lunedì 23 dicembre 2013

Ascia è il mio nome (Alexander Dugin)

Dostoyevskiy e la metafisica di St. Pietroburgo

L’autore che ha scritto la Russia

Il principale scrittore della Russia è il romanziere Fyodor Mikhaylovich Dostoyevskiy. La cultura e la mentalità russe si concentrano in lui come in un punto magico. Tutto ciò che lo precede anticipa Dostoyevskiy, tutto ciò che lo segue deriva da lui. Senza dubbio egli è il più grande genio nazionale di Russia.
L’eredità lasciataci da Dostoyevskiy è immensa e quasi tutti i ricercatori sono d’accordo sull’importanza centrale del suo romanzo “Delitto e Castigo”. Se Dostoyevskiy è il principale autore della Russia, “Delitto e Castigo” è l’opera principale della letteratura russa e il testo fondamentale della storia russa.*
Conseguentemente, non vi è nulla di accidentale e arbitrario riguardo ad esso, e non potrebbe esserci. Certamente questo libro deve contenere una sorta di misterioso geroglifico, in cui è concentrato tutto il destino russo. Decifrare questo geroglifico equivale ad attingere alla conoscenza dell’insondabile Mistero russo.

La Terza Capitale – la Terza Russia

Il romanzo è ambientato a S. Pietroburgo. Questo fatto, in se stesso, ha un significato simbolico. Qual è la funzione sacra di Pietroburgo nella storia russa? Per comprendere questo, dobbiamo avvicinarci alla posizione di Dostoyevskiy.


S. Pietroburgo assume il suo significato sacro solo in rapporto a Mosca. Entrambe le capitali sono legate l’una all’altra da una logica ciclica, da un filo simbolico. La Russia ha avuto tre capitali. La prima – Kiev – era la capitale di uno stato nazionale, etnico, uniforme, situato alla periferia dell’Impero Bizantino. Questa formazione nordica di frontiera non sviluppò una civiltà molto importante o una funzione sacra. Era un consueto stato di barbari Ariani. Kiev è la capitale della Russia etnica.
La seconda capitale – Mosca – è qualcosa di molto più importante. Essa assunse uno speciale significato nel momento della caduta di Costantinopoli, quando la Russia si ritrovò ad essere l’ultimo Regno Cristiano Ortodosso, l’ultimo Impero Cristiano Ortodosso rimasto.
Ne seguì l’affermazione: "Mosca è la Terza Roma". L’idea del Regno nella tradizione Cristiana Ortodossa ha uno speciale ruolo escatologico: lo Stato, riconoscendo la pienezza della verità della Chiesa è, in accordo con la Tradizione, l’ostacolo sulla strada del “figlio della Rovina”, l’impedimento all’avvento dell’ “Anticristo”.
Lo Stato Cristiano Ortodosso, riconoscendo costituzionalmente la verità della Cristianità Ortodossa e l’influenza spirituale del Patriarca, è il “cathechon”, o il “deterrente” (dalla seconda lettera di S. Paolo Apostolo ai Tessalonicesi). L’introduzione del Patriarcato in Russia diviene possibile solo nel momento in cui l’Impero Bizantino è caduto come regno e, conseguentemente, il Patriarca di Costantinopoli ha perduto il suo significato escatologico. Per questo motivo tale significato è concentrato non solo nella gerarchia della Chiesa Cristiana Ortodossa, ma nell’Impero che riconosce l’autorità di quella gerarchia. Da qui deriva il significato teologico ed escatologico di Mosca, della Russia di Mosca. La caduta dell’Impero Bizantino significa, nella visione apocalittica della Cristianità ortodossa, l’avvicinarsi del periodo dell’ “apostasia”, dell’infedeltà generale. Solo per