Bush = Cespuglio, macchia boschiva, zona selvaggia e incolta (bush-fighter= franco tiratore; bush ranger= evaso, bandito).
Bush = provinciale, scadente, insignificante, di qualità inferiore.
Bush = rivestimento isolante.”
[ dal Dizionario Inglese-Italiano Zanichelli]
GURU MAGNETICI…
Comunque la pensiate, sembra proprio che il destino dell’ultimo presidente degli Stati Uniti d’America, eletto minoritariamente, con poche decine di voti su Al Gore in Florida, sia segnato dal suo nome; e non soltanto per essere figlio dell’altro Bush, il Senior, quello del bombardamento sulla popolazione inerme dell’Iraq, subito imitato dal figlio. E questo a cominciare dalla scelta degli uomini e donne del suo staff, che rappresentano il biglietto da visita della novella Amministrazione USA. Il professor Myron Magnet, ebreo americano di origine est europea, nato 56 anni or sono (appena in tempo per essere forse un “recuperato” dai …sei milioni?), è un personaggio dall’aspetto a metà tra Asimov ed il Cappellaio Matto di “Alice nel paese delle meraviglie”. E’ stato lui il “guru che ha forgiato Bush Junior”, “l’uomo più ascoltato dall’uomo più potente d’America”. Sembra infatti che il “cespuglio texano”, novello Saulo, sia rimasto folgorato, anzi, ci si scuserà il gioco di parole, “magnetizzato” dal libro “Il sogno e l’incubo” di Magnet, il teorizzatore del “compassionate conservatorisme”, qualunque cosa ciò stia a significare; tanto da definirlo “il libro più importante che ho letto, dopo la Bibbia”. Ancora e sempre è il “Bible & business” il collante d’America; per un ebreo newyorkese immigrato, come per un petroliere texano WASP, fondamentalista metodista, quale appunto è l’uomo più (in)potente degli USA. Che poi l’attuale Presidente non debba aver letto molto di più tra questi due testi, ce lo conferma senza volere (senza volere…?), lo stesso MM riportando le espressioni della stampa liberal americana che definiva Bush junior “un nano intellettuale”, per non dire un semideficiente: “Ma dico: se questo benedetto ragazzo (sic) è davvero un cretino [testuale]…com’è che non ha mai fatto un passo falso?”. Verrebbe spontaneo ricordare al “consiglieri–guru” che il “suo ragazzo” proprio non ne ha avuto il tempo materiale, dopo pochi mesi di presidenza effettiva, se non dovessimo subito ricrederci e smentirci, ricordando la catena di passi falsi del neo eletto: come l’incidente con la Cina per l’aereo spia, il disinteresse apparente per il Medio Oriente che ha contribuito a far precipitare gli eventi, la denuncia del trattato ABM con Mosca, la cacciata degli Stati Uniti, per la prima volta nella storia, dai maggiori consessi dell’Onu relativi ai diritti umani e alla difesa dell’ambiente, per la quale gli americani sono sotto accusa di tutto il mondo dopo il rifiuto di ratificare gli accordi di Kyoto. Per non parlare delle quisquilie come l’elezione dell’ambasciatore a Roma, i rapporti con Mosca e via elencando. E siamo solo all’inizio del mandato!
Bush = provinciale, scadente, insignificante, di qualità inferiore.
Bush = rivestimento isolante.”
