sabato 22 febbraio 2014

Appunti sul sionismo (Franco Morini)

Appunti sul sionismo 1)

Il 9 dicembre 1946 si tenne a Basilea, primo nel dopoguerra, il XXII° Congresso Sionistico.
I congressisti dovevano dibattere principalmente i seguenti argomenti:
- creazione della Stato ebraico in una parte della Palestina;
- creazione di uno Stato ebraico in tutta la Palestina;
- costituzione di uno stato binazionale basato sull'uguaglianza delle popolazioni araba ed ebraica;
- elezione del nuovo Presidente dell'Organizzazione Sionistica Mondiale, contemporaneamente Capo della Jewish Agency e del nuovo Esecutivo da eleggere.
Dopo quattro giorni di animate discussioni il Congresso sionista di Basilea decise a maggioranza che:
a) la Palestina fosse costituita come uno Stato Ebraico integrato nel mondo democratico;
b) le porte della Palestina fossero aperte all'immigrazione ebraica;
c) la Jewish Agency fosse investita del controllo dell'immigrazione ebraica e dell'autorità necessaria per la ricostruzione del paese.
Per quanto concerne l'elezione del nuovo Presidente, tale carica venne lasciata vacante per non riconfermare né umiliare l'ex Presidente, Chaim Weizmann, considerato troppo moderato nei confronti dell'Inghilterra e pertanto avverso alle azioni terroristiche anti-britanniche che si svolgevano in Palestina. In quel contesto Ben Gurion venne nominato Presidente-ombra dell'Esecutivo Sionista nella veste di primus inter pares di tale organismo.





Appunti sul sionismo 2)

Riproponiamo, sempre ai fini della documentazione sul sionismo, un articolo a firma di Nathan Mayer Rothschild - discendente della nota dinastia inglese dei Rothschild - pubblicato sul mensile qualunquista "L'Europeo Qualunque" n. 2 del 28 febbraio 1947, pag. 8, sotto il titolo L'Irgun Zwai e 900 miliardi di dollari

La grande finanza ebraica controlla il quaranta per cento del capitale nordamericano e il venti per cento del capitale britannico e noi siamo sicuri di raggiungere lo scopo della sollevazione ebraica mondiale: la creazione della Libera Repubblica Teocratica Palestinese (sic!). Gli ebrei nel mondo sono ora sette milioni dopo lo sterminio di sei milioni di israeliti operato da Hitler e la Palestina può e deve contenerli. Ove non li contenesse l'hinterland africano è vuoto e noi lo dissoderemo, l'arricchiremo con i miliardi a nostra disposizione. Uno solo è il motivo della guerra santa scatenata dall'Irgun contro l'Inghilterra: la proibizione da questa nazione sancita, dell'ulteriore immigrazione in Palestina. Uno dopo l'altro i nemici del popolo ebraico sono stati schiacciati e l'Inghilterra che noi facemmo grande nell'impero e nella madre patria con traffici e diplomazia deve acconsentire alla nostra legittima aspirazione. La fede, la costanza ebraica sono addirittura enormi. Non ci ha piegato Hitler con le camere a gas, non ci può piegare il divieto inglese di immigrazione anche se questo divieto è motivato dalle ragioni di tutela degli Arabi che sono i veri intrusi sul Mar Rosso, dopo gl' inglesi. Possiamo dare delle cifre di ammonimento: L'Irgun Zwai Leumi possiede in cifra tonda novecento miliardi di dollari di capitale. Questa cifra è rappresentata dagli investimenti negli Stati Uniti e nelle colonie inglesi e dalle montagne di azioni delle principali banche sudamericane. Con questo denaro noi possiamo smuovere il mondo e non lo vogliamo fare avendo provato sulle nostre carni la sciagurata persecuzione razziale del bruto teutonico. E' ancora un sentimento di moderazione quello che ci vieta di dare pratica attuazione al piano già pronto in tutte le sue parti. Nel grande conflitto ideologico che travaglia il mondo l'Irgun Zwai Leumi si inserisce solo quel tanto che basti a sollevare e tener vivo il problema ebraico presso le grandi potenze come il piccolo Piemonte d'Italia vi riuscì dopo la Crimea. Sta però per scoccare l'ora, l'ora delle decisioni e la Gran Bretagna dovrà permettere che la Palestina si regga da sola sotto il dominio rabbinico. E' bello, è entusiasmante l'avvenire del popolo ebraico dopo la vittoria dell'Irgun Zwai Leumi. Verso le rive del Giordano guarderanno tutti gli stati del mondo perché in Palestina, la Banca Ebraica concederà il tasso più alto e più favorevole. Non si dirà più che l'ebreo è usuraio ma il più illuministico della terra. Un centro possente di propulsione e di civiltà nascerà a Gerusalemme, la nostra capitale che noi, con tutto il rispetto per i monumenti cristiani, trasformeremo e renderemo grande, ricca, grandiosa, affascinante. Dal mondo chiameremo i fratelli di cento lingue e di una sola razza: i polacchi avviliti e semidistrutti, gli italiani alti burocrati e ufficiali, gli inglesi Lord e Deputati, gli americani capitani d'industria: la lingua ufficiale sarà quella ebraica, la fede quella delle tavole del Sinai, l'esperienza di cento popoli generosi, lo slancio conseguente alle persecuzioni atroci dell'ultimo decennio. Noi non vogliamo la rovina dell'Inghilterra ma l'Inghilterra civile e libera deve darci la libertà e la nostra piccola patria. Perché a Cipro gli ebrei sono ancora nel filo spinato? E perché in tutta l'Europa, un pò dovunque, gli ebrei sono prigionieri e guardati a vista? Un tentativo di "incameramento" è stato fatto da una Grande Potenza [l'Urss- n.d.c.] nei nostri riguardi: si trattava di mettere a disposizione di questa Potenza, che professa una teoria sociale livellatrice e contraria al nostro mondo teocratico ( retto cioè da un sacerdote del Dio Javè), la nostra immensa forza in senso anti-inglese. Ebbene questo è il grido dell'ebraismo mondiale all'Inghilterra: uno stato colossale è pronto per noi. Con le sue armate, con i suoi territori, con i suoi beni uniti al nostro denaro noi possiamo abbattere Londra se Londra ci negherà la piccola Palestina, aspirazione suprema della Diaspora.

Nathan Mayer Rothschild



Appunti sul sionismo 3)