un breve tempo Mosca si ergerà per essere la Terza Roma così da posporre l’avvento dell’Anticristo, per rinviare il momento in cui il suo arrivo diventerà un fenomeno generale, universale. Mosca è da allora la capitale di un nuovo, essenziale Stato. Non uno Stato nazionale, bensì soteriologico, escatologico, apocalittico. La Russia di Mosca, con il suo Patriarca e il suo Re Cristiano Ortodosso (o Zar), è una Russia che è assolutamente diversa da quella di Kiev. Non è più lungo la periferia dell’Impero, ma l’ultima roccaforte della salvezza, l’Arca, la terra illuminata per la discesa della Nuova Gerusalemme. "Sarà la fine dei Tempi".
S. Pietroburgo è la capitale della Russia che viene dopo la Terza Roma. In un certo senso non vi è nessuna capitale così, non può esservi. "Non ci sarà una Quarta Roma". S. Pietroburgo istituisce la Terza Russia. La terza per qualità, struttura e senso. Non è né uno stato nazionale, né un’arca di salvezza. E’ una strana titanica chimera, il paese del “postmortem”, la nazione che vive e si sviluppa in uno spazio che è oltre la storia. Pietroburgo è una città di "Nav" ("incarnazione della Morte", russo antico), una città del lato opposto. Di qui segue l’assonanza tra il fiume Neva (su cui si trova Pietroburgo) e il Nav. La città del chiaro di luna, dell’acqua, dagli strani edifici, aliena al ritmo della storia, alle estetiche nazionali o religiose. Il periodo di Pietroburgo della storia Russa è stato il terzo senso del suo destino. Era un tempo di Russi speciali, di persone al di là dell’arca. I vecchi credenti furono gli ultimi a imbarcarsi sull’arca della Terza Roma per mezzo del battesimo di fuoco che bruciò le loro capanne insieme a loro.
Dostoyevskiy è lo scrittore di Pietroburgo. Egli non è intelleggibile senza Pietroburgo. Ma Pietroburgo stessa rimarrebbe allo stato virtuale, illusorio senza Dostoyevskiy. Dostoyevskiy la fa rivivere, rende attuale questa enigmatica città, avendo avuto la rivelazione del suo senso (solo allora qualcosa esiste, quando il suo senso si mostra).
Solo a Pietroburgo appare la letteratura russa. Il periodo di Kiev è il periodo delle leggende epiche. Il periodo di Mosca è il tempo della soteriologia e della teologia nazionale.
Pietroburgo porta la letteratura in Russia, il rudimento profano di ciò che era di solito un apprezzabile pensiero nazionale, la traccia magnificata di ciò che se n’era andato. La letteratura è una copertura, un punto superficiale di onde siderali, un vacuum, che piange con disperazione. Dostoyevskiy prestò attenzione a questo richiamo del vuoto, così che tutto se ne andò, fu cancellato, dimenticato, così com’era, resuscitato nella sua eroica azione spirituale.
Dostoyevskiy è più che un letterato. Egli è un teologo, una leggenda epica. Perciò la sua Pietroburgo cerca l’idea, il senso. Essa costantemente si rivolge alla Terza Roma. Essa agonizzante scruta le sorgenti della nazione.
Il personaggio principale di “Delitto e Castigo” di chiama Raskolnikov, che etimologicamente richiama direttamente lo Scisma (o “Raskol”). Raskolnikov è un uomo della Terza Roma, “geworfen” (o “gettato”) nella Pietroburgo “navi”. Un’anima sofferente che, per una strana logica, improvvisamente ha ritrovato se stessa dopo l’auto-immolazione nell’umido labirinto delle strade di Pietroburgo, dai muri gialli, dalla carreggiata bagnata, dai cupi cieli grigi.

