno in libertà. Il risultato è stato il caos. Fu durante la marcia di Neumünster che i contadini Landvolk decisero di sventolare per la prima volta la propria bandiera: una bandiera nera (che rappresenta sia il nazionalismo che il lutto tedesco), ornati di un aratro bianco (per il loro sostentamento) e di una spada rossa (che indica il loro spirito combattivo), i tre colori del vecchio Impero. La decisione della polizia di tentare di confiscare la bandiera creò scompiglio: battaglie per le strade, dita e nasi strappati dai corpi, contadini che picchiano la polizia. 

Di seguito pubblichiamo un resoconto storico dall'eccellente studio accademico sul Landvolk di Alexander Otto-Morris: il libro è titolato "Rebellion in the Province" ed è basato su una lettura esauriente dei rapporti della polizia e del governo sull'incidente, nonché da articoli di giornale contemporanei. L'estratto che segue è tratto dal Capitolo Sei di "Ribellione", che tratta del movimento al suo apice nel corso del 1929, prima che scadesse nel terrorismo.

*

I piani per un raduno a Neumünster sono diventati pubblici dopo che la Schleswig-Holsteinische Volkszeitungha ha pubblicato una lettera scritta da Hamkens dal carcere di Johannes Kühl, chiedendo che una folla lo incontrasse il 1 agosto [dopo essere stato rilasciato]... Allarmate da questa notizia, le autorità provinciali hanno preso provvedimenti per evitare disordini. In primo luogo, hanno organizzato il trasferimento segreto di Hamkens a Flensburg come misura precauzionale. Poi, il giorno prima del suo rilascio, rappresentanti del Regierungspräsident si recarono a Neumünster per incontrare il sindaco della città, Lindemann, e il comandante della polizia, l'ispettore capo Bracker, cercando di impedire la manifestazione prevista. Come amministratore di polizia della città, era il sindaco Lindemann che aveva il potere di far rispettare il divieto di raduni aperti e anche di riunioni al chiuso se si riteneva che costituissero un pericolo per la pace pubblica, la sicurezza e l'ordine. In risposta alle suppliche dei rappresentanti del Regierungspräsident, tuttavia, Lindemann dichiarò che considerava un raduno dei Landvolk innocuo e spiegò che i raduni dei comunisti e del corpo paramilitare amico dei repubblicani, il Reichsbanner, erano sempre pacifici. Nonostante gli avvertimenti che la Landvolkbewegung era più pericolosa dei comunisti, specialmente perché era un movimento senza organizzazione, membri definiti o leader, Lindemann rimase indifferente. Non vedeva alcuna ragione per cui la manifestazione dovesse essere vietata ed era irremovibile sul fatto che tali eventi dovessero essere lasciati al loro corso.

domenica 19 dicembre 2021

Un destino mancato (Ernst Niekisch)

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Niekisch, lucidissimo padre del nazionalbolscevismo, in questo saggio ci dà prova della sua capacità analitica e della lucida saldezza emanata naturalmente da una visione socialista e patriottica: grazie ad una puntuale ricostruzione geopolitica Niekisch riesce a spiegare in un colpo solo i motivi di scontro fra fascismo e comunismo da rintracciare nella competizione nel campo della politica estera, e ricostruisce il significato di Versailles e della Repubblica di Weimar, sempre sottolineando la centralità delle relazioni fra Stati. Non sono scontri ideologici quelli che hanno creato le future coalizioni, bensì sono forze ancora più profonde legate alla scelta sul destino del mondo. Lo stesso destino dal quale la classe operaia, incapace di essere davvero prussiana, si è sottratta, non combattendo per la sua vocazione definitiva: la Germania. 




Il rovesciamento che ha avuto luogo in Germania e che si interpreta come "rivoluzione nazionale" o "rivolta nazionale" è certamente, prima di tutto, un evento di politica interna tedesca. Allo stesso tempo, considerando il suo obiettivo e orientamento, si è distinto, avendo travalicato la posizione abituale della Germania nella politica globale. Tuttavia non si è sviluppato esclusivamente sulle basi della politica estera, ma è stato direttamente provocato da alcune variazioni nelle relazioni internazionali esistenti.

"La Repubblica di Weimar è la forma sotto la quale la Germania si adatta più facilmente al regime di Versailles". Questo era un lieto luogo comune. Lo stato di Weimar era l'organo esecutivo che le potenze occidentali usavano contro il popolo tedesco. Questa repubblica si modellava sulle idee costituzionali della Francia. Così, fece della Germania una zona di influenza francese. La Francia era il vero beneficiario di Versailles. La sottomissione della Germania a questo regime apparve quindi come una sottomissione alla Francia.