[ dal Dizionario Inglese-Italiano Zanichelli]
GURU MAGNETICI…
Comunque la pensiate, sembra proprio che il destino dell’ultimo presidente degli Stati Uniti d’America, eletto minoritariamente, con poche decine di voti su Al Gore in Florida, sia segnato dal suo nome; e non soltanto per essere figlio dell’altro Bush, il Senior, quello del bombardamento sulla popolazione inerme dell’Iraq, subito imitato dal figlio. E questo a cominciare dalla scelta degli uomini e donne del suo staff, che rappresentano il biglietto da visita della novella Amministrazione USA. Il professor Myron Magnet, ebreo americano di origine est europea, nato 56 anni or sono (appena in tempo per essere forse un “recuperato” dai …sei milioni?), è un personaggio dall’aspetto a metà tra Asimov ed il Cappellaio Matto di “Alice nel paese delle meraviglie”. E’ stato lui il “guru che ha forgiato Bush Junior”, “l’uomo più ascoltato dall’uomo più potente d’America”. Sembra infatti che il “cespuglio texano”, novello Saulo, sia rimasto folgorato, anzi, ci si scuserà il gioco di parole, “magnetizzato” dal libro “Il sogno e l’incubo” di Magnet, il teorizzatore del “compassionate conservatorisme”, qualunque cosa ciò stia a significare; tanto da definirlo “il libro più importante che ho letto, dopo la Bibbia”. Ancora e sempre è il “Bible & business” il collante d’America; per un ebreo newyorkese immigrato, come per un petroliere texano WASP, fondamentalista metodista, quale appunto è l’uomo più (in)potente degli USA. Che poi l’attuale Presidente non debba aver letto molto di più tra questi due testi, ce lo conferma senza volere (senza volere…?), lo stesso MM riportando le espressioni della stampa liberal americana che definiva Bush junior “un nano intellettuale”, per non dire un semideficiente: “Ma dico: se questo benedetto ragazzo (sic) è davvero un cretino [testuale]…com’è che non ha mai fatto un passo falso?”. Verrebbe spontaneo ricordare al “consiglieri–guru” che il “suo ragazzo” proprio non ne ha avuto il tempo materiale, dopo pochi mesi di presidenza effettiva, se non dovessimo subito ricrederci e smentirci, ricordando la catena di passi falsi del neo eletto: come l’incidente con la Cina per l’aereo spia, il disinteresse apparente per il Medio Oriente che ha contribuito a far precipitare gli eventi, la denuncia del trattato ABM con Mosca, la cacciata degli Stati Uniti, per la prima volta nella storia, dai maggiori consessi dell’Onu relativi ai diritti umani e alla difesa dell’ambiente, per la quale gli americani sono sotto accusa di tutto il mondo dopo il rifiuto di ratificare gli accordi di Kyoto. Per non parlare delle quisquilie come l’elezione dell’ambasciatore a Roma, i rapporti con Mosca e via elencando. E siamo solo all’inizio del mandato!
…E CESPUGLI “COMPASSIONEVOLI”
Ovviamente nessun europeo o asiatico o latino-americano è tanto ingenuo da credere che i destini della più grande potenza mondiale mai apparsa nella Storia siano affidati nelle “compassionevoli mani” di un “figlio di papà”, ex-alcolista (vizietto passato alle figlie) e dal Q.I. che lo avvicina più al mondo vegetale che non all’essere umano: un “cespuglio” appunto. Del resto il sistema americano predilige presidenti inetti, incapaci o facilmente ricattabili (Clinton docet) e quindi manipolabili dai veri padroni della Politica Mondiale: le grandi lobbies finanziarie e industriali come la Trilateral, quelle etniche, il Pentagono, la CIA, le Banche ecc…ecc… Nel caso di Bush sia l’apparato militar-industriale che le lobbies petrolifere hanno ampiamente foraggiato la sua contrastata elezione. Per non parlare della destra sionista che, nonostante la massiccia presenza ebraica nello staff di Al Gore, non può che essere soddisfatta di un presidente che lasci mano libera ai falchi israeliani del boia Sharon, togliendo ai palestinesi la vita e le poche briciole di territori ottenute da Clinton in cambio di una resa a discrezione. A parte il folkloristico Magnet, sono Rumsfeld (Segretario alla Difesa), Cheney, Colin Powell, Condolezza Rice, Hadley e Wolfowitz i “nuovi falchi” dell’establishment, definiti i “baby sitter”(!) del presidente: guerrafondai dell’Amministrazione repubblicana nelle crisi del Golfo o addirittura della Guerra Fredda anni ’70 [presidenza Ford]. Ma in verità, le grandi linee geopolitiche e geostrategiche della politica estera USA furono tracciate da molto tempo prima, da almeno un secolo e mezzo.