Il Capitale

Il plot di "Delitto e Castigo" è una struttura analoga al “Capitale” di Marx: la profezia dell’avvento della Rivoluzione Russa. E’ simultaneamente l’abbozzo di una nuova teologia, una teologia di essere abbandonati da Dio, che sarebbe diventato il principale problema filosofico del Ventesimo secolo. Questa teologia potrebbe essere chiamata “la teologia di Pietroburgo”, pensiero dei “navi”, intellettualismo dei fantasmi.
La storia è estremamente semplice. Lo studente Raskolnikov percepisce improvvisamente la realtà sociale come una rivelazione del male, una speciale sensazione che è caratteristica in certi insegnamenti gnostici escatologici.
Il cianuro di potassio della civiltà. La degenerazione e il vizio fioriscono dove le connessioni organiche, i significati spirituali e le spirali anagogiche delle gerarchie che ascendono senza ostacoli verso il cielo, sono perduti. La percezione di una realtà sacrilega. La perdita insopportabile della “Terza Roma”. L’orrore prima dell’incontro con l’elemento universale dell’Anticristo, con Pietroburgo. Raskolnikov suppone in modo assolutamente corretto che il polo simbolico del male è una femminilità pervertita (Kali). Che è quella condannata dalla religione, del dare denaro a prestito, il che equivale a vivere senza vita e a creare mostri. Che è la decadenza, la degradazione del mondo. Tutto questo è la vecchia usuraia, la Baba-Yaga del mondo moderno, la Vecchiaia, la Morte assassina. Al di fuori della sua sporca tana elle intesse la ragnatela di Pietroburgo, mandando per le sue nere vie i Luzhin, gli Svidrigaylov, i Dvornik e i Marmeladov, i "fratelli neri", agenti segreti del peccato capitalista.
Le trappole del Sottomondo comprendono osterie e bordelli, dense di miseria ed ignoranza, e trombe di scale e cancelli immersi in una semioscurità. A causa della sua senile stregoneria, la Sofia, sapienza di Dio, si trasforma nella misera Sonechka con la tessera gialla. Il centro della ruota del male di Pietroburgo è trovato. Rodion Raskolnikov completa la ricognizione ontologica. Certamente, Raskolnikov è un comunista. Forse egli è più vicino ai socialisti rivoluzionari, ai narodniks. Certamente egli è familiare con i contemporanei insegnamenti sociali. Egli conosce lingue straniere e potrebbe avere sentito parlare del Manifesto di Marx o anche del “Capitale”. Ciò che è importante è all’inizio del “Manifesto”: “…uno spettro si aggira per l’Europa…”. Questa non è una metafora, è una precisa definizione dello speciale modo di essere che accade dopo che una società è divenuta profana, dopo la “morte di Dio”. Da quel momento in poi siamo nel mondo dei fantasmi, nel mondo delle visioni, delle chimere, delle allucinazioni, dei racconti di “navi”**. Per la Russia questo significa “viaggiare da Mosca a Pietrburgo”, l’incarnazione nella città sulla Neva, nella città fantasma. Questa incarnazione non potrebbe essere mai completa.
Il fantasma comunista rende spettrale tutta la realtà. Essendosi stabilito nella coscienza dello studente, che è in cerca del Logos perduto, esso lo immerge nella corrente di una visione distorta: là un vecchio libertino trascina in giro una ragazzina ubriaca; lì Marmeladov piange in modo straziante, dopo aver venduto l’ultimo scialle della sua amata per andare a bere; là il demoniaco Svidrigaylov, l’inviato dell’eterna ragnatela, che è sotto tutela della vecchia usuraia, si muove di soppiatto verso la pura sorella di Rodion. Ma è questa una illusione? Lo spettro, essendosi impossessato della coscienza, libera di fatto l’incoscienza. La realtà svelata è spaventosa, intollerabile, ma vera. E’ il male a capire il male? E’ un illusione a rivelare il carattere illusorio del mondo? E’ la follia a realizzare che l’umanità vive secondo le leggi di una logica malata? Lo spettro del Marxismo, il narcotico della rivelazione, la chiamata gnostica per risorgere contro il Demiurgo del male…La sofferenza sanguinosa di queste ferite è più acuta dell’immagine di una sala splendidamente illuminata, piena di coppie ben vestite che volteggiano nelle danze.
Raskolnikov, uccidendo la vecchia usuraia, compie un gesto paradigmatico, effettua un’Azione alla quale, in un modo archetipico, si riduce la Prassi, come la intende il Marxismo. L’Azione di Rodion Raskolnikov è l’atto della Rivoluzione Russa, il sommario di tutta la letteratura Social Democratica, Narodnik e Bolscevica. Questo è il gesto fondamentale della storia russa che accade proprio dopo Dostoyevskiy, essendo stato preparato a lungo prima di lui negli enigmatici punti iniziali della storia nazionale. Tutta il nostro racconto è diviso in due parti – prima dell’omicidio della vecchia usuraia da parte di Raskolnikov e dopo. Ma essendo uno spettrale, supertemporale momento, esso proietta dei flash in avanti o indietro nel tempo. Esso si mostra in rivolte contadine, nelle eresie, nelle ribellioni di Pugachov e Razin, nella spaccatura della Chiesa Ordossa Cristiana (Scisma, Raskol), nell’avvento dell’età oscura (gli eventi all’inizio del 17° secolo in Russia), in tutte le complicate, diversificate, insaziabili metafisiche dell’Assassinio Russo, che si protende dalla profondità dell’iniziale nascita slava fino al Terrore Rosso e ai Gulag. Ogni mano alzata sul capo di una vittima è stata spinta da un’esplosione passionale, vaga, profonda. È stata la partecipazione all’Atto Comune e alla sua filosofia. Uccisione e Morte portano vicino alla Resurrezione dei Morti.
Noi Russi siamo una nazione benedetta. Perciò tutte le nostre manifestazioni – alte e vergognose, belle e terrificanti – sono santificate da sensi spirituali, dai raggi della città spirituale, sono lavate da un liquido trascendente. Nell’abbondanza della Grazia nazionale, il buono e il malvagio sono mescolati, travasati dall’ uno all’altro, e improvvisamente l’oscurità si illumina, mentre qualcosa di chiaro diventa puro inferno. Siamo inconoscibili come l’Assoluto. Siamo una nazione divina. Perfino il nostro Crimine è incomparabilmente superiore a qualche virtù degli altri.