La sottomissione fu effettuata sotto il velo della politica di conciliazione e dell'intesa franco-tedesca. In ogni caso, la Germania "andava d'accordo" con la Francia nella misura in cui si adeguava alla volontà di quest'ultima. Per la Repubblica di Weimar, l'unica politica estera era quella del "riavvicinamento franco-tedesco". Questa politica raggiunse il suo apogeo con il patto di Locarno. In questa occasione la Germania rinunciò, volontariamente e senza compensazione, all'Alsazia-Lorena. Ma gli accordi che erano all'origine di questa ignominia fecero credere al popolo tedesco che la revisione del diktat di Versailles era iniziata e che venisse stabilita una sincera relazione amichevole tra Germania e Francia. Locarno mise il popolo in uno stato di estrema euforia. Su tutti gli orizzonti, Stresemann apparve con ingannevoli richiami di speranza. La Germania celebrò una delle sue più pesanti sconfitte in materia di politica estera come una "vittoria". Credeva in un successo chimerico mentre era stata invece gravemente umiliata e ingannata. L'esultanza provocata da Locarno era in grottesca opposizione con la realtà dei fatti che i francesi non avevano perso di vista in nessun istante.

È vero che con il tempo non si poteva più nascondere che, a Locarno, la Germania aveva scambiato il suo diritto perpetuo sull'Alsazia-Lorena con un piatto di lenticchie e che lì aveva dichiarato il suo consenso a soffocare il suo desiderio di affermare se stessa e il suo orgoglio. La stessa linea collegava Erzberger, padre della risoluzione di pace e firmatario dell'armistizio, Hermann Müller e il "centrista" Bell, firmatari dell'atto di Versailles, a Stresemann, firmatario del patto di Locarno. Sono i tedeschi che hanno capitolato e hanno dato una mano ad espellere la Germania dalla storia. Con i piani Young e Dawes, il popolo tedesco ha dato ugualmente un titolo d'obbligo alla Francia, affinché Parigi non la disturbasse quando la cullava nelle illusioni di pace.

domenica 7 novembre 2021

Leo Schlageter, il viandante del nulla (Karl Radek)

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Questo è il discorso del politico sovietico Karl Radek del 20 giugno 1923, contenente un elogio di Albert Leo Schlageter, un nazionalista tedesco che, per aver resistito all'occupazione della Ruhr da parte dei francesi, era stato da questi fucilato il 26 maggio. Il discorso di Radek fu pubblicato con il titolo
Leo Schlageter, il viandante del nulla (Leo Schlageter, der Wanderer ins Nichts) o, secondo un'altra traduzione meno letterale, il pellegrino del nulla, ed è anche noto semplicemente come discorso Schlageter (Schlageter-Rede). Da qui quella "linea Schlageter" del Partito Comunista tedesco che tenterà di coniugare istanze sociali a istanze nazionaliste.

Io non posso né integrare né perfezionare la vasta ed esauriente relazione della nostra onorevole leader, compagna Zetkin, sul fascismo internazionale, questo martello destinato a schiacciare la testa del proletariato, ma che prima si abbatterà sulla classe dei piccoli borghesi, che sono manipolati nell'interesse del grande capitale. Io non posso neanche seguirla pedissequamente, poiché davanti ai miei occhi aleggia il corpo del fascista tedesco, il nostro nemico di classe, che è stato condannato a morte e fucilato dai mercenari dell'imperialismo francese, quest'altra potente sezione del nostro nemico di classe. Durante tutto il discorso della compagna Zetkin sulle contraddizioni all'interno del fascismo, il nome di Schlageter e il suo tragico destino erano nella mia testa. Noi dovremmo ricordarlo qui nel mentre ci accingiamo a definire il nostro atteggiamento nei confronti del fascismo. La storia di questo martire della Germania nazionalista non va dimenticata né relegata ad una mera espressione di circostanza. Essa ha molto da dirci, e molto da dire al popolo tedesco.Noi non siamo dei sentimentali romantici che dimenticano l'amicizia quando il suo oggetto è morto, né siamo dei diplomatici che dicono: dalla tomba non si dice nulla di buono, o si rimane in silenzio. Schlageter, questo coraggioso soldato della contro-rivoluzione, merita di essere sinceramente onorato da noi, i soldati della rivoluzione. Freksa, che ha condiviso le sue idee, ha pubblicato nel 1920 una novella nella quale ha descritto la vita di un ufficiale che cadde nella lotta contro Spartaco. Freska ha intitolato la sua novella "Il viandante nel Nulla".