MESSIANISMO E GEOPOLITICA: UNA RICETTA PER TRE SECOLI
Le radici ideologiche dell’imperio americano, prima sul continente e poi sul mondo intero, affondano nel pensiero biblico-messianico dei vari J. O’ Sullivan e Josiah Strong, i teorizzatori del “Destino Manifesto”, che secondo il fondamentalismo protestante ha fatto degli Stati Uniti “la Seconda Israele”, alleata della prima in attesa dell’Armagheddon finale e del trionfo dei “Giusti”, dopo l’inevitabile olocausto planetario che spazzerà via ogni opposizione al “superiore modello di vita statunitense”. Questa ideologia trova la sua traduzione ed applicazione, in termini geopolitici, nella dottrina Monroe dell’ “America agli americani”(ovviamente i nord-americani), i WASP, per i quali Caraibi e America Centrale ispanofone non sono altro che “il cortile di casa”, concetto vieppiù allargatosi fino ad inglobare l’intero emisfero occidentale dall’Alaska alla Terra del Fuoco, da Polo a Polo. Essa si manifesterà nella sua più autentica, brutale bestialità, nello sterminio delle popolazioni autoctone precolombiane, ma anche in una guerra civile d’annientamento dell’indipendenza della Confederazione, paludata dei nobili panni della lotta allo schiavismo, che con il suo mezzo milione di morti (a metà Ottocento !) fu una delle più sanguinarie, anche per la politica di “terra bruciata” condotta da Sherman.
LA VIA DEI MARI
Ma fu soprattutto il Contrammiraglio Alfred Thayer Mahan ad indicare agli Stati Uniti nel 1890 il suo destino sui mari e gli oceani del globo, sul modello degli antenati e concorrenti britannici. La sua opera fondamentale “L’influenza del potere marittimo sulla storia (1660-1783)” non rappresenta soltanto una pietra miliare degli studi militari e geopolitici, dal punto di vista marittimo, ma il libro simbolo dell’espansionismo statunitense lanciato alla conquista del Pacifico e dell’Asia, quasi a completare idealmente il progetto originario dello “scopritore” del loro continente. Per gli USA tale direttiva ad Ovest, finita la conquista e l’unificazione del Nord America, non è che il proseguimento della famosa “conquista del Far West”, il “lontano Ovest” appunto.
FRONTIERA MOBILE
L’ espansionismo imperialista USA assumerà poi, nello scorso XX secolo altri nomi e altre forme: dai 14 Punti di Wilson del diktat antitedesco di Versailles, alla “guerra delle democrazie per la Libertà contro il nazifascismo”, fino alla Dottrina del Contenimento e poi del roll-back degli anni della NATO nella cosidetta Guerra Fredda contro la Russia, il cui vero scopo fu quello, per dirla con una caustica, sintetica formula, di: “mantenere gli Americani dentro, i Russi fuori e i Tedeschi sotto” ( sottinteso dall’Europa). In termini geopolitici come sappiamo la Nato, come i similari patti del Pacifico, la SEATO e il Patto ANZUS, rappresentarono il compimento dell’accerchiamento geostrategico dell’intero continente, il Rimland, l’AnelloMarginale della massa continentale eurasiatica; ma anche l’occupazione delle sponde opposte dei due oceani principali del globo, che assicurarono agli USA una inviolabile posizione di centralità insulare tra due masse d’acqua, riducendole a “laghi interni” (Mare Nostrum!) della talassocrazia mercantilista più potente mai apparsa sul pianeta. L’Amministrazione Kennedy rilanciò lo slogan de “La Nuova Frontiera” del mito americano su scala globale. Reagan aprì a Pekino sacrificando l’Indocina. Ma è stato il crollo implosivo dell’URSS con la conseguente fine della gestione bipolare del mondo ad offrire a Washington la possibilità di realizzare alfine il PROGETTO MONDIALISTA di dominazione globale. Anche le varie unioni doganali occidentali ed asiatiche, dalla UE al Nafta al progettato Mercato Comune inter-americano, non sono che i tasselli di un più generale piano che ponga gli USA al centro del mondo, in una serie di alleanze a cerchi concentrici; mentre dove non possono il denaro, il ricatto politico, l’embargo economico, il terrorismo e la propaganda, sono le stesse forze armate aereo-navali USA a intervenire, con o senza l’avvallo ipocrita delle istituzioni internazionali: come in Iraq, in Iran, nella ex-Yugoslavia e in Serbia, come nel centro Africa e centro America, per non parlare dell’ Estremo oriente. Eppure il Progetto Mondialista in dieci anni ha avuto vari sviluppi e passaggi. L’attuale amministrazione Bush (del figlio, ma in pratica diretta dal padre e dai suoi ex collaboratori) rappresenta un ulteriore sviluppo di questo piano. Che riprende le direttrici principali della politica estera USA di fine Ottocento, della Seconda Guerra Mondiale contro l’Impero Nipponico, della guerra di Corea, più anticinese che antirussa e la politica della Nuova Frontiera d’Indocina, da Kennedy a Reagan. Con qualche importante differenza.