Non “non uccidere”

Tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX, la coscienza russa era in uno strano modo ossessionata dalla comprensione di uno dei dieci comandamenti – “non uccidere”. Era discusso come se esso fosse l’essenza della Cristianità. Teologi, rivoluzionari e terroristi lo ripetevano costantemente (Savinkov non era fatto per quel comandamento) sia come umanitari sia come progressisti sia come conservatori. Il tema e l’argomentazione su di esso furono così importanti che esso coinvolse, in una notevole estensione, tutta la moderna coscienza russa. Benché il significato di quella formula fosse sbiadito con l’avvento dei Bolscevichi, esso è riemerso alla fine del periodo sovietico e ha incominciato a pervadere le menti degli intellettuali con rinnovata forza. "Non uccidere" non è esattamente un comandamento cristiano e del Nuovo Testamento, ma è giudaico e del Vecchio Testamento. E’ una parte della Legge, la Torah, che regola come un tutto, le norme exoteriche, esterne, sociali ed etiche della vita del popolo di Israele. Potete trovare qualcosa di analogo nella maggior marte delle tradizioni, nei loro codici sociali. Nell’Induismo l’equivalente è chiamato “ahimsa”, “non violenza”. Questo “non uccidere”, come il resto dei paragrafi della Legge, regola la libertà umana, dirigendola verso la corrente che, secondo lo spirito della Tradizione, appartiene alla parte migliore, al suo “lato della mano destra”. In più, è significativo che quel “non uccidere” non abbiamo nessun senso metafisico assoluto. Come tutte le immagini exoteriche questo comandamento serve, solo con gli altri, a mantenere in ordine l’esistenza collettiva e a preservare la comunità dal precipitare nel caos (“la Legge non ha commesso nulla”, secondo S. Paolo Apostolo). In linea di principio, se uno confronta la realtà del Vecchio Testamento con la moderna, la formula “non uccidere” corrisponde approssimativamente alla scritta “vietato fumare”, posta nel foyer di un teatro. Fumare a teatro non è consentito, non va bene. Quando alcuni spettatori nervosi iniziano a fumare, è uno stato di allarme per le maschere. Così le persone sono condannate dalla pubblica opinione e soggette a repressione da parte degli organi di giustizia.
E’ molto significativo che il Vecchio Testamento sia pieno di inosservanza ribelle a questo comandamento. L’assassinio è dappertutto. Non è commesso solo dai peccatori, ma anche da uomini retti, re, sovrani consacrati, perfino da profeti. Il pupillo favorito di Elia, il profeta Eliseo, fu particolarmente severo: non ebbe pietà nemmeno per piccoli innocenti. Essi uccisero durante delle guerre, uccisero loro abitanti e stranieri, uccisero criminali e quelli che avevano ucciso, uccisero donne. Essi non ebbero grazia per bambini, anziani, non ebrei, profeti, idolatri, stregoni, settari, parenti. Molte cose furono distrutte. Nel Libro di Giobbe, Yahweh – senza nessuna ragione particolare eccetto una controversia abbastanza superficiale con Lucifero, tratta in modo sadico un suo uomo eletto e virtuoso.
Quando quest’ultimo, coperto di lebbra, si indigna per questo, Yahweh lo intimidisce con due mostri geopolitici***: la terra chiamata Behemoth e il mare chiamato Leviathan, lo mortifica anche in senso morale. La moderna ricerca sulla Bibbia prova in modo convincente che il testo originale del Libro di Giobbe si conclude al culmine della tragedia, e la fine ingenuamente moralistica fu aggiunta più tardi dai Leviti, che erano terrificati dalla rigida natura primordiale dei frammenti più arcaici del “Vecchio Testamento”.
In altre parole, nel contesto giudaico per cui il comandamento “non uccidere” era stato direttamente formulato, esso non ha né carattere assoluto né uno speciale significato.
Non vi fu nessuna controversia su questo tema e apparentemente non fu dedicata ad esso nessuna riflessione in modo intenzionale. Questo non significa che il comandamento non fu mai tenuto in alcun conto. Lo era: essi cercavano di non versare sangue senza motivo. Essi cercavano pure di stare attenti al concilio dei rabbini. Se qualcuno veniva ucciso inutilmente, seguiva una punizione. Una legge consueta. Un comandamento normale. Niente di speciale. Uno standard di condotta per l’uomo. Nella Cristianità è tutto diverso. Cristo è la pienezza della Legge. La Legge si conclude con Lui. La missione della Legge è compiuta. In un certo senso è tolta dall’ordine del giorno. Esattamente “rimossa”, ma non abrogata. I problemi spirituali passano su un piano radicalmente diverso. Da allora, nel Dopo Legge, comincia l’era della Grazia. "La protezione della Legge è superata". Strettamente parlando, l’avvento di una tale era significa il carattere non importante dei comandamenti.
Anche il primo comandamento di adorare l’Unico Dio è superato dal Nuovo Testamento, con il Precetto di AmarLo. Attraverso l’Incarnazione, il Dio-Logo provoca assolutamente nuove relazioni tra il Creatore e tutta la creazione, e tra le creature stesse. Da allora tutto accade sotto il segno di Emmanuel, per la benefica formula, “Dio è con noi”. Dio non è un luogo lontano, Egli interpreta non solo la funzione di Giudice e di Legislatore, ma anche di Adorato e di Amorevole. Il Nuovo Comandamento non respinge i dieci precedenti, ma li rende superflui.
L’umanità del Nuovo Testamento si trova su una via cardinale diversa dalla vecchia, giudaica (o pagana). Essa porta il segno dell’Amore trascendente. Ecco perché la dicotomia della Legge – “adorare” – “non adorare”, “singolare” – “plurale”, “rubare” – “non rubare”, “sedurre” – “non sedurre” e, infine, “uccidere” – “non uccidere” – non hanno più senso.