Se questi fascisti tedeschi, che hanno onestamente pensato di servire il popolo tedesco, non riusciranno a comprendere il significato del destino di Schlageter, Schlageter sarà morto invano, e sulla sua tomba dovremmo leggere: "Il viandante nel Nulla".

martedì 29 giugno 2021

Paetel e il Programma della sinistra Nazionalsocialista

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Paetel e il Programma della Sinistra Social-Rivoluzionaria del NSDAP
Una bozza di programma per il NSDAP scritto da Paetel nel 1929


Come i lettori del nostro sito sanno Karl Otto Paetel è oggi più noto per il suo Manifesto nazionale bolscevico del 1933. Il Manifesto è stato scritto in un periodo in cui Paetel era leader del "Gruppo dei nazionalisti social-rivoluzionari" (GSRN), un'organizzazione che, ispirata al programma "nazional-comunista" del Partito Comunista di Germania (KPD) del 1930 e a riviste nazionaliste come Aufbruch, ha incentrato gran parte del suo attivismo sull'incoraggiare i nazionalisti a creare legami con la sinistra rivoluzionaria. L'orientamento fortemente pro-comunista del GSRN derivava in parte da precedenti tentativi infruttuosi di Paetel di riformare il movimento nazionalsocialista. Prima che il GSRN fosse fondato il giorno dell'Ascensione del 1930, Paetel era coinvolto in un gruppo informale chiamato "Arbeitsring Junge Front". Pur essendo ancora concentrato sulla promozione della cooperazione tra sinistra e destra, il Fronte dei Giovani all'epoca considerava il NSDAP (Partito nazional socialista tedesco dei lavoratori) come la fonte chiave per il potenziale cambiamento socio-rivoluzionario, dirigendo la maggior parte delle sue energie verso il sostegno dell'opposizione di "sinistra" all'interno del NSDAP e incoraggiando il dibattito interno al Partito sulle sue politiche e orientamenti. Fu a questo scopo che Paetel e altri membri dell'Arbeitsring Junge Front scrissero la breve bozza del programma riprodotto di seguito. Una versione rivista dei 25 punti originali del NSDAP (alcuni elementi sono letteralmente identici), il progetto di programma del Fronte Giovani è più esplicitamente social-rivoluzionario, comprese le richieste di nazionalizzazione di massa, espropriazione della terra e l’alleanza tedesco sovietica. Il programma fu distribuito clandestinamente per la prima volta al Congresso del Partito a Norimberga dell'agosto 1929 prima della sua pubblicazione formale sulla rivista nazionalista Das Junge Volk il 1° ottobre. Il documento, inevitabilmente, ebbe scarso impatto reale: nel maggio 1926, sulla scia della Conferenza di Bamberg, Hitler aveva già dichiarato ufficialmente "inalterabili" i 25 punti e il programma del Fronte non fece progressi nell'incoraggiare il dibattito tra le leadership. Tuttavia, ha generato interesse tra alcuni membri della base del Partito, portando a legami più forti con i membri del NSDAP, molti dei quali in seguito avrebbero formato il nucleo del GSRN.


Nazionalismo social-rivoluzionario:


una proposta per la revisione del programma del Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (NSDAP)

Pubblicato la prima volta nel Das Junge Volk , XI, 1° ottobre 1929.



Il NSDAP è un partito nazionalista. Il suo obiettivo è la nazione tedesca libera.

Il NSDAP è un partito socialista. Sa che la nazione tedesca libera può sorgere solo attraverso la liberazione delle masse lavoratrici della Germania da ogni forma di sfruttamento e di oppressione.

Il NSDAP è un partito dei lavoratori. Professa la lotta di classe dei produttivi contro i parassiti di tutte le razze e credi.

Il NSDAP pertanto richiede:

1. L'integrazione di tutti i tedeschi, sulla base del diritto dei popoli all'autodeterminazione, in un Grande Reich Tedesco;

2. Parità di status per il Volk tedesco con le altre nazioni; l'annullamento di tutti i trattati, obblighi e debiti del precedente governo capitalista;

giovedì 3 giugno 2021

Jacques Doriot dal comunismo al fascismo (Erik Norling)

L'emancipation, Jacques Doriot, Parti Populaire Français, partito Popolare francese, unite totale de travailleurs

Figlio di un fabbro, Jacques Doriot nasce a Bresles in Francia nel dipartimento dell'Oise, il 26 settembre 1898. Proviene da un ambiente popolare, la sua famiglia è di origine operaia e contadina. Egli è, insieme a Mussolini, l'unico dirigente fascista di autentica estrazione proletaria di un movimento che per lo più è stato caratterizzato dell’origine borghese dei suoi dirigenti. Il padre di Doriot aveva origini italiane e sua madre era fiamminga, come molti degli immigrati di seconda generazione in Francia. Appena adolescente, nell'autunno del 1915, il giovane Jacques si trasferì da solo a Saint-Denis, una piccola città industriale a nord di Parigi, che oggi è un quartiere dormitorio della capitale francese. Lì lavora come manovale in vari lavori fino a specializzarsi come operaio metalmeccanico.