Il movimento sionista poteva contare in Palestina su tre organizzazioni paramilitari più o meno segrete rappresentate in ordine d'importanza da: Haganah, Irgun Zwai Leumi e i sedicenti "Combattenti per la libertà d'Israele" (Lehi), più conosciuti come gruppo o banda Stern. La Haganah venne fondata già al principio dell'emigrazione ebraica come milizia civile ed era controllata direttamente dalla Agenzia Ebraica. Fino al 1945 la Haganah non entrò mai in conflitto con gli inglesi che di fatto l'appoggiavano. Quando Rommel avanzò fino alle porte di Alessandria, l'Haganah venne ufficialmente riconosciuta dall'Inghilterra. A questa organizzazione gli inglesi affidarono la "difesa" della Palestina in caso di loro evacuazione. Forte già allora di circa ventimila uomini addestrati ed equipaggiati da ufficiali inglesi. Questa forza era comandata dal generale Wingate il quale aveva già combattuto contro gli italiani in Abissinia. In previsione dell'occupazione della Palestina da parte dell'Asse, il Quartier Generale britannico consegnò alla Haganah immensi depositi d'armi che dovevano servire all'azione clandestina contro l'Afrika Korps. Quelle stesse armi vennero utilizzate invece contro i Palestinesi dal 1945 al 1948. Politicamente la Haganah era orientata verso il Mapai, cioè un sionismo di tipo socialdemocratico. L'organico della Haganah oscillava tra gli 80 e i 120 mila uomini tutti inquadrati e modernamente equipaggiati. Fra loro molti gli ex combattenti già aggregati ad unità britanniche o reduci dalla Brigata ebraica incorporata nell'esercito inglese. L'Irgun Zwai Leumi derivava invece dalla scissione del partito revisionista che a suo tempo si era sganciato dall'Agenzia Ebraica per entrare in clandestinità. Il partito revisionista rappresentava, fin dalla sua fondazione ad opera di Wladimir Jabotinsky, l'ala più radicale del sionismo. La sua parola d'ordine era infatti "Uno Stato Ebraico sulle rive del Giordano" come dire l'intera area tra il Nilo e l'Eufrate ( la stessa bandiera nazionale d'Israele esprime graficamente tale concetto. In essa, infatti, la stella di Davide domina fra due bande azzurre che raffigurano appunto i fiumi Nilo ed Eufrate). D'ispirazione apertamente fascistoide ed ultranazionalista, gli aderenti all'Irgun predicavano la conquista totale della Palestina con l'uso delle armi e della violenza intimidatrice. Nell'Irgun confluivano ebrei provenienti dalla più ricca borghesia insieme a disperati profughi dalla Polonia. Quando nel 1939 l'Inghilterra pubblicò il Libro Bianco che limitava l'immigrazione ebraica in Palestina, l'Irgun entrò immediatamente in azione contro gli inglesi, ma al momento della dichiarazione di guerra alla Germania, anche il partito revisionista decise di appoggiare la Gran Bretagna considerando Hitler un nemico prioritario. Alla fine della guerra molti aderenti all'Irgun portavano ancora la divisa britannica e parlavano un perfetto inglese. Furono loro, infatti, che riuscirono ad infiltrarsi nel Quartier generale britannico nell'Albergo "King David" e a farlo saltare provocando almeno una cinquantina di morti. Il partito revisionista contava in Palestina alcune decine di migliaia di aderenti e 10-15 mila militanti attivi. Una parte dell'Irgun, ancor più estremista, era dell'opinione che occorresse combattere l'Inghilterra al pari della Germania. Il loro capo era uno studente universitario di nome Stern, da cui prese il nome la formazione sionista più intransigente, il Lehi. Il Lehi aveva scritto al ministro degli Esteri della Germania proponendogli un'alleanza. Secondo questa lettera, il Lehi era dell'opinione che possano esistere interessi comuni tra lo stabilire un nuovo ordine in Europa in conformità con il concetto tedesco e le vere aspirazioni nazionali del popolo ebraico (L.Brenner, Zionism in the Age of Dictators Westport, CT, Lawrence Hill - 1983 - pag. 267). Nel 1941 la Haganah e l'Irgun, alleati con gli inglesi, riuscirono a scovare il nascondiglio di Stern presso Tel-Aviv e a segnalarlo alla polizia militare che provvide ad uccidere Stern e ad arrestare un certo numero di suoi seguaci. Alla fine della guerra la "banda Stern" si era riorganizzata con più di mille militanti che si resero responsabili di plateali atti terroristici come l'assassinio di lord Mayne e l'imboscata mortale al mediatore dell'ONU, il cugino del re di Svezia, Folke Bernadotte. Ma già dal 1944 anche l'Irgun aveva ripreso la lotta armata contro arabi ed inglesi. Nel 1945 le tre organizzazioni paramilitari, Haganah, Irgun e Stern-Lehi, si unirono nel Fronte di Liberazione Nazionale. L'Irgun era diretta da Menachem Begin mentre Yithzak Shamir era a capo della Lehi-Stern.



Appunti sul sionismo 4)

Quando Simon Wiesenthal sentì pronunziare per la prima volta il nome di Adolf Eichmann, era seriamente preoccupato che si trattasse di un ebreo nativo della Palestina. Ciò perché il suo informatore, certo capitano Choter-Ischai della Brigata ebraica, dopo avergli nominato Eichmann aveva aggiunto: "Sarà meglio che controlli quel nome, purtroppo viene dal nostro paese. E' nato in Palestina" (S.Wiesenthal, Gli assassini sono tra noi Milano - 1967, pag. 100). In realtà Eichmann era indubitabilmente "ariano" essendo nato a Solingen, la città del migliore acciaio tedesco. L'equivoco nasceva dal fatto che lo stesso Eichmann, specie nei suoi rapporti con esponenti ebraici, ci teneva a dichiararsi di origine ebraica coadiuvato in ciò dal fatto di aver studiato yddish e l'ebraico, idiomi che parlava correttamente. Del resto il suo ufficio non mancava certo di collaborazionisti ebrei. Rimane comunque il fatto che Eichmann, durante il suo processo a Gerusalemme, ebbe a dichiarare più volte il suo favore verso il sionismo, se non altro per certe sue convergenze del tutto funzionali alle prospettive, in tema di razza, del nazionalsocialismo. Di questo ci da conferma sempre il Wiesenthal quando scrive che per qualche tempo in famiglia credettero che Adolf fosse un "sionista", perché parlava spesso della possibilità di una immigrazione ebraica su larga scala dalla Germania alla Palestina (id. pp. 114-115). Questa sua posizione, mai smentita per altro nei particolari, viene riaffermata nelle memorie scritte da Eichmann in detenzione a Gerusalemme e quindi pubblicate in Italia, in due puntate, dal settimanale "Epoca". Ivi si narra dei suoi rapporti con il dottor Rudolph Kastner "autorevole rappresentante del movimento sionista". La narrazione di Eichmann così prosegue: "Questo dottor Kastner era un giovane uomo della mia età, gelido avvocato e fanatico sionista. Assicurò che avrebbe convinto gli ebrei a non opporsi alla deportazione e persino mantenere il buon ordine nei campi di raccolta, purché io chiudessi un occhio e lasciassi emigrare clandestinamente in Palestina qualche migliaio di giovani ebrei. Quindici o ventimila ebrei - a conti fatti non potevano essere di più - non erano un prezzo troppo alto per me, visto che in cambio avevo assicurato un buon ordine nei campi. (...) Io credo che Kastner avrebbe sacrificato mille, centomila individui del suo sangue pur di realizzare la sua meta politica. Non gli importava degli ebrei anziani o di quelli che si erano assimilati. Ma con incredibile ostinazione cercava di salvare il sangue ebraico biologicamente valido, cioè il materiale umano capace di riproduzione e di duro lavoro. "Si tenga pure gli altri" mi diceva,"ma lasci questo gruppo". E poiché Kastner ci rendeva un gran servigio aiutandoci a tener quieti i campi di deportazione, io lasciavo che i gruppi da lui prescelti scampassero. Dopo tutto cosa m'importava di questi gruppetti di qualche migliaio di ebrei. (...) Gli uomini di Becher sorvegliavano un gruppo particolare di 700 ebrei che Kastner aveva scelto da un elenco. Erano quasi tutti giovani pur essendoci fra gli altri tutta la famiglia Kastner. A me non importava che Kastner si portasse via i suoi parenti: poteva tirarseli dietro dove voleva. Quasi tutta l'emigrazione clandestina era organizzata in questo modo: un gruppo speciale di ebrei veniva preso in consegna e portato in un luogo indicato da Kastner e dai suoi uomini; li venivano custoditi dalle SS, perché nessuno facesse loro del male. Quindi le associazioni politiche ebraiche organizzavano il trasporto fuori dal paese [ nel caso in questione, si tratta dell'Ungheria n.d.r.]. Io ordinavo alla polizia di frontiera che lasciasse passare questi convogli. In genere viaggiavano nottetempo. Era il gentleman's agreement fra me e Kastner. (A.Eichmann, Memoriale - 2° parte in "Epoca" n. 543 del 26 febbraio 1961, pag.35).