DALLA DOTTRINA DEI “DUE FRONTI” ALLO SCUDO SPAZIALE
Dopo il crollo dell’ordine mondiale stabilito a Yalta, gli USA hanno coltivato per un decennio il sogno del dominio globale esclusivo americanocentrico che, in termini di geostrategia, si traduce nella “Dottrina delle Due Guerre” o Due Fronti: cioè nella possibilità per il suo imponente apparato militare di intervenire contemporaneamente in due scacchieri mondiali distanti tra loro, per esempio l’Europa e l’Asia. Possiamo anzi dire semplicemente in EURASIA, essendo oramai l’America Latina tutta, Cuba esclusa, un protettorato yankee e avviandosi l’Africa a diventarlo, a nord come a sud del Sahara. In quest’opera di controllo e dominio planetario la superpotenza nordamericana può contare sulla strettissima fedeltà e collaborazione degli stati anglofono-protestanti alleati: il Canada, la Gran Bretagna, l’Australia e la Nuova Zelanda. Gli stessi partners del sistema di controllo satellitare Echelon.
UNION JACK SU TRE CONTINENTI
Il Canada, oltretutto sotto la pressione del secessionismo del Qebec francofono, non è oggi che un prolungamento statunitense fino al Polo Nord, puntato contro la Siberia. La Gran Bretagna armonizza la sua politica estera, come sempre nella sua storia, in funzione antieuropea e atlantica. Essa rappresenta il punto d’appoggio sicuro per qualsiasi eventuale, per quanto remoto, intervento sul Continente, contro l’asse Parigi-Berlino o Berlino-Mosca. La stessa funzione di sicuro baluardo e avamposto occidentale che Israele svolge fin dalla nascita nel Mediterraneo e Medio Oriente, a cavallo tra due mari e due continenti. L’Australia infine si è lanciata negli ultimi anni in un nuovo ruolo internazionale attivo, nella propria area d’influenza geopolitica (intervento a Timor Est, appoggio all’indipendenza della Nuova Caledonia francese e alla riunificazione di Papua-Nuova Guinea, staccando l’Irian Jaya dalla federazione indonesiana). L’attivismo militare e politico di Camberra nell’ambito del Patto ANZUS è funzionale a coprire il vuoto geopolitico determinatosi dalla crisi della federazione di Indonesia e delle Filippine, tradizionali basi del controllo USA nell’area. Con la presenza statunitense sulle coste d’Asia (Corea del Sud, Giappone, Formosa) e in Africa (in specie il “recuperato” SudAfrica) abbiamo una rappresentazione plastica del dominio americano sui tre oceani e su tutte le masse continentali sotto forme di una enorme “Union Jack” mondiale, che ha negli Stati Uniti e nelle sue “dipendenze americane” l’asse centrale e gli alleati/sudditi agli estremi della X della “croce di Sant’Andrea”.