All'età di 18 anni si arruolò nel partito socialista a Saint-Denis, sezione fortemente influenzata dal sindacalismo rivoluzionario, ma fu chiamato alle armi poco dopo, nell'aprile 1917, e prestò servizio con coraggio durante la prima guerra mondiale sul fronte della Lorena, venendo poi trasferito nell'Armata d'Oriente, dove la Francia aveva rinomate truppe di pace, così Doriot poté essere presente in Ungheria allo scoppio della rivoluzione bolscevica di Bela Kun e a Fiume quando D'Annunzio si ribella in quel tentativo tragico-romantico di affermazione dell'italianità in questa città dell'Adriatico. Tutto ciò fa sicuramente una profonda impressione sul giovane idealista Doriot.

Nel 1920 tornò dall'esercito con un brillante curriculum di servizio ma sempre più convinto della necessità del pacifismo militante e degli orrori della guerra. Quando al Congresso di Tours avviene la scissione del Partito socialista, che sarà l'innesco per la creazione del Partito comunista francese, Doriot segue i dissidenti fedeli a Mosca. L'Internazionale Comunista aveva già notato questa giovane promessa e lo sostiene. Appoggiato dal Comintern, Jacques Doriot scala vertiginosamente il Partito. All'età di 26 anni è già membro del Comitato Centrale, leader della gioventù comunista dal 1922 e deputato, nonché delegato francese nel Comintern, che lo ha portato a visitare più volte l'URSS, per le sessioni plenarie di quell'organo di governo del comunismo mondiale, e di raggiungere la stessa Cina. Un vero agitatore professionista, educato nella più pura ortodossia del socialismo rivoluzionario, con molto in comune con il percorso di vita di Mussolini. La sua popolarità è innegabile, soprattutto tra i membri più giovani del partito, e le sue campagne a favore della smilitarizzazione della Ruhr, occupata dalla Francia dalla fine della prima guerra mondiale, o contro l'intervento francese nel Rif marocchino, lo tengono sotto i riflettori dei media.

martedì 1 giugno 2021

Chi è Karl Otto Paetel: biografia breve

Karl Otto Paetel, nemico del sistema

Quando pensiamo a Paetel non può non venirci in mente un avvenimento che ha di certo segnato la sua esistenza e che con la forza dell’immagine ci illustra meglio di tutto il resto il significato della sua lotta: dopo una manifestazione contro l’odioso trattato di Versailles davanti l’ambasciata francese, il nostro rivoluzionario tedesco si ritrova in una camionetta della polizia stretto fra altri due compagni di sventura: un giovane comunista e uno studente nazionalsocialista.

Karl Otto Paetel nasce il 23 novembre 1906 da una famiglia berlinese di classe media. Figlio di un libraio, Paetel sviluppò presto interessi letterari e intellettuali e, come la maggior parte dei giovani della sua generazione, il suo pensiero e la sua visione furono profondamente influenzati dall'esperienza della Grande Guerra e dei successivi travagli del dopoguerra tedesco. Anche il fiorente movimento giovanile tedesco ha avuto un forte impatto sul suo sviluppo: è stato il coinvolgimento di Paetel in vari gruppi giovanili che ha contribuito a rafforzare i suoi sentimenti nazionalisti, così come il suo apprezzamento per il cameratismo che derivava dall'attività in organizzazioni unite attorno a una causa comune.

venerdì 28 maggio 2021

Nicola Bombacci passione e rivoluzione (Beppe Niccolai)

Nicola Bombacci, Beppe Niccolai

In questo intervento del 1988 Beppe Niccolai, gigante della sinistra nazionale italiana, ricorda Nicolino Bombacci: le sue parole sono più che attuali, ancora oggi rimangono incomprensibili agli anfibi abitanti della palude liberale. Non è così per chi sente dentro di se la voglia di cambiare questa Italia e questa Europa. 

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Nicola Bombacci o se si vuole, così come amava chiamarlo Mussolini, Nicolino Bombacci.