L'accordo più importante nato dai rapporti intercorsi fra Eichmann e Kastner riguardava l'ipotesi di uno scambio tra un grande numero di ebrei, ungheresi e non, e un certo numero di autocarri; si trattava in sostanza di scambiare cento ebrei per un camion. A questo proposito Kastner si era dichiarato certo di poter ottenere tramite l'Angenzia Ebraica fino a 10 mila autocarri in cambio di un milione di ebrei da trasferire in Palestina. Eichmann prese in parola Kastner e si recò due volte a Berlino per ottenere da Himmler l'autorizzazione a perfezionare l' accordo. Scrive Eichmann in proposito: Non ricordo se Himmler abbia definito personalmente i termini dello scambio o se abbia lasciato a me la questione. Ma ripensandoci, mi pare che Himmler abbia autorizzato l'offerta "per un numero ragguardevole" e che io abbia fissato il numero in diecimila contro un milione. Questo perché io ero un idealista e volevo fare il meglio possibile per il mio Reich. Sicché ogni singolo ebreo venne valutato dall'affarista Eichmann circa la centesima parte del costo di un camion ovvero neanche il costo di un biglietto per un viaggio internazionale in tempo di pace, come dire quasi un semplice rimborso spese per vitto, trasporto e logistica varia. Tutto ciò fa presumere che sia Himmler che Eichmann più ancora che ai camions mirassero, con questa operazione, a portare il caos nelle retrovie nemiche ed in particolare in Palestina. La questione in ogni caso prese corpo nel maggio 1944 con l'attivarsi, ai fini dei necessari contatti preliminari, dell'esponente sionista ungherese, Joel Brand, a cui fu concessa l'autorizzazione e tutti i documenti necessari per recarsi in Palestina via Vienna-Istambul. Narra Eichmann con una certa costernazione che una volta giunto in Siria, il Brand venne arrestato dagli inglesi, interrogato e quindi incarcerato al Cairo e comunque, afferma sempre Eichmann i dirigenti ebraici non vollero accettare la nostra proposta. Storicamente ciò non corrisponde al vero. Infatti, secondo Raul Hilberg, giunto a Istambul, Brand si mise subito in contatto con il locale rappresentante dell'Agenzia Ebraica, Moshe Shertok, il quale anziché recarsi in Palestina si diresse a Londra accompagnato da Weizmann ove presentò le proposte al ministero degli esteri britannico insieme alla richiesta di bombardamento [ su Auschwitz ]. Aveva compiuto il suo dovere, ma gli inglesi respinsero le richieste. Non si fece neppure un tentativo simulato di trattare con i nazisti e gli ebrei non furono salvati (R.Hilberg Carnefici, vittime e spettatori Milano -1994, pp.238-39). La conclusione di tutta la vicenda viene così commentata da Eichmann: Io aspettavo che Brand tornasse per dirmi: "la questione è risolta. Cinque, diecimila autocarri sono già in marcia. Mi dia mezzo milione, un milione di ebrei. Lei mi ha promesso che se fossi tornato con una risposta positiva, avrebbe inviato centomila ebrei, come deposito in un Paese neutrale". In questo caso avremmo senz'altro spedito gli ebrei. Se la trattativa fosse andata in porto, io penso che sarei riuscito a organizzare il primo imbarco di ventimila ebrei verso la Palestina, via Romania, o anche verso la Spagna, via Francia. Ogni eventuale ritardo sarebbe stato imputabile a loro, non a noi. Ma la verità è che non c'era luogo sulla terra disposto ad accogliere gli ebrei, nemmeno questo milione. (Eichmann si confessa: cento ebrei per un camion in "Epoca" n. 543 del 26 febbraio 1961, pag. 36). Si capisce a questo punto perché il governo israeliano abbia lasciato tranquillamente circolare in Europa e nel mondo il memoriale a firma di Eichmann. Perché contiene specifiche accuse a tutto il mondo, nuove accuse che si vanno a sommare a quelle più specifiche rivolte solitamente alla Germania. In ogni caso con la sortita dei camions in cambio di ebrei, i sionisti si erano assicurati comunque una carta importante da giocare ai loro fini; se "l'affare" fosse andato in porto gli ebrei avrebbero sommerso subito con il loro numero la Palestina e, in caso contrario, il mancato accordo per decisione degli alleati avrebbe determinato una consistente ipoteca ricattatoria su tutte le future decisioni relative all'assetto finale della Palestina. Se Eichmann venne impiccato subito dopo il processo, Kastner lo aveva preceduto con una fine non meno cruenta. Nel nuovo stato israeliano, Kastner ricoprì subito alte cariche presso il ministero del commercio e industria fino a quando un reduce dai campi, Malkiel Grinwald, lo accusò pubblicamente di malversazioni e atti di favoritismo e di collaborazione con il nemico. Kastner intentò allora una causa di diffamazione contro il suo accusatore ma il giudice, pur condannando Grinwald ad una pena simbolica, stabilì nel suo verdetto che Kastner aveva "venduto" l'anima a Satana. Il 3 settembre 1957, Kastner fu ucciso davanti alla sua abitazione dal fuoco di tre ex membri del Lehi-Stern. Nel gennaio 1958 la suprema corte modificò il verdetto, aggravando la pena per Grinwald e dichiarando senza fondamento l'accusa fatta a Kastner di collaborazione con i nazisti. Questa sentenza conferma agli effetti legali che Kastner, nei suoi rapporti con Eichmann, non rappresentava semplicemente se stesso ma egli era regolarmente delegato ad agire, come agì, dai massimi vertici dell'organizzazione sionista.



Appunti sul sionismo 5)

La vulgata massmediatica che va per la maggiore, non perde occasione di ripeterci continuamente la favola di un pacifico e indifeso stato d'Israele, nato per volontà dell'ONU e subito assalito da ogni parte con le armi dai potenti eserciti dell'area circostante. L'entità sionista si autoproclamò - e poi vedremo come - Stato d'Israele il 14 maggio 1948 ed era quindi di circa 40 giorni antecedente la sua autocostituzione l'eccidio indiscriminato di tutta la popolazione del villaggio arabo di Deir Yassin: 254 vittime tra uomini, donne, anziani e bambini. Se questo non è stato un crimine di guerra, in assenza di regolare belligeranza, dobbiamo considerarlo, specie dopo i deliberati giuridici che erano appena stati solennemente sanciti a Norimberga, un vero e proprio crimine contro l'umanità. Per lo storico ebreo Barnet Litvinoff si tratterebbe solo di "una nota oscura e stonata" dovuta al fatto che Begin - futuro Presidente israeliano nonché premio Nobel per la pace - aveva semplicemente deciso.. di prendere (sic!) il villaggio di Deir Yassin per rendere più agevole la via d'accesso alla costa dalla Citta Santa. Magari qualcuno potrebbe anche chiedersi, seppure del tutto accademicamente, l'eventuale ragione di questa azione tipicamente bellica svolta in un momento in cui i paesi vicini ancora non erano intervenuti contro i pacifici sionisti e una risposta in merito sarebbe interessante. Da parte sua, Litvinoff narra che dopo aver stroncato "una resistenza inaspettata" i sionisti, al comando di Begin, facendo uso di altoparlanti intimarono la resa agli abitanti di Deir Yassin. Osserviamo che, sempre in mancanza di stato di guerra, non vi è alcuna giustificazione a che elementi sionisti armati pretendano la resa di una intera comunità a loro estranea, tale azione non può essere considerata che sotto il profilo del banditismo organizzato. Non ci fu risposta, aggiunge Litvinoff argomentando che forse gli arabi che non appartenevano a formazioni combattenti (!?) si trovavano al lavoro nei campi e non potevano udire l'intimazione o forse ebbero paura. Comunque sia l'Irgun [ che ufficialmente non esisteva più, essendosi federata nel comune Fronte di Liberazione Nazionale n.d.r.] si diede al massacro di quasi 250 tra uomini, donne e portò alcuni dei cadaveri a Gerusalemme per vantare la propria forza. (...) Conseguenza dei fatti di Deir Yassin fu l'affannosa fuga della popolazione araba da ogni parte dei territori contesi. La storiografia sionista ne ha descritto la partenza come un gesto volontario dettato dalla convinzione d'un prossimo ritorno quando facendogliela pagare a caro prezzo, gli ebrei sarebbero stati incalzati fin sulla costa e forse rigettati a mare. La realtà era che paventavano il ripetersi di episodi come quelli di Deir Yassin. Le parole erano altrettanto efficaci delle armi: folti gruppi di arabi abbandonarono Jaffa, Safed e Tiberiade e molti fuggirono dalla città mista di Haifa; riparavano in Libano, in Trasgiordania e a sud di Gaza. La guerra con le nazioni arabe non era ancora stata ufficialmente dichiarata, ma già era tragicamente chiaro che Israele avrebbe risolto il problema dei rifugiati ebrei creando il problema dei rifugiati arabi (B.Litvinoff, Il roveto ardente Cles (TN) 1989, pag.442).