Nella santità cristiana, tutti i significati sono espressi in modo positivo. L’uomo nuovo qui non ha bisogno di regole, egli vive per una cosa – l’Amore equilibrato, eterno, puro, che sta in preghiera e in contemplazione. Qui, non vi è proprio “non uccidere”. I santi cristiani riderebbero ad un simile avvertimento perché in essi la dualità è già abolita, la barriera tra l’io e il non io è spezzata. Inoltre, essi vogliono essere uccisi, essi aspirano a soffrire, desiderano il martirio. Comunque, la vita autenticamente cristiana non ha alcuna relazione con i vecchi Dieci Comandamenti. Essi sono una volta e per sempre superati nel sacro battestimo. Più in là, c’è solo la realizzazione della Grazia.
Ma consideriamo un cristiano non in stato di santità, non in una vita monastica, ascetica o eremitica. Può essere valido per lui il modo di pensare secondo le regole del Vecchio Testamento? No. Egli è cristianizzato, che significa nato dall’alto, e di conseguenza Dio è anche con lui. Dentro, ma non fuori. Perciò, pur essendo peccatore, anche l’indegno vive al di là dell’uomo antico, in un nuovo essere, nella corrente dell’immeritata luce della Grazia. Osservare o non osservare la legislazione del Vecchio Testamento non ha niente a che fare con l’intima essenza dell’esistenza cristiana.
Naturalmente, è più conveniente per una società avere relazioni con coloro che obbediscono ed osservano regole. Anche per una società cristiana. Ma tutto ciò non è commisurabile con il sacramento della Chiesa, con la vita mistica di un credente. Qui inizia l’elemento più interessante. Un cristiano, trasgredendo alcuni comandamenti del Vecchio Testamento, dimostra nei fatti di non avere completato in se stesso la misteriosa natura dell’Uomo Nuovo, la personalità potenziale conferitagli dallo Spirito Santo al fonte battesimale.
Ma chi può vantarsi di avere raggiunto la piena deificazione? Più uno è santo, più meschino, peccatore, terribile gli sembra di essere di fronte allo Splendore della Trinità. Di conseguenza, come nel caso degli yurodivy (i pazzi di Dio) che disprezzano l’aspetto umano, la caduta può essere, in modo paradossalmente cristiano, un sacramento.
L’osservazione dei Dieci Comandamenti non è un fattore decisivo per un Cristiano ortodosso. Solo una cosa è per lui importante: Amore, il Nuovo - assolutamente Nuovo - Testamento, il Testamento dell’Amore. I Dieci Comandamenti senza l’Amore sono la via per l’inferno. E se c’è l’Amore, allora essi non hanno più significato. Questo era tutto chiaro agli intellettuali radicali russi. Nel libro di Boris Savinkov, "Il Cavallo Pallido", un terrorista di nome "Vanya" (un personaggio letterario, ispirato da Ivan Kalyayev) dice prima di commettere un omicidio: "E l’altra via – la via di Cristo verso Cristo… Ascolta, se tu ami molto, se ami realmente, allora puoi uccidere, no?"
E più in là - "...uno deve soffrire un tormento di croce, uno deve determinare di fare tutto questo al di fuori dell’amore e per amore. Ma assolutamente al di fuori dell’amore e per amore… Così io vivo, e per che cosa? Può darsi che io viva per la mia ultima ora. Io prego: Signore, datemi la morte in nome dell’amore. Non puoi pregare per uccidere, vero?”
Savinkov visse, pensò, scrisse e uccise dopo Dostoyevskiy. Ma nulla viene aggiunto a Raskolnikov. Raskolnikov uccide non solo per amore dell’umanità (pensava anche ad essa), egli uccide per amore dell’Amore. Per passare attraverso la sofferenza, egli deve morire, uccidere la morte in se stesso e negli altri. Ivan Kalyayev, come lo stesso Savinkov , era profondamente russo, profondamente Cristiano ortodosso, una persona di tipo profondamente "dostoyevskiano": avendo una personalità evidentemente divina, accanto all’intera nazione, e ripieno di un Pensiero così elevato, paradossale e Cristiano ortodosso, al cui confronto i più raffinati e profondi schemi filosofici occidentali divengono insipidi. I Russi non formulano una teologia, essi la sopportano, la vivono completamente tutta la loro vita. Questa è la teologia, che viene attraverso i pori, attraverso il respiro, attraverso le lacrime, attraverso il sonno e le smorfie di collera. Attraverso il tormento e la tortura. Attraverso l’umidità e il sangue, l’elemento carnale e spiritualizzato della Nuova Vita.
Con l’Amore e con l’amore per l’Amore uno può fare tutto. Questo non significa che uno deve fare tutto e che tutti i comandamenti debbano essere revocati, respinti. Da tenere in nessun conto. Uno dovrebbe proprio dimostrare con la propria vita e le proprie azioni che c’è – e questa è la cosa principale – un’altra dimensione dell’essere, la nuova luce, la luce dell’Amore.
Il luogo dell’assassinio della vecchia usuraia è S. Pietroburgo. Così questo è il luogo dell’Amore in Russia, locus amoris.
Rodion solleva le due mani, due segni angolari, due plessi, due rune sul gelido raggrinzito cranio del Capitale. Nella sua mano c’è un’articolo volgare, rozzo, fatto grossolanamente. Con questo articolo, il rituale centrale della storia russa e del mistero russo viene commesso. Lo spettro si materializza, accade il momento dell’organizzazione del tempo terrestre (Goethe sarebbe immediatamente impazzito, dopo aver visto quale momento in realtà arrestava…). Due teologie, due testamenti, due rivelazioni si incontrano in un magico punto. Questo punto è assoluto.
Ascia è il suo nome.