Risuonano, nel pronunciare il suo nome, tempi lontani ma per una contrapposizione che ha la forza di un urto violento; dentro coloro che quei tempi vissero e che questi tempi vivono; quel nome pone subito un confronto che, se ci fate caso è già, d'un colpo, tutto favorevole a Nicolino Bombacci e a coloro che 70-60-50-40 anni fa vissero, dalle varie sponde politiche, la passione del fare politica.

Il confronto fra quegli uomini di allora, gli uomini del Secolo delle Rivoluzioni e gli uomini di oggi; di questa Democrazia consociativa che, al posto delle idee si nutre di affari, di tangenti che, al posto delle passioni e delle idee, si accorda in ordine al motto «io da una cosa a Te e Tu dai una cosa a me», nel migliore dei casi perché, nel peggiore, la filosofia che oggi ispira la condotta politica e civile è quella della violenza.

Il cinismo ha demistificato tutto, al punto che i rapporti politici altro non sono che puri rapporti di forza per cui la mafia, in tutti i suoi comportamenti, non ultimo quello del linguaggio (il linguaggio ermetico dei politici che è fatto per ingannare) è divenuta cardine della vita politica italiana e Torino non è meno palermitana di Palermo.

Gli uomini politici dei tempi di Bombacci e quelli di Nicolazzi.

Cosa era la politica per Nicolino Bombacci? Un mestiere per fare soldi? Una professione? Una cultura, come si dice in giro?

Nulla di tutto questo. Era passione civile. La politica, lo scriverà senza vergognarsene, non era per lui cultura, ma, semplicemente, quella cosa per cui uno si occupa dei guai degli altri come se fossero propri.

E per quei guai è disposto a dare la vita.

giovedì 27 maggio 2021

Fronti chiari! (Karl Otto Paetel)

Reich Urss Flag, Comunisti, Germania, rivoluzione conservatrice, nazbol

Il seguente saggio è stato scritto dall'intellettuale social-nazionalista Karl Otto Paetel in quel breve periodo 1929-30 quando era organizzatore del "
Arbeitsring Junge Front", un gruppo di pressione informale il cui ideale guida era la promozione di legami più forti e una più stretta cooperazione tra gruppi radicali di estrema sinistra e l'estrema destra. La maggior parte degli sforzi di propaganda del Fronte Giovane era concentrata sul NSDAP, un partito che Paetel e i suoi associati consideravano all'epoca il veicolo più promettente per il raggiungimento di una rivoluzione che sarebbe stata sia socialista che nazionalista. Sebbene Paetel non sia mai stato un membro del NSDAP, nondimeno mantenne stretti legami con esso in questo periodo: molti dei suoi amici erano membri del ramo radicale di Berlino-Brandeburgo, e sia il Fronte dei giovani che la sua organizzazione successiva (il "Gruppo dei Nazionalisti social-rivoluzionari", fondata nel maggio 1930) attirava gran parte dei loro membri dagli insoddisfatti della fazione Strasser del NSDAP. Il rapporto di Paetel con i nazionalsocialisti era abbastanza forte da essere un frequente contributore alle pubblicazioni del Partito, principalmente quelle pubblicate dalla casa editrice Kampfverlag di proprietà di Strasser. L'articolo riprodotto di seguito ne è un buon esempio, poiché la sua pubblicazione originale era nel Nationalsozialistiche Briefe , una rivista teorica dell'editrice Kampfverlag. Pur non essendo tecnicamente una pubblicazione ufficiale del Partito (il Kampfverlag e la sua produzione furono mantenuti formalmente indipendenti al fine di distanziare la loro associazione da Hitler) l' NS-Briefe era, accanto al Nationalsozialistische Monatshefte ufficiale, la principale pubblicazione intellettuale del movimento nazionalsocialista tedesco, ed è stata letta abbastanza ampiamente dai radicali nazionalisti. L'articolo di Paetel invita questi lettori a non "travisare" il "fronte" rosso e a riconoscere che il sistema, piuttosto che il Partito comunista tedesco (KPD), è il vero nemico della rivoluzione tedesca. Le critiche dell'autore al KPD e la sua apparente fede nel NSDAP non dovevano durare. Entro la fine dell'anno, deluso dalla deriva "borghese" del NSDAP ed entusiasta dall'apparente corso "nazionalista" del KPD , Paetel si sarebbe avvicinato al KPD e avrebbe iniziato a sostenere una posizione più in linea con quella successivamente espressa nel suo Manifesto Nazional-Bolscevico.