Appunti sul sionismo 6)

Il 22 luglio 1946, alcuni terroristi sionisti aderenti all'Irgun facevano saltare in aria l'intera ala dell'Hotel King David, ove era installato il Quartier Generale dell'amministrazione mandataria inglese sulla Palestina. Complessivamente le vittime - arabi, inglesi ed ebrei - furono 49 e fu proprio a causa di questo feroce attentato che il laburista Ernest Bevin - primo ministro inglese - decideva d'imporre la legge marziale in tutta la regione palestinese. L' iniziativa inglese, per quanto giustificata dal gravissimo fatto, incontrò una malcelata disapprovazione internazionale che, per contro, era d'incentivo al moto di solidarietà nei confronti degli ebrei specie per le loro note e ben pubblicizzate vicissitudini belliche. Qualche tempo prima - sulla fine del '45 - il capo dell'U.N.R.R.A. in Germania, il generale Morgan, aveva previsto e annunciato l'esistenza di un complotto ebraico in Europa finalizzato agli scopi del sionismo internazionale e, giustappunto per questa sua esplicita affermazione, si era giocato immediatamente la carica alla quale venne reintegrato solo dopo aver sconfessato però le sue sfortunate dichiarazioni (v. Altre notizie della rubrica La parata atomica in Milano Sera del 30 gennaio 1946). A sconfessare la sconfessione del generale Morgan provvide comunque il terrorismo sionista che il 12 novembre 1946 colpiva anche l'Italia facendo saltare l'ambasciata inglese posta in Via XX settembre a Roma. Questa azione venne subito rivendicata dall'Irgun con vari manifestini affissi in Via del Tritone. Secondo la cronaca dei giornali dell'epoca i manifestini riproducono il messaggio della organizzazione ebraica indirizzata all'on. De Gasperi nel quale viene rivendicata la responsabilità dell'attentato e sul quale la polizia avanzò dubbi di autenticità (v. Manifestini dell'Irgun in Corriere dell'Emilia n. 311 del 14 novembre 1946; stessa pagina v. L'attentato di Roma ha iniziato il terrorismo ebraico in Europa id.). Altri successivi articoli apparsi sulla stampa italiana illustravano nel tempo lo sviluppo delle indagini; citiamo solo alcuni di essi per chi volesse maggiori dettagli: - A Roma un Governo provvisorio della Palestina? - 10 ebrei fermati per l'attentato all'ambasciata inglese - in Corriere Lombardo del 3 dicembre 1946; - Scoperti gli attentatori dell'Ambasciata inglese? in Corriere Lombardo n. 225 del 12 dicembre 1946 -Arrestati cinque terroristi che fecero saltare l'Ambasciata in Corriere Lombardo del 24 dicembre 1946. Tornando ai problemi della Palestina, non ci si può meravigliare più di tanto se in quel contesto lo stesso Bevin cedendo alle pressioni interne e internazionali si dichiarò sconfitto ( B. Litvinoff cit. in Appunti n. 5, vedi pag. 442). Di conseguenza, il governo Bevin rinunciò ufficialmente al mandato inglese sulla Palestina a far luogo dal 15 maggio 1948 e pertanto l'intero problema palestinese si spostava sulle spalle delle neocostituite Nazioni Unite. A tale scopo venne costituita una speciale commissione ONU per la Palestina la stessa che, il 29 novembre 1947, spinse la maggioranza a votare una risoluzione firmata da Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Olanda, Paraguay, Perù e Svezia, ove si auspicava la suddivisione della Palestina in due singoli stati indipendenti, con la provincia autonoma di Gerusalemme posta sotto controllo internazionale. Iran, India e Iugoslavia da parte loro avevano avanzato un'altra risoluzione, risultata in minoranza, che caldeggiava l'ipotesi di uno stato federale arabo-ebraico in cui l'immigrazione sionista sarebbe dovuta cessare nel momento in cui si fosse raggiunta la parità numerica fra le due etnie.



Appunti sul sionismo 7)

Il 14 maggio 1948 all'interno del palazzo dell'ONU la seduta proseguiva, come spesso accade, fiaccamente. In palese contrasto con la relazione di maggioranza già passata il 29 novembre 1947, quella cioè che auspicava la spartizione della Palestina in due singole entità statali, la diplomazia americana si era fatta ora portavoce del progetto di prolungare il mandato ONU tramite una amministrazione fiduciaria internazionale e ciò in apparente accordo con la posizione della Lega Araba, notoriamente contraria allo smembramento in due tronconi della Palestina. Improvvisamente, come documenta nelle sue memorie Abba Eban, l'ambasciatore americano all'ONU, Warren Austin ricevette istruzioni di non parlare più di amministrazione fiduciaria e di leggere, invece, una breve dichiarazione a nome del presidente Truman: "Questo governo è stato informato che uno Stato ebraico è stato proclamato in Palestina e il riconoscimento è stato richiesto dallo stesso Governo provvisorio. Gli Stati Uniti riconoscono tale Governo provvisorio come l'autorità de facto del nuovo Stato d'Israele" ( A.Eban, Storia dello Stato d'Israele Verona - 1974, pag. 16). A New York erano le diciotto e quindici, mezzanotte circa in M.O., era l'attimo in cui lo Stato della Palestina, internazionalmente riconosciuto - batteva infatti moneta propria, così come emetteva valori fiscali e francobolli - veniva cannibalizzato dall'interno e dall'esterno. Un caso del tutto unico nell'intera storia dell'umanità civilizzata. Sempre a dar retta a quanto scrive Abba Eban, tutto questo sarebbe successo in modo del tutto casuale e per l'umore, più o meno instabile, dei governanti americani. Puntualizza, infatti, Eban: "il 14 maggio l'opinione del segretario di Stato Marshall e del suo sottosegretario Lovett s'indirizzò lentamente verso l'idea del riconoscimento (sic.!!). In una chiamata telefonica dalla Casa Bianca, Clark Clifford, consigliere del presidente, disse a Eliahu Elath, rappresentante a Washington dell'Agenzia Ebraica che, se fosse [vedi mai... ] giunta notizia della fondazione dello Stato ebraico, gli Stati Uniti l'avrebbero riconosciuto. Una lettera che annunciava nella debita forma la creazione di uno "Stato ebraico", venne rapidamente redatta e mandata alla Casa Bianca con un'auto pubblica. Nel tempo che impiegò per giungere a destinazione, si era saputo che il nuovo Stato si sarebbe chiamato "Israele", e fu con questo nome che l'atto di riconoscimento venne dichiarato" (ibid.). Leggermente meno fantastica ci appare la versione del Litvinoff secondo la quale, Truman, ricevendo Chaim Weizmann - in data che non viene opportunamente specificata - gli promise che in qualità di capo dell'esecutivo avrebbe onorato la parola degli Stati Uniti (?!), indipendentemente da quanto poteva dichiarare il rappresentante americano alle Nazioni Unite. Se gli ebrei si fossero proclamati indipendenti, egli stesso si sarebbe fatto garante del riconoscimento statunitense (B. Litvinoff cit. pag. 440). Il riconoscimento americano fu subito seguito, a dimostrazione di una trama internazionale perfettamente definita nei suoi minimi particolari, da quello sovietico e guatemalteco. La surreale situazione che si era creata in quel momento all'ONU viene riassunta in modo abbastanza trasparente nelle sue più buie implicazioni dallo stesso Abba Eban con questi concetti: "Mentre l'Assemblea generale si rifiutava così di stabilire un nuovo regime per la Palestina nel suo insieme, quanto nella sola Gerusalemme, la sua indecisione fu riscattata da un'azione fuori dalle sue pareti. Infatti, quando il rappresentante americano, che aveva insistito per un'amministrazione fiduciaria, sbalordì l'uditorio - e se stesso - annunciando il riconoscimento d'Israele da parte degli Stati Uniti, la confusione degli arabi fu immensa. Adesso, la minaccia di "massacro mongolo" era sfidata non solo dal piccolo Israele, ma dalla più grande delle potenze. Entro breve tempo, anche l'Unione Sovietica, e poi il Guatemala, dovevano annunciare il loro riconoscimento. " Siamo stati ingannati!" ruggì Charles Malik del Libano, in un attacco di furore contro i delegati americani. Erano adesso le diciotto e quindici e il Mandato era spirato. Il nuovo Stato d' Israele era sorto e aveva ottenuto il riconoscimento americano e sovietico, mentre le Nazioni Unite non erano riuscite a frapporre alcun ostacolo alla legalità della sua proclamazione. L'attacco degli eserciti arabi sarebbe stato adesso rivolto contro uno Stato riconosciuto e l'aggressione sarebbe stata condannata in base al principio fondamentale della carta dell'ONU" (A.Eban cit. pag. 21). i



Appunti sul sionismo 8)