Labris

Breve genealogia dell’ascia.
La più brillante ipotesi riguardo questo oggetto – la sua origine e il suo Simbolismo – fu avanzata da HermannWirth, un genio scientifico tedesco e uno specialista nel campo della preistoria umana e delle scritture antiche. Wirth dimostrò che la scure bipenne era il simbolo primordiale dell’Anno, del cerchio, delle sue due metà, una seguente il solstizio d’inverno, l’altra precedente. L’ascia normale (non la bipenne) simboleggia corrispondentemente una metà dell’Anno, normalmente la primavera, la metà ascendente.
Inoltre, l’uso pratico dell’accetta di tagliare gli alberi, anche secondo Wirth, porta una rerlazione con il simbolismo annuale, perché l’Albero nella Tradizione significa l’Anno. Le sue radici sono i mesi invernali, la sua corona quelli estivi. Per cui il taglio degli alberi è correlato, nel primordiale contesto simbolico delle società sacrali, con l’avvento del Nuovo Anno e con la fine del vecchio.
L’Ascia è simultaneamente l’Anno Nuovo e lo strumento con il quale il vecchio viene distrutto. Simultaneamente è uno strumento per tagliare, per spaccare il tempo, per tagliare il cordone ombelicale della sua lunghezza fuori nel magico punto del Solstizio d’Inverno, quando accade il più grande mistero della morte e resurrezione del Sole.
La runa che nell’antico calendario runico raffigurava l’ascia era chiamata “thurs” ed era dedicata al Dio Thor. Essa cadeva ai primi mesi del uovo Anno. Thor era il Dio dell’Ascia o del suo equivalente simbolico, il Dio-Martello o Miollnir. Con questo Martello-Ascia, Thor frantumava il cranio del Serpente del Mondo, Irmunganthr, che galleggiava nelle acue inferiori dell’oscurità. Ancora un evidente mito del solstizio, connesso con il punto del Nuovo Anno. Il Serpente è l’Inverno, il freddo, le acque inferiori dell’anno sacro, dove cala il sole polare. Thor, qui sia il Sole che lo spirito del Sole, supera il potere del freddo e rende libera la Luce. Nelle fasi posteriori del mito, la figura della Luce Solare è divisa in due – il salvatore i il salvato – e poi in tre con l’aggiunta dello strumento di salvezza, l’ascia. Nella forma primordiale, tutte queste personalità sono a volte unite – dio-sole-ascia (martello).
Le più antiche iscrizioni del segno dell’ascia nelle caverne del Paleolitico inferiore e le sculture in roccia furono analizzate da Herman Wirth alla luce dell’intero struttura rituale e del calendario. Egli accertò una stupefacente costanza dei proto significati dell’ascia attraverso le più differenti collocazioni in culture e linguaggi sia di epoche che di località geografiche. Egli dimostrò la relazione etrimologica e semantica delle parole che significano “ascia” con altre nozioni simboliche e argomenti mitologici, associati anch’essi al mistero del Nuovo Anno, del cuore dell’Inverno, del Solstizio d’Inverno.
Particolarmente interessanti sono le indicazioni che il significato simbolico di “ascia” sia strettamente indentico ad altri due antichi geroglifici: il “labirinto” e la “barba”.
Il “Labirinto” è uno sviluppo dell’idea della spirale dell’anno, che si avvolge verso l’Anno Nuovo e poi subito inizia a sciogliersi. "Barba" è semplicemente la luce del sole maschile nella metà autunno-inverno del ciclo dell’anno (i capelli nel loro complesso sono i raggi del sole). Perciò nel circolo runico un’altra runa – “peorp” assomiglia all’ascia, ma significa la barba. In mezzo al Labirinto vive il Minotauro, il mostro, il toro umano, l’equivalente di Irmunganthr, il Serpente del mondo e …la vecchia usuraia. Dostoyevskiy ha descritto l’antico argomento mitologico, il segreto paradigma della successione simbolica, il rituale primordiale, che i nostri antenati praticarono per molti millenni. Ma questo non è solo un anacronismo o dei frammenti scoordinati dell’inconscio collettivo. In effetti la questione riguarda una figura escatologica estremamente importante, riguarda il senso e il gesto della Fine dei Tempi, riguarda il sacro momento apocalittico, in cui il tempo collide con l’Eternità, quando brilla il fuoco del Giudizio Universale.