Le coalizioni o gli accordi politici possono essere il prodotto di considerazioni razionali o misure tattiche, ma possono anche essere forniti dalla situazione politica stessa. Le opinioni su altre forze politiche hanno un valore reale solo per un movimento che in qualche modo sa di essere un esponente di una filosofia spirituale fondamentale che è la caratteristica del suo tempo (perché solo in tali movimenti si può pensare di essere costretti alla politica), se sono in una certa misura già nell'aria e rappresentano la concretizzazione essenziale della sua conoscenza ideale.

Il socialismo tedesco si trova oggi di fronte a due di queste determinazioni. Sul piano interno, si trova di fronte al problema: come dovrebbe comportarsi se un giorno l'attività sovversiva del KPD, che è sempre più chiaramente svolta in conformità delle direttive di Mosca, tenti di fomentare "disordini" da qualche parte come base per una rivoluzione proletaria, e allo stesso tempo i guardiani(1) di Weimar chiamano giovani e pistole a lottare per "pace e ordine", per affrontare il "bolscevismo", e così ancora una volta tirare fuori le castagne dal fuoco sotto le bandiere nero-bianco-rosse della dittatura di Weimar e Versailles?

Si dovrebbe essere decisamente chiari su una cosa: se il nazionalismo social-rivoluzionario e il suo esponente per le masse, la NSDAP, segue questi slogan, allora avrà fallito nella sua missione storica che è quella di reintegrare i proletari sfrattati nel comune destino tedesco attuando un sistema socialista-corporativista, basato sulla natura tedesca, attraverso il conflitto della lotta di classe del lavoro contro il capitale internazionale e antinazionale. Una falsa partenza nella politica interna in una situazione del genere - un esempio è il rispetto in qualsiasi circostanza degli slogan di "pace e ordine" - imprimerebbe invece il marchio di Caino una volta per tutte sui socialisti tedeschi, contrassegnandoli come volenterosi o creduloni portabandiera di quel capitale finanziario che domina il sistema attuale anche a giudizio del democratico Haas(2), e bloccando per sempre quell'accesso al proletariato produttivo che il socialismo richiede.

domenica 23 maggio 2021

23 maggio, nasce e muore Ernst Niekisch (Alain De Benoist)

Ernst Niekisch, nazionalbolscevismo, rivoluzione conservatrice, nazionalismo

Il 23 maggio è il doppio anniversario della nascita e della morte di una delle punte di diamante del pensiero nazional-bolscevico. Autore e politico originale e coraggioso, si è opposto a plutocrazie, vecchi privilegi e alla modernità malata presentatasi sotto forma di democrazie o dittature tecnocratiche. Nel nostro blog è possibile trovare articoli scritti di suo pugno o che parlano del suo pensiero e la sua vita. Di seguito invece una breve ricostruzione della sua vita dopo il 1945. 
Qui altri articoli di e su: Ernst Niekisch


Niekisch dopo il 1945 (Alain De Benoist)


La carriera politica di Niekisch non si conclude nel 1945. Ma l'uomo che i russi hanno liberato della sua cella non è ovviamente lo stesso di quello che più di dieci anni prima profetizzò l'avvento della Terza figura imperiale. Si definisce democratico e progressista. Resta, tuttavia, convinto di molte sue intuizioni e forse l'occupazione sovietica della Germania orientale lo porta a credere che la sintesi "prussiano-bolscevico" che ha sognato è, almeno in parte, in procinto di essere realizzata. Dal mese di agosto del 1945, entrò a far parte del Partito Comunista Tedesco (KPD) e, contemporaneamente, prende la direzione della Volkshochschule Wilmersdorf, situato nel settore britannico, dove continua a vivere. In autunno, lo troviamo come direttore dell'Ufficio della Lega per i Beni Culturali per il Rinnovamento democratico della Germania (Kulturbund zur demokratischen Erneuerung Deutechlands) e della Società di amicizia tedesco-sovietica. Diventò membro della SED nel mese di aprile 1946. Nel gennaio 1946, maliziosamente Junger scrisse: "Sembra che Niekisch sia completamente orientato verso est!". L'interessato rispose non semplificando le cose...

mercoledì 19 maggio 2021

Tusk: il rompighiaccio antiborghese oltre destra e sinistra (Bertrand Eeckhout)