Il nome di "Israele" venne coniato in origine per Giacobbe, uno dei vari figli di Isacco, in circostanze a dir poco strambe. Il primogenito era in realtà Ismaele, cioè il biblico capostipite dell'attuale popolo arabo. Infatti, allorché Giacobbe riuscì con il trucco della pelle di capretto a carpire la benedizione di Isacco, che spettava al primogenito, cioè ad Esaù, correva l'anno 1755 a.C. e, a quell'epoca, Ismaele era già deceduto alla veneranda età di 137 anni, nel 1769 a.C., cioè circa 6 anni prima. Non era la prima volta che quella buona lana di Giacobbe aveva fatto fesso il povero Esaù: c'era infatti il precedente del piatto di lenticchie pagato con una formale primogenitura. D'altra parte, omen nomen, Giacobbe in ebraico antico significava, guarda caso, "colui che soppianta". Quando Esaù si rese conto dell'ennesimo "pacco" che gli aveva destinato il fratello chiese al padre Isacco: "Hai tu una sola benedizione, padre mio? Benedici anche me padre mio". E dette in alte grida e pianse. Allora Isacco, suo padre, rispose dicendo: "priva di fertilità sarà la tua dimora e senza la rugiada dal cielo. Vivrai della tua spada e servirai tuo fratello; ma quando ti rivolterai, ne scuoterai il giogo dal tuo collo." (Sacra Bibbia Genesi Ed. Paoline 1968, pag. 58). Esaù decise allora di "rivoltarsi" contro Giacobbe non appena il padre Isacco fosse morto. Per quanto non godesse una buona salute avendo all'epoca 113 anni, Isacco riuscì comunque a campare fino a 180 anni, essendo deceduto nel 1712 a.C. cioè ben 67 anni dopo i fatti qui narrati. Anziché aspettare la morte del padre per vedere come si sarebbero messe le cose, vuoi per prudenza o per sollecitazioni materne, fatto sta che Giacobbe decise di filarsela immediatamente presso uno zio materno, certo Labano che abitava nella città di Paddàn-Haran. Nel corso del viaggio verso Haran, giunto ormai nella città di Luz, Giacobbe decise di fare una sosta per dormire. Durante il sonno ebbe il fatidico sogno (o visione ) di Dio il quale gli comunicò, nella circostanza, che "darò a te e alla tua progenie la terra dove tu riposi; e la tua progenie sarà come la polvere della terra; ti estenderai ad occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno, e in te e nella tua progenie saranno benedette tutte le nazioni della terra. Ed ecco, io sono con te; ti custodirò dovunque andrai, e ti ricondurrò in questa terra, poiché non ti abbandonerò finche non avrò compiuto quanto ti ho detto" (ibid.). Giacobbe prese tanto sul serio quel sogno che, appena sveglio, decise di cambiare il nome di quella città da Luz in Bet-El. Decise inoltre di sottoscrivere un vero e proprio patto con il Dio che gli si era manifestato, in questi precisi termini: Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà del pane da mangiare e vesti per coprirmi, e se io tornerò sano e salvo alla casa paterna, allora il Signore sarà il mio Dio e questa pietra, di cui ho fatto un cippo, diventerà una casa di Dio, e di ogni cosa che mi concederai io ti darò puntualmente la decima (id. pag, 59). Giacobbe raggiunse così, evidentemente protetto dal suo Dio, il paese di Haran, dove si pose al servizio dello zio Labano di cui, in circostanze sempre strane e perigliose, sposò le figlie - sue cugine - Lia (dagli occhi ammalati) e Rebecca (bella e formosa). Circa poi il lavoro, Giacobbe si era accordato con lo zio Labano per custodirgli il bestiame. Lo zio chiese cosa pretendesse per i suoi servizi e a questo punto Giacobbe gli fece una estrosa proposta: Oggi passerò in mezzo a tutto il tuo gregge, e metterò da parte, fra le pecore tutti gli agnelli chiazzati e brizzolati e tutti quelli neri, e fra la capre quelle brizzolate e macchiate: questo sarà il mio salario. Così la mia onestà farà testimonianza per me, un giorno, sotto i tuoi occhi, quando tu dovessi contendermi il mio salario. Ogni capo di bestiame, trovato presso di me, non macchiato né brizzolato fra le capre e non nero fra le pecore sia considerato un furto. E Labano disse:" Va bene, sia come tu hai detto". (....) Giacobbe prese dei rami verdi di pioppo, di mandorlo e di platano, e li sbucciò a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami. Poi piantò i rami così sbucciati nei truogoli e negli abbeveratoi, di fronte alle pecore che andavano a bere. Così quelle che si accoppiavano in vista delle verghe, figliavano agnelli striati, brizzolati e chiazzati. Quanto ai montoni, Giacobbe li mise da parte e li faceva voltare verso tutto ciò che vi era di striato o nero nel gregge di Labano. Si formò così dei greggi per conto proprio e non li mise più insieme a quelli di Labano. Giacobbe metteva i rami negli abbeveratoi dinnanzi agli occhi delle pecore, ogni volta che quelle robuste si accoppiavano, affinché si accoppiassero alla vista di quei rami; ma quando le pecore erano deboli, allora non li metteva. Così quelle deboli erano per Labano e quelle forti per Giacobbe. In tal modo quest'uomo si arricchì sempre più ed ebbe numerosi greggi, serve e servi, cammelli e asini ( id. pag. 61 ). Alla lunga, tuttavia, Labano cominciò a maturare dei sospetti e stava giusto meditando d'impartirgli una severa lezione quando Dio tornò in sogno a Giacobbe al quale si presentò come: "Io sono Iddio di Bet-El, dove tu ungesti ecc....ora è meglio che parti da questo paese e torni alla tua terra natia". Senza fare una grinza, Giacobbe caricò i suoi beni, mogli, animali e masserizie e quindi lesto lesto si allontanò da Haran. Passarono ben tre giorni prima che Labano venisse a sapere della improvvisa fuga di Giacobbe e subito decise d'inseguirlo per impartirgli la prevista lezione. A questo scopo radunò tutti i suoi servi e congiunti e per sette giorni inseguì, per quanto inutilmente, la carovana di Giacobbe. Stava giusto per raggiungerla quando Dio si frammise, apparendogli in sogno con espressioni semi-minacciose: "Guardati dal parlare a Giacobbe né in male né in bene". Poche, ma decise parole che Labano, per quanto avesse dalla sua parte un non meglio identificato Dio di Nahor, non si sentì di sfidare. Raggiunto, comunque, Giacobbe gli chiese ragione della sua fuga, ricevendo come risposta una "supercazzola" del tipo: "Io ebbi timore al pensiero che tu mi avresti ripreso le tue figliuole. Ma colui presso il quale tu troverai i tuoi dei, egli non vivrà!" Reso ormai frastornato e psicolabile dagli avvertimenti piovuti dal cielo e dalla terra - e anche per non passare troppo da coglione - Labano si prestò a sottoscrivere un patto di pace con Giacobbe che venne regolarmente siglato con un: Iddio di Abramo e il Dio di Nahor siano testimoni fra noi. Giacobbe decise, in ogni caso, di proseguire il suo cammino verso la Palestina dove peraltro aveva un conto in sospeso con Esaù che, anticipando la cronaca, riuscì a superare come sempre indenne. Ma è appunto con il suo ritorno in Palestina che Giacobbe (colui che soppianta), diventerà Israele (colui che lotta contro Dio) Dopo averli presi e fatti attraversare l'acqua [ trattasi del torrente Jabboc ], fece fare passare quanto aveva con se. Giacobbe rimase solo: or, un uomo lottò con lui fino allo spuntar dell'alba [ scambiato forse per un sicario di Esaù?]. E vedendo che non poteva vincere Giacobbe, lo colpì nella giuntura dell'anca di Giacobbe, sicché la giuntura dell'anca di Giacobbe si slogò nel lottare con lui. Allora quell'angelo gli disse:" Lasciami andare che spunta l'aurora". Ma Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, finche tu non mi avrai benedetto". L'altro gli domando:"come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe". Ed egli: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché sei stato forte contro Dio e con gli uomini ed hai vinto". Giacobbe, gli chiese: "Dimmi ti prego, il tuo nome".. Ma quello rispose: "Perché vuoi sapere il mio nome?". E li stesso lo benedisse. Giacobbe pose nome a quel luogo Fanuel, "perché disse, ho visto Dio faccia a faccia ed ho avuto salva la vita" (id. pag. 64 ).