IL MARE ALLA CONQUISTA DELLA TERRA
La nuova Amministrazione americana, il Pentagono e l’apparato militar-industriale, le lobbies della destra sionista e delle Multinazionali dell’Energia sono ora pronte per l’ulteriore “balzo in avanti”, per completare la “Missione Americana” indicata dalla Storia e dalla Geografia alla Nuova Israele a stelle e strisce dal Destino Manifesto: la conquista definitiva della massa continentale eurasiatica, della “Terra” completamente accerchiata dal “Mare”. Dove questo “dal” deve tradursi da termine geografico in realtà politica entro il XXI secolo ineunte. In particolare si tratta degli unici due stati potenzialmente pericolosi, in quanto la loro vastità [lo SPAZIO in Geopolitica E’ POTENZA] li ha preservati nella loro indipendenza (e solo per uno nella sua integrità territoriale) dalla politica imperialista: la Russia e la Cina. La frantumazione dell’ex URSS, la riunificazione tedesca, l’eliminazione della Yugoslavia e la resa della Serbia non con la guerra ma dall’interno, hanno permesso alla NATO di penetrare a fondo verso Est: quindi di estendere contemporaneamente il controllo sull’intera penisola europea e di affacciarsi ai confini della CSI, premendo su Bielorussia e Ucraina. Già si avanza sulla stampa d’occidente l’ipotesi di una “ritirata di Prussia” da Kalinigrad, la Köenisberg tedesca, exclave russa circondata da Polonia e Lituania (che pure la rivendicano), affacciata sul lato orientale del Golfo che prende nome dalla “fatale” Danzica/Gdansk. Il rientro dei tedeschi, valutato in 75 miliardi di marchi, innesterebbe inoltre una serie di contraccolpi tra i paesi dell’area che “giustificherebbero” un eventuale intervento NATO, sul tipo dei Balcani. Del resto la linea Kalinigrad-Minsk-Kiev-Crimea è la prima cerniera il cui crollo aprirebbe le porte occidentali dell’immensa Russia, per l’ennesima volta nella sua storia. L’altra coinvolge già le grandi città russe: San Pietroburgo-Mosca-Volgograd. Ma è sul fronte orientale, (a “occidente” per gli USA, il “Far West” appunto), sul Mare Cinese, sulle coste dell’ “Asia Gialla” che punta la nuova strategia d’aggressione aeronavale e spaziale degli Stati Uniti americani: per tenere l’Asia del Pacifico “dentro”, il Giappone “sotto” e la Cina “fuori”, proprio come per la NATO in Europa. Lo “Scudo Spaziale”, cavallo di battaglia della vecchia e nuova geostrategia repubblicana rappresenterebbe in questa ottica l’ “ombrello protettivo aereo” che porrebbe gli USA al riparo da ogni tipo di reazione degli interessati di fronte alla politica espansionistica di Washington in direzione dell’ Heartland, il “cuore” d’Eurasia. La sottomissione o perlomeno la neutralizzazione militare e politica del Mondo Antico contrapposto al “Nuovo Mondo”, con la definitiva vittoria del Mare (e dello Spazio) sulla Terra rappresenterebbe finalmente l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale Americano sull’intero pianeta per i prossimi secoli.
LA NUOVA FASE POLICENTRICA DEL SIM
Proprio quello di cui gli americani hanno sempre accusato i loro nemici, da Hitler a Stalin, da Mao all’Islam, demonizzandoli prima dell’aggressione. Chi suppone che lo Scudo Spaziale missilistico e la nuova strategia asiatica e mondiale di Bush, padre e figlio, di Donald Rumsfeld e soci, siano indizio di una fase di ripiegamento, di Neo-Isolazionismo USA, si sbaglia di grosso; e soprattutto dimentica l’esito del precedente storico che và sotto tale definizione, cioè l’intervento nella II Guerra Mondiale, in Asia prima, in Europa poi. Del resto nel mondo globalizzato odierno ogni ipotesi isolazionista della più grande potenza mondiale è assolutamente impensabile, non foss’altro per il fatto che detta potenza e ricchezza (unico collante interno del melting-pot americano, peraltro oggi in crisi tra inflazione e disoccupazione crescente), si basano proprio sullo sfruttamento del “Sud del Mondo” (America Latina/Asia/Africa) e la sudditanza del resto (Europa/Islam). L’attuale strategia del Pentagono si accorda del resto perfettamente con gli interessi trilateralisti dell’apparato militar-industriale e delle multinazionali, e quindi con la nuova strategia capitalista, che sta passando proprio sotto i nostri occhi dalla fase Monocentrica dell’Alta Finanza a quella Policentrica Finanziario