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Tra i movimenti della gioventù ce n'è uno che è particolarmente noto per il suo radicalismo antiborghese: la DJ.1.11. o la Deutsche Jungenschaft 1.11. (1 novembre, data della sua fondazione). Il radicalismo di questo movimento è dovuto essenzialmente alla personalità del suo capo e fondatore: Eberhard Koebel, detto "Tusk". Nato nel 1907 a Stoccarda, figlio di un alto funzionario, Eberhard aderirà molto giovane ai Wandervögel, più tardi passerà ai Freischar dei quali diverrà "Gaufuhrer" a Wurtember nel 1928. Questo piccolo uomo, nervoso ed energico non fu in alcun modo un teorico. Fu sopratutto un artista che rivoluzionò lo "stile" dei movimenti della gioventù dando un aspetto moderno alle sue riviste, conferendogli una grafica audace, moderna e pulita.La sua notorietà nel movimento e in tutta la Germania si deve sopratutto alle sue innovazioni. E queste non sono state solo di ordine grafico. Infaticabile viaggiatore, Koebel aveva visitato e vissuto con i lapponi, attraversato il nord della Russia europea, sbarcato in Novaja Zemlja. Dai suoi viaggi inediti e originali riporta indietro, oltre al suo soprannome "Tusk" ("Il tedesco" in scandinavo, la Kohte (tenda lappone), la balalaika e il banjo. Questa tenda nera e questi strumenti musicali saranno adottati con entusiasmo dai giovani. "Vivendo con intensità" Koebel percorre il suo paese in moto (un altro tratto di modernismo) per reclutare nuovi membri. Gli antiborghesi di Tusk si scinderanno dalla Freischar l'1 novembre 1929 riunendosi sotto la bandiera della DJ.1.11. Tusk imprimerà al suo movimento uno stile originale e un'etica nuova. Il suo stile e la sua etica si imporranno nel campo che organizzerà nel 1931 (Sühlager).

domenica 16 maggio 2021

I primi Gilet Gialli nel febbraio 1934: destra e sinistra unite contro la partitocrazia (M. Bozzi Sentieri)

6 febbraio 1934, La Rochelle, Brasillach, Francia, Gilet Gialli

Les derniers coups de feu continuent de briller
Dans le jour indistinct où sont tombés les nôtres.
Sur onze ans de retard, serai-je donc des vôtres ?
Je pense à vous ce soir, ô morts de février.

 

“I capi si mescolino fra di loro come hanno fatto i soldati. Perché i soldati, Clérence, si sono mescolati su quella piazza. Ho visto i comunisti vicino agli uomini dell’estrema destra; li guardavano, li osservavano turbati, con uno strano desiderio dipinto sul volto. Per un pelo non si sono incontrati, in un miscuglio stridente, tutti gli ardori della Francia. Capisci, Clérence? Corri dai giovani comunisti, indica loro il nemico comune di tutti i giovani, il vecchio radicalismo corruttore” – così Drieu La Rochelle, uno degli scrittori francesi del “Romanticismo fascista”, fa dire a Gilles, protagonista del romanzo omonimo, pubblicato, nel 1939, da Gallimard e censurato dal governo della III Repubblica. E’ il 6 Febbraio 1934, a Parigi, in Place de la Concorde, per la prima volta, si sono incontrati, in una grande manifestazione di protesta contro l’emblema della partitocrazia, il Palais-Bourbon (La Camera dei deputati), e contro il governo del radical-socialista Daladier, militanti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, i Camelots du Roi, gli attivisti dell’Action Francais (il movimento monarchico-tradizionalista di Charles Maurras) ed i giovani operai della “cintura rossa”, membri delle Jeunesses Patriotes e militanti comunisti, ex combattenti e disoccupati.

domenica 9 maggio 2021

Gioventù nazional-rivoluzionaria contro Weimar e nazismo (Thierry Mudry)

nazional rivoluzionari, bolscevismo nazionale, bundisch

Dal 1924-'25 fino alle elezioni legislative del settembre 1930, che proiettarono bruscamente in primo piano il partito nazionalsocialista, la militanza nazionalista in Germania è stata rappresentata principalmente dai gruppi paramilitari (Wherverbände) eredi dei
corpi franchi, e dalle leghe della gioventù (Bünd).(1) Sotto l'effetto della crisi economica gli elementi più radicali di questi gruppi e delle leghe nazionali evolvettero verso il nazional-socialismo rivoluzionario (tendenza Strasser) o il nazional-bolscevismo, mentre gli altri (cioè la maggioranza dei membri e dei capi delle leghe) si adeguarono alla situazione creando nuovi partiti come il Partito dello Stato Tedesco (prodotto della fusione del Partito Democratico e del Giovane Ordine Tedesco di Arthur Mahraun) e il Partito Popolare Conservatore (formato da cristiano-sociali e elementi provenienti dal partito di estrema destra DNVP) cercando invano di renderli strumenti validi per il rinnovamento della Germania.