Appunti sul sionismo 9)

Qualche giorno prima che scoppiasse ufficialmente il I° conflitto arabo-palestinese, nel maggio 1948, una coppia agghindata come i tradizionali beduini si sarebbe recata segretamente in visita all'emiro di Transgiordania, re Abdullah. Narra Abba Eban che la coppia di apparenti mussulmani era in realtà formata da Golda Meyerson, più conosciuta come Golda Meir, e l'esponente sionista Ezra Danin. Costoro, sempre secondo le "memorie" di Eban ( cit. pag. 12 ), avevano il compito di convincere Abdullah a tessere un accordo di pace fra arabi ed ebrei all'indomani dell'autoproclamazione d'Israele. Inutile aggiungere che questa missione di pace fallì perchè era chiaro che [Abdullah] intendeva annettersi tutto il paese, facendo della popolazione ebraica, nel migliore dei casi, un gruppo minoritario dipendente dalla sua tolleranza (id.). Ma chi era in realtà questo Abdullah che Eban considerava in ogni caso il più umano dei capi arabi? Innanzi tutto era sospettato di essere complice nell'assassinio del fratello Feisal, il "profeta armato" di Lawrence, grande fautore dell'indipendenza e dell'unità dei popoli arabi. Ma Abdullah, aveva anche tradito il proprio padre, re Hussein, già Sceriffo della Mecca, arrestato e deportato a Cipro dagli inglesi. Legato a doppio filo alla politica britannica in M.O., Abdullah accettò ben volentieri di servire l'Inghilterra in qualità di emiro di Transgiordania. Infine, per completare il quadro: re Abdullah di Giordania, nonostante la convinzione tuttora assai diffusa che i paesi arabi fossero tra loro uniti per annientare sul nascere Israele, in realtà non si era opposto irrevocabilmente allo stato ebraico. Negoziati segreti, ai quali avevano partecipato Shiloah, Moshe Dayan e altri esponenti della cerchia ristretta di Ben Gurion, avevano infatti portato ad un accordo agevolato da promesse economiche, in base al quale Abdullah avrebbe agito d'intesa con Israele al fine di assicurare che lo stato palestinese indipendente, prefigurato dalle Nazioni Unite, non vedesse mai la luce (A. e L. Cockburn Amicizie pericolose Roma 1999, pag.61). Ciò vuol dire, in poche parole, che Abdullah si era accordato con i sionisti per la spartizione della Palestina; a lui sarebbe infatti toccata l'annessione della vasta enclave a ovest del Giordano, nonché tutta la parte araba di Gerusalemme. L'empio tradimento venne sigillato spudoratamente con il cambio stesso della denominazione nazionale: da Transgiordania a Giordania tout court, il che stava a sottolineare l'acquisita sovranità su ambedue le sponde del fiume Giordano. Questo, fra l'altro, non sarebbe stato che il suo primo passo in un disegno globale mirante a riunire i vari popoli arabi sotto un unico regno hascemita e tutto ciò con la protezione dell'Inghilterra e la complicità del sionismo internazionale da cui Abdullah era direttamente sovvenzionato (cfr. B.Litvinoff cit.pag.444; id. v.nota n.14, pag. 469). Se la storia dei tradimenti fosse finita qui, tutto sommato andrebbe anche bene, ma vi è purtroppo dell'altro ancora. L'Egitto di Faruk, per esempio, fingendo d'intervenire a fianco del popolo arabo depredato della sua terra più cara, si ritagliò invece la sua fetta di bottino annettendosi la striscia di Gaza. Scrive Pisanò in un servizio dall'Egitto degli anni '50, appena conquistato dal generale Neguib: Si era arrivati al punto - mi è stato detto - che al tempo della guerra di Palestina il re stesso [Faruk] commerciava armi con gli ebrei, con coloro cioè contro i quali mandava poi i suoi soldati a farsi ammazzare (G.Pisanò La guerra del Canale sembra inevitabile in "Settimo Giorno" n. 24 del 13 giugno 1953. pag. 5). Un caso questo non certo isolato visto che nello stesso modo anche gli esponenti del governo siriano si erano appropriati del denaro votato dal parlamento per l'acquisto di armi (cinquantamila sterline), rivendendo agli ebrei l'armamento acquistato (M.Peloncini Incerta tra dollari e sterline la Siria dei colpi di stato in "Settimo Giorno" n. 51 del 20 dicembre 1951. pag. 15). In Libano, invece, presso piste isolate funzionava da tempo un ponte aereo con aerei da trasporto pieni di armi provenienti da Praga, armi ovviamente destinate ai sionisti insieme ad aerei da combattimento, Messerchmitt e Spitfire, residuati della II° guerra mondiale i quali andranno a costituire il primo nucleo dell'aviazione militare sionista. Le forze meglio organizzate tra i paesi arabi belligeranti (si fa per dire), era costituita dalla Legione Araba di Abdullah, il quale pretese anche il comando in capo di tutte le operazioni. La Legione Araba, forte di 15 mila uomini discretamente addestrati ed armati, comandati da ufficiali inglesi, era al comando del britannico Glubb Jhon Bagot, più comunemente conosciuto come Glubb Pascià. Dopo aver conquistato, si fa ancora per dire, la città vecchia di Gerusalemme, la Legione Araba avrebbe dovuto naturalmente proseguire in direzione del mare per tagliare così in due sacche separate le forze sioniste. Capita invece, e non a caso, che la Legione Araba si fermi senza più combattere. Vengono fatti solo prigionieri, in particolare molti civili fra la popolazione ebraica di Gerusalemme con il solo scopo di condurli al sicuro nelle retrovie transgiordane. E, sempre non a caso, l'unica forza militarmente organizzata che da parte araba diede veramente filo da torcere ai sionisti, fu l'Armata araba di liberazione comandata da Adib detto "il Ribelle", il quale riuscì a difendere ad oltranza il suo settore di Tulkarm che in tal modo si salvò dalla prima guerra di conquista sionista. Dobbiamo pertanto concludere che non corrisponde affatto al vero l'oleografia di comodo che dipinge uno stato ebraico che alla sua (auto)proclamazione in accordo con l'ONU, viene aggredito dalle forze preponderanti degli stati limitrofi, poi sonoramente battuti in battaglia. In effetti ci troviamo di fronte a una vera e propria congiura internazionale alla quale attivamente parteciparono tutte le maggiori potenze mondiali dell'epoca: USA, URSS, Inghilterra, con tutti i loro stati satelliti e dipendenti, a cominciare proprio dai governanti arabi completamente asserviti al colonialismo angloamericano.



Appunti sul sionismo 10)