I Russi sono una nazione benedetta, e la storia russa è un riassunto della storia del mondo. Verso di noi, come magnete temporale, spaziale, etnico, il senso del destino di secoli gravita con progressione crescente. La Prima e la Seconda Roma esistettero proprio perché apparisse la Terza. L’Impero Bizantino fu la profezia della Santa Russia. La santa Russia in modo apocalittico attirò se stessa verso la città-fantasma chiama S. Pietroburgo, dove apparve il più grande profeta di Russia, Fyodor Dostoyevskiy. Lo scenario del suo principale romanzo, "Delitto e Castigo", si trova nel labirinto delle vie di Pietroburgo e i personaggi principali sono i personaggi principali della Russia. Tra di essi, i più importanti sono Raskolnikov, la vecchia usuraia e l’ascia. In più, l’ascia è la bilancia che connette Raskolnikov con la vecchia usuraia. Di conseguenza, la storia del mondo – attraverso la storia di Roma, attraverso la storia dell’Impero Bizantino, attraverso la storia della Russia, attraverso la storia di Mosca, attraverso la storia di S. Pietroburgo, attraverso la storia di Dostoyevskiy, attraverso la storia di “Delitto e Castigo”, attraverso la storia dei personaggi principali del romanzo – è semplificata nell’ASCIA.
Raskolnikov spacca la testa della vecchia capitalista. Il nome "Raskolnikov" ("Raskol" significa letteralmente “divisione”) stesso indica le operazioni che essa fa. Raskolnikov compie il rituale del Nuovo Anno, il mistero del Giudizio Universale, la celebrazione della resurrezione del Sole.
Il Capitalismo, avanzando verso la Russia dall’Occidente, dal lato del tramonto, rappresenta materialmente il serpente del mondo. La sua agente è la vecchia-ragno che tesse una tela di schiavitù da usura. Essa è anche parte di questa.
Raskolnikov porta l’ascia dell’Oriente.
L’ascia del sole nascente, l’ascia della Libertà e della Nuova Alba.
Il romanzo avrebbe potuto concludersi in maniera trionfale con la piena giustificazione di Rodion. Il crimine di Raskolnikov è la punizione per l’usuraia. L’era dell’Ascia e della Rivoluzione proletaria è proclamata. Ma… ulteriori forze entrano in gioco. L’investigatore si dimostra particolarmente insidioso. Questo rappresentante della giurisprudenza kafkiana e dello pseudo-umanitarismo farisaico, avvia un complicato intrigo per diffamare il protagonista principale e le sue azioni agli occhi di Raskolnikov stesso. Porfiriy, in modo meschino confonde i fatti, conduce Raskolnikov a un cieco labirinto di dubbi, di nervosismo e di sconvolgimento mentale. Egli non tenta solo di mettere Rodion in prigione, ma cerca di sopprimerlo nella sua spiritualità. Il personaggio principale avrebbe dovuto trattare quella feccia allo stesso modo della vecchia: “ Spacca il cranio del serpente”. Ma il nostro personaggio si dimostra incapace di riprendersi… Allora anche il resto dell’intreccio del mito si dipana. Allora anche Raskolnikov, secondo lo scenario primordiale, avrebbe dovuto far scappare dal bordello Sapienza-Sofia, come Simone lo Gnostico fece con Elena. Anche la scena della recitazione della narrazione evangelica sulla resurrezione di Lazzaro è rimasta alla versione originale: Sofia, liberata dall’Amore ed essendo sciolta dalla schiavitù dell’usura riproduce la resurrezione universale. Ma qui per qualche ragione ella si unisce in una cospirazione con “l’adoratore del serpente dell’umanitarismo”, Porfiriy. Ella comincia ad insinuare a Raskolnikov un’idea: che la vecchia avrebbe dovuto essere risparmiata, che ella non era “un pidocchio da togliere”. La società dell’amore degli animali, comprende anche il serpente del mondo completamente buio. Una sollecitudine per una lacrima del capitalista.
Come può essere spiegato tutto ciò?
Dostoyevskiy era un profeta e aveva il dono della chiaroveggenza. Egli previde non solo la rivoluzione (il colpo sul cranio con la scure), ma anche la sua degenerazione, il suo tradimento, il suo essere messa in vendita. La Sofia del socialismo gradualmente degradò nell’incerto umanitario farisaico. Porfiriys penetrò nel partitò e minò le basi del regno escatologico del paese sovietico.
Prima rinunciarono alla rivoluzione permanente, poi le purghe, e poi Sonya, sotto forma degli intellettuali tardo-sovietici, prima cominciò ad uggiolare a proposito dello stupidissimo “non uccidere”… E il sangue sgorgò a fiumi. Questo non era il sangue dei vecchi usurai, ma quello di bambini assolutamente innocenti.
Vi è una versione virtuale di “Delitto e Castigo”, che ha un finale assolutamente diverso. Essa ha a che vedere con il nuovo periodo che sta iniziando nella storia Russa. Finora noi abbiamo vissuto nella prima versione. Ma ora tutto quello è finito. Il nuovo mito si sta incarnando, la spada scarlatta di Boris Savinov sta riarde nelle mani della nuova gioventù di Russia, la Russia dei Tempi Ultimi.
Ascia è il nome di quella Russia.