Il socialismo bündisch

I membri delle leghe della gioventù opteranno per il socialismo bündisch, variante del "socialismo tedesco" alla quale si unirono numerosi ambienti sociali e professionali e gruppi politici della Germania di Weimar. Il socialismo bündisch era molto vicino al "socialismo militaresco" che professavano la maggior parte dei gruppi paramilitari. In entrambi i casi, il loro socialismo era il più radicale degli altri, non solo nel Bünd o nel gruppo militarizzato, ma anche nella Volksgemeinschaft (la comunità di popolo) alla quale serve il Bünd e nella quale esso è inserito (2). Mentre il socialismo militaresco dei più grandi si basava sull'esperienza della guerra e sullo spirito cameratesco del fronte, il socialismo bündisch dei più giovani si appoggiava sull'esperienza delle escursioni attraverso la Germania, sul contatto con il popolo tedesco, sull'esperienza comunitaria della lega e sullo spirito cameratesco che si viveva in essa. Con la crisi e la radicalizzazione crescente della gioventù delle leghe il socialismo bündisch si trasformerà in un socialismo nazional-rivoluzionario favorevole alla nazionalizzazione totale o parziale dei mezzi di produzione e all'autarchia tedesca e centro-europea.

domenica 25 aprile 2021

Stanis Ruinas: un esempio di libertà (Filippo Ronchi)

Stanis Ruinas, Pensiero nazionale, liberazione, fascismo, 25 aprile

Dissidenti

Dopo la conquista del potere, il fascismo fu caratterizzato da un dissenso interno plateale, che si manifestò in una forte componente «movimentistica». Essa non riuscì ad affermarsi, ma si battè, tollerata (se non tacitamente appoggiata) dallo stesso Mussolini che in fondo non dimenticò mai le sue origini socialiste. La natura eterogenea dell'ideologia dei fasci, il valore strumentale e contingente attribuito ai «princìpi», la spregiudicata tattica politica erano stati, prima della marcia su Roma, i punti di forza del PNF. Successivamente si rivelarono elementi di debolezza. La «rivoluzione fascista» non ci fu. Allo scontro frontale con la liberaldemocrazia si sostituirono il compromesso governativo e il processo di inserimento nelle tradizionali strutture statali. Ma molti militanti che provenivano dalle esperienze del sindacalismo, dell'estrema sinistra, dell'arditismo, del legionarismo fiumano durarono fatica a rendersi conto ed a convincersi di quel che stava accadendo; alcuni anzi non accettarono mai l'involuzione. Fra questi il sardo Stanis Ruinas, al secolo Antonio de Rosas (1899-1984). Repubblicano, antiborghese e anticapitalista intransigente, egli rimase fedele alle sue idee durante il Ventennio, nel periodo della RSI ed anche nel secondo dopoguerra.

Nel Ventennio

Formatosi alla scuola del mazzinianesimo e del socialismo di Pisacane, Ruinas considerò Mussolini come colui che aveva inteso portare a compimento quella «rivoluzione nazionale» e popolare avviata dai democratici del Risorgimento, ma subito riassorbita dalla borghesia liberale e moderata post-unitaria. Così anche nel corso del Ventennio la borghesia che continua a condizionare pesantemente l'azione del fascismo originario, i gerarchi corrotti ed inetti, la monarchia e la Chiesa cattolica costituiranno -per Ruinas- nemici da battere, in nome della realizzazione del programma di San Sepolcro, espressione del «fascismo autentico» fautore di una rivoluzione antiborghese. Gli attacchi che Ruinas rivolge dai numerosi quotidiani di cui è collaboratore ("L'Impero", "Il Popolo d'Italia", "Il Resto del Carlino") o direttore ("Popolo Apuano", "Corriere Emiliano") all'establishment attirano i sospetti e le ire degli apparati del regime. Egli viene sospeso, reintegrato, radiato «per indisciplina e scarsa fede» dal PNF, sottoposto a vigilanza speciale, fino alla riconciliazione avvenuta alla vigilia della Seconda guerra mondiale grazie al libro "Viaggio per le città di Mussolini" (1939). E proprio aderendo alla guerra mussoliniana, Ruinas ritroverà le ragioni dello scontro supremo con le forze «plutocratiche» e «trustistiche» inglesi e statunitensi, nelle quali per lui si concretizza il sistema capitalistico, «che è il nemico numero uno del proletariato e della rivoluzione». La guerra fascista è interpretata, dunque, come strumento per sconfiggere prima le «demoplutocrazie occidentali» e poi, forti di quella vittoria, rovesciare il predominio del capitalismo interno e di quello internazionale.