E' un fatto ricorrente che, quando la storiografia più conformista si trova a dover trattare argomenti relativi alla nascita dello stato sionista, tenda quasi sempre a privilegiare la favola del piccolo stato aggredito alla sua nascita dai numerosi e potenti vicini: Egitto, Transgiordania, Siria, Iraq e Libano. Ciò che però viene regolarmente taciuto è il rapporto delle forze scese realmente in campo. Secondo il libro di memorie A Soldier with the Arabs scritto da J. Glubb, comandante inglese della Legione Araba di Giordania - ma estromesso poi dal comando - il totale delle forze arabe che scesero in campo il 15 maggio 1948, sarebbe da lui stimato come segue: Egitto 10.000 uomini, Legione Araba 4.500, Siria 3.000, Iraq 3.000, Libano 1.000 per un totale complessivo di 21.500 combattenti arabi, del tutto disarticolati in mancanza di un qualsiasi piano d'azione comune. I sionisti potevano contare invece su almeno 50.000 elementi locali perfettamente armati e organizzati oltre ad un consistente numero di volontari provenienti dall'estero e raggruppati nel Machal, organizzazione che disponeva perfino di una sua piccola flotta (Cfr. A. Eban cit. pag. 57). Sempre secondo Glubb, le forze armate sioniste assommavano a non meno di 65.000 uomini, ovvero in rapporto di 3 a 1 a favore d'Israele. Inoltre, come abbiamo documentato in precedenza (App. 9), gli arabi venivano mandati deliberatamente allo sbaraglio dai loro governanti corrotti e, di fatto, sodali con gli anglo-sionisti; al contrario gli ebrei potevano contare sulla complicità di un fronte di potenze planetarie che andava dagli USA all'URSS con l'intermezzo degli altri paesi servi e satelliti dei primi. In queste condizioni risultò estremamente facile al terrore sionista di occupare centinaia di paesi e cittadine arabe, che non risultavano assegnate agli israeliani dal Piano di spartizione ONU del 1947, tra cui Jaffa, Nazaret, Acre, Lydda Ramleh ecc. Così, mentre i caccia Messerschmidt della ex Lutfwaffen, spuntati curiosamente fra le mani dei sionisti, si spingevano a bombardare in Siria e Transgiordania, il Segretario generale dell'ONU - il norvegese Trygve Lie - incaricava il nipote del re di Svezia e Alto incaricato della Croce Rossa internazionale, conte Folke Bernadotte, di esperire opera di mediazione in Palestina per conto dell'ONU, allo scopo di pervenire ad una tregua e quindi, possibilmente, ad una soddisfacente pacificazione delle parti. I sionisti non gradirono affatto questa interferenza dell'ONU che minacciava, fra l'altro, d'incrinare il loro piano egemonico sulla Palestina. Quando il 24 giugno 1948 Bernadotte raggiunse Tel-Aviv, trovò questa città tappezzata di cartelli e bandiere che recavano scritte minacciose come: Stoccolma è vostra, Gerusalemme è nostra; Tu lavori invano; Noi siamo qui; Fin tanto che vi sia un solo nemico della nostra causa, noi avremo una pallottola nel caricatore per lui (v. M. Menuhim Un tributo alla memoria del conte Folke Bernadotte Roma - 1970, pag. 16 ). Inoltre, fin dall'inizio, l'organizzazione sionista "Lehi" aveva condannato a morte l'intruso mediatore mandato dall'ONU. Perfettamente conscio dei pericoli inerenti alla sua missione, prima di partire Bernadotte provvide a stilare il testamento, fornendo disposizioni dettagliate sul suo eventuale funerale. A posteriori si venne a sapere che il suo aereo bianco con la sigla dell'ONU, era stato inseguito da due aerei pirata sul Mediterraneo e solo grazie all'abilità del pilota, il capitano olandese Viruly, riuscì a sfuggire a questo primo attentato alla sua vita. Uno dei primi rapporti trasmessi da Bernadotte alle Nazioni Unite, riguardava il già scottante problema dei profughi arabi dalla Palestina, un fenomeno che l'inviato dell'ONU così denunciava: " (...) E' tuttavia innegabile che nessun insediamento [ israeliano ] può essere giusto e completo se non viene accordato pieno riconoscimento ai diritti dei profughi arabi di ritornare alle proprie case da cui sono stati scacciati a causa dei pericoli e della strategia del conflitto armato tra gli arabi e gli ebrei in Palestina. (....) L'esodo degli arabi palestinesi è risultato dal panico creato dai combattimenti svoltisi nelle loro comunità e da voci concernenti atti, reali o presunti di terrorismo o di espulsione. Sarebbe un'offesa ai principi basilari della giustizia se a queste vittime innocenti del conflitto venisse negato il diritto di ritornare alle proprie case mentre gli immigrati ebrei affluiscono in Palestina e, in vero, rappresentano la minaccia di un rimpiazzo permanente dei profughi arabi che si erano installati nel paese da secoli". Il 28 giugno Bernadotte consegnava alle parti in conflitto una bozza contenente le sue proposte di pace i cui punti salienti erano: a) le aree arabe della Palestina avrebbero dovuto riunirsi alla Giordania e a sua volta, la Giordania così costituita, avrebbe dovuto formare una unione con Israele: b) tale unione avrebbe dovuto occuparsi degli affari economici, della politica estera e della difesa sia di Israele che della Giordania; c) i soggetti di questa unione, Giordania ed Israele, avrebbero dovuto curare ciascuno i propri affari interni. Riguardo alle questioni territoriali, si univa alla proposta uno schema di divisione tendente a riunire in zone omogenee le parti isolate e le intersecazioni che si riscontravano nel precedente Piano di spartizione consigliato dall'ONU. In questo modo il Negev sarebbe rimasto sotto controllo arabo; in cambio agli israeliani sarebbe andata l'intera Galilea e la città di Jaffa. Sia il porto di Haifa che l'aeroporto di Lydda dovevano rimanere zone franche. Con queste bozze, il conte Bernadotte aveva praticamente sottoscritto la sua condanna a morte, visto che i sionisti non avrebbero mai accettato una simile ripartizione. Al fine di controllare l'osservanza del cessate il fuoco, Bernadotte richiese all'ONU l'invio di almeno 300 osservatori ; gli venne risposto che per aderire alla sua richiesta sarebbero occorsi almeno due mesi e, nel frattempo, la tregua veniva quotidianamente violata. Bernadotte aveva intanto fissato la sede del suo quartier generale a Rodi ove si mise a compilare possibili soluzioni di pace che sarebbero poi state votate dall'assemblea generale dell'ONU in riunione a Parigi il 21 settembre 1948. Qualche giorno prima di tale scadenza, il 17 settembre, Bernadotte tornò in Palestina per definire gli ultimi dettagli con le parti. Poco dopo il suo arrivo, all'altezza dell'università ebraica nei pressi di Gerusalemme, la Chrysler su cui viaggiava Bernadotte venne centrata da un proiettile che andò a conficcarsi nella ruota posteriore sinistra. Giunto poi nei pressi di Ramallah, il corteo di auto si trovò il percorso sbarrato da una jeep militare israeliana messa di traverso sulla strada. Le auto furono costrette a fermarsi e di quel frangente approfittarono alcuni uomini in divisa israeliana per raggiungere a colpo sicuro l'automobile che ospitava Bernadotte e, attraverso il deflettore, spararono abbondantemente contro il sedile posteriore uccidendo Bernadotte insieme al suo vicino d'auto, l'osservatore francese, colonnello André Serot. Subito dopo il fatto, il Governo provvisorio sionista, guidato da Ben Gurion, manifestò l'orrore e l'indignazione ufficiale del suo governo per l'ignobile attentato. Nella realtà invece il giorno dell'assassinio di Bernadotte non meno di trenta passaporti israeliani furono consegnati ai consolati cecoslovacchi in Israele con la "raccomandazione", da parte del governo, che ai loro possessori fossero garantiti i relativi visti. Tutti recavano quello d'uscita da Israele con la data di quel giorno e appartenevano a membri del "Lehi" che sarebbero stati coinvolti nell'organizzazione e nell'esecuzione dell'omicidio del non gradito mediatore dell'ONU. Entro la fine del mese la maggior parte dei loro intestatari era riparata a Praga compresi i tre che erano stati fermati nelle ore immediatamente successive all'assassinio ma che, misteriosamente, erano riusciti a fuggire alla custodia della polizia israeliana ( A. e L. Cockburn cit. pag. 65 ). A un mese dell'assassinio di Bernadotte e dell'osservatore francese, il Governo provvisorio sionista ancora non aveva fornito alcuna notizia circa l'inchiesta in corso. Il 19 ottobre 1948, l'ONU approvò una risoluzione che sollecitava il governo sionista a fornire una relazione ufficiale sull'incidente e notizie circa gli eventuali... provvedimenti presi in relazione alla negligenza dimostrata da una parte delle autorità ed altri fattori connessi con il crimine perpetrato. A scopo di pura rappresentazione, il governo sionista organizzò una retata di aderenti al "Lehi" i quali furono concentrati in un campo... in cui fu loro permesso di assumere il controllo e fuggire in massa a volontà (M. Menuhin cit. pag. 28). In ogni caso, nel dicembre 1948, il comandante in capo della "Lehi", Nathan Friedman-Yellin e il suo aiutante, Matityahu Shmulevitz, vennero portati davanti a un tribunale israeliano che li giudicò colpevoli di aver organizzato e diretto l'attentato a Bernadotte. I due vennero tuttavia subito amnistiati tanto che, già nel 1950, Yellin si presentò candidato alle elezioni per il Knesset (parlamento) israeliano, dove venne regolarmente eletto. Il cadavere del mediatore dell'ONU era ancora caldo, quando il governo provvisorio sionista chiese l'ammissione di Israele all'ONU. La decisione spettava al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che il 29 novembre del '48, esaminò la richiesta israeliana la quale raccolse il parere positivo di Stati Uniti, URSS, Ucraina, Argentina e Colombia, ma non era ancora sufficiente; mancavano due voti favorevoli. Scrive Eban che comunque si sperava che altri voti si sarebbero ottenuti quando il Consiglio di sicurezza si sarebbe riunito, con un'altra composizione, nel gennaio 1949. Si confidava, per esempio, che Francia e Canada sarebbero stati favorevoli (A.Eban cit. pag. 72). Infatti... il 4 marzo 1949, il Consiglio di sicurezza si pronunciò a favore dell'ammissione d'Israele alle Nazioni unite. La Francia e il Canada si unirono ai cinque che avevano votato si due mesi e mezzo prima. La Norvegia e la Cina aggiunsero il proprio voto (id. pag. 78). Prima dell'ammissione ufficiale alle Nazioni Unite venne costituito un comitato dell'ONU incaricato di valutare quale sarebbero stati gli atteggiamenti e la politica israeliana. Il governo d'Israele rifiutò di comprare l'ammissione con qualunque impegno a ritornare alle linee di demarcazione del novembre 1947, infrante dalla violenza araba ( !! ). Si soffrì a contribuire alla soluzione del problema dei profughi ( !!! ), ma non di assumersene tutto il peso ( ! ); e propose che a Gerusalemme il principio dell'internazionalità fosse applicato non all'amministrazione di tutta la città, ma soltanto ai Luoghi santi e ai diritti e privilegi religiosi. Malgrado queste riserve, Israele ottenne un vero trionfo l'11 maggio 1949 quando Israele si sedette al suo posto, come cinquantanovesimo membro delle Nazioni Unite (id. pag. 79).