Note

* Rendiamo senz’altro noto del fatto che alcuni dei concetti di questo articolo sono ispirati alla lettura del lavoro molto interessante di V. Kushev, “730 Gradini”, in cui l’autore analizza il paradigma di “Delitto e Castigo”.
** Stirner scrisse ne “L’Ideologia tedesca”: "Mensch, es spukt in deinem Kopfe!", che si potrebbe approssimativamente tradurre, "Uomo, è la tua testa che è pervasa di fantasmi!”. Riguardo l’esatta traduzione del verbo tedesco “spuken”, esso è derivato da “der Spuk” (uno spettro) e il suo analogo dal Francese “hanter” e dall’Inglese “to haunt”. Padre Seraphim ci ha indicato un’interessante analogia, avendo ricordato che in antico Russo esiste il verbo “stuzhati”, che ha lo stesso significato del tedesco “spuken” – essere sopraffatti dal male, essere posseduti da esseri invisibili. Jacques Derrida nel suo testo "Amleto ed Ecuba" (1956) mise in rilievo la similarità tra il dramma di Shakespeare e il “Manifesto” di Marx. In entrambe i casi tutto inizia con lo spettro, dall’attesa della sua comparsa. Derrida sottolinea precisamente che “ il momento degli spettri non appartiene al tempo usuale”. In altri termini, il tempo nel mondo dei fantasmi non ha alcuna misura comune al tempo del mondo umano. Esso è assai strettamente connesso con la vera essenza di Pietroburgo, la città-fantasma, che vive al di là del tempo sacro della storia russa in una sorta di sonno sottile, di siderea vertigine. Questa è l’eternità spettrale di Svidrigaylov. Questa città simile all’ "Olandese volante" city, le sue luci, i suoi candelabri, le sue candele e lampade, e il suo Illuminismo non sono nient’altro che fuochi di S. Elmo, che luminescenze fittizie di una quasi-esistenza simile a una palude. Stuzhalyy gorod, the haunted city, la ville hantee... Il luogo della follia. Della malattia, della febbre, della perversione, del vizio e … della nascente consapevolezza.
*** Nella moderna geopolitica, Leviathan e Behemoth significano rispettivamente potere del mare e potere della terra. Il Leviathan è l’Atlantismo, l’Occidente, l’America, il mondo aglosassone, e l’ideologia di mercato. Il Behemoth è l’Eurasia, struttura continentale, ed è associato con Russia, gerarchia e tradizione.




Originale pubblicato su "Arctogaia"

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