Appunti sul sionismo 11)

L'anno 1948 rappresenta l'inizio ufficiale della cosiddetta "guerra fredda" con il blocco di Berlino effettuato dai sovietici (20 marzo), a cui gli Usa risposero organizzando, dal 28 giugno, il noto ponte aereo. Ed è appunto fra queste due date che viene a collocarsi il riconoscimento del governo provvisorio sionista da parte delle ormai conflittuali potenze Usa-Urss. Una convergenza che era evidentemente scaturita da valutazioni assai diverse tra loro. Per quanto concerne l'Urss, pare che Stalin si fosse inizialmente illuso di contribuire in tal guisa all'annosa soluzione del problema ebraico, per quanto avesse ancora presente il fallito esperimento d'indurre gli ebrei sovietici a colonizzare la regione russa del Biro-Bidzhan; una vasta zona semi-vergine ove era prevista la realizzazione di un oblast giudaico il quale, se vi si fosse stabilito un numero sufficiente di ebrei, sarebbe stato successivamente elevato al rango di nuova repubblica federale sovietica.Questa iniziativa fallì perché, a parte un limitato gruppo di ebrei che effettivamente si misero a dissodare le terre in concessione, la più parte finì per dissolversi nelle varie città di confine (cfr. C. Bohlen Witness to History N.Y. 1973, pag.203). L'appoggio sovietico alla creazione dello stato sionista soddisfava, contemporaneamente, finalità destabilizzanti all'interno dell'area mediorientale, largamente egemonizzata dal colonialismo franco-inglese tramite le corrotte monarchie locali. Altro discorso è il riconoscimento "a sorpresa" effettuato dagli Usa, essendo quest'atto null'altro che la contropartita pagata da Truman a saldo dell'aiuto ricevuto dalla comunità ebraico-americana nel corso della sua seconda elezione a presidente nel 1948. Non a caso la raccolta di fondi per finanziare la campagna elettorale di Truman venne coordinata e diretta dal fervente sionista Abe Feinberg, vero e proprio squalo dell'economia, il quale si era arricchito a dismisura con le commesse di guerra. Il sostegno dato a Truman da Feinberg ed altri come il gioielliere Ed Kaufman, continuò sino alle elezioni. Stephen Smith, cognato di J.F. Kennedy e veterano delle segrete stanze del Partito democratico, a questo proposito avrebbe dichiarato: "Due milioni di dollari salirono sul treno di Truman in una busta di carta. Questa fu la somma pagata per lo Stato d'Israele" (Andrew e Leslie Cockburn cit. pag.53). Al di là di questi - per quanto gravi - intrallazzi elettorali, da un punto di vista puramente geopolitico anche gli usa erano interessati ad un rimescolamento di carte in Medio Oriente al fine di sostituire il vetusto colonialismo europeo con il più aggiornato e moderno impero del dollaro. Effetto della sconfitta del popolo arabo da parte dei sionisti e loro alleati - con l'occupazione di ben 1.300 Kmq di quel territorio che sarebbe comunque spettato ai Palestinesi - fu la totale e prevedibile destabilizzazione dell'intero mondo arabo con pesanti effetti fino ai nostri giorni. Il plateale tradimento dei governanti arabi, diretta emanazione del colonialismo europeo, determinò un fermento indipendentista rivoluzionario che portò al rovesciamento dei regimi più corrotti e asserviti. Solo in Siria, dal marzo 1949 al dicembre 1950, si contarono ben 5 colpi di stato; Abdullah di Giordania venne pugnalato all'uscita dalla Moschea e, nel 1952, anche il re Faruk d'Egitto venne cacciato dal paese. Tornando ad Israele, mentre l'Urss aveva riconosciuto a tutti gli effetti lo stato sionista, gli Usa non avevano ancora adempiuto formalmente al riconoscimento dello stato ebraico e ciò a causa della forte opposizione del Dipartimento di Stato preoccupato d'inimicarsi il monarca dell'Arabia Saudita, Ibn Saud, con cui, fin dal lontano 1933, erano stati effettuati vantaggiosissimi accordi per lo sfruttamento del petrolio saudita da parte della californiana Standard Oil. In effetti il sionismo delle origini era orientato nettamente a sinistra con malcelati sentimenti filosovietici specie fra le forze armate del Palmach; più stemperato nel neutralismo era invece il Mapai. Un pragmatico realismo rafforzava queste posizioni dal momento che Israele aveva necessità sia dei capitali americani che dei vari milioni di ebrei ancora trattenuti nell'Europa sovietizzata. Gli ebrei americani avevano provveduto di tasca loro all'acquisto di armamenti cecoslovacchi ma, era anche necessario finanziare il costo del nuovo Stato e ciò non era possibile con le sole esportazioni di agrumi e diamanti tagliati di cui poteva allora disporre l'economia sionista. Per poter adeguatamente mungere la "mucca" americana era necessario trovare delle valide contropartite, ma anche questo non fu un gran problema. Dai freschi immigrati dall'Europa orientale i servizi segreti israeliani raccoglievano importanti dati e notizie dei paesi d'oltrecortina che venivano poi girati all'Army Security Agency poi diventata NSA (National Security Agency). Oltre alle notizie ricavate dagli immigrati, i sionisti potevano contare sulla discreta collaborazione degli ebrei rimasti nell'Europa dell'Est ed in particolare sui vari membri del partito di origine ebraica come nel caso della Cecoslovacchia. Gli Israeliani d'altra parte, per ingraziarsi l'Unione Sovietica, gli fornirono in diverse occasioni i più moderni armamenti ottenuti per vie clandestine dagli Stati uniti, come il modernissimo aereo americano BT-13 da esercitazione o il sistema radar di avvistamento rapido; strumenti di un settore nel quale i sovietici erano ancora assai arretrati. Un così spudorato pragmatismo era stato del resto teorizzato da un alto membro del Mapai, il quale aveva dichiarato che: L'orientamento sionista deve essere quello di gettare la sua esca sulle acque sporche dell'umanità; dove arriva, così sia. Non c'è spazio per posizioni di parte (U. Bialer Between East and West - N.Y. Cambridge University Press, 1990 - pag. 13 ). Ma con la guerra in Corea anche le posizioni di comodo israeliane non sarebbero durate a lungo. A quell'epoca, il Congresso degli Usa era fermamente intenzionato a concedere oppure a bloccare eventuali aiuti economici alle altre nazioni in base alla volontà di partecipare o meno allo sforzo bellico americano in Corea. Di conseguenza il Dipartimento di Stato americano aveva provveduto a congelare diversi prestiti a tasso agevolato già destinati ad Israele. A questo punto, Ben Gurion si dichiarò perfino disposto ad inviare un piccolo contingente israeliano in Corea a fianco degli americani, ma la sua proposta fu respinta per non alienarsi in modo definitivo l'amicizia sovietica. In ogni caso il rappresentante israeliano all'Onu non poté esimersi dall'appoggiare in quella sede l'aggressione americana alla Corea del Nord. Per ritorsione, l'Unione Sovietica tolse il suo appoggio ad Israele votando contro, insieme ai paesi arabi, ad una proposta Onu ritenuta troppo favorevole al governo sionista. In Cecoslovacchia vennero arrestati alcuni diplomatici ed esponenti politici israeliani accusati di spionaggio, le cui confessioni - estorte o meno - diedero poi origine al processo Slansky, un ebreo diventato segretario del partito comunista cecoslovacco. In Romania cadde invece in disgrazia l'ex ministro degli esteri, Anna Pauker, la quale venne espulsa dal partito e messa agli arresti domiciliari con l'accusa di aver agito a favore del cosmopolitismo sionista. In Unione Sovietica venne denunciato un complotto di medici ebrei appartenenti al corpo sanitario interno al Cremlino, con l'accusa di aver attentato con cure volutamente sbagliate, alla vita di dirigenti e militari sovietici, oltre ad avere effettuato attività di spionaggio in favore dei servizi segreti sionisti e occidentali. La situazione cominciò veramente a precipitare quando nel febbraio del 1953 l'Urss ruppe le relazioni diplomatiche con Israele; inoltre correvano voci insistenti, all'epoca, che la prossima mossa di Stalin sarebbe stata la deportazione in Siberia di tutti gli ebrei sovietici, minaccia fortunosamente scongiurata dalla morte del tiranno sopravvenuta per attacco cardiaco il mese seguente ( B. Litvinoff cit. pag. 459 ). In effetti ancora oggi si discute se Stalin morì di morte naturale o meno. Resta il fatto che il suo braccio destro nella repressione "anticosmopolita", il capo della polizia Berija, venne accusato di aver montato le accuse contro i medici ebrei i quali vennero pertanto liberati mentre il Berija veniva fucilato. I successori di Stalin provvidero subito dopo a riprendere le relazioni diplomatiche, che erano state interrotte, con Israele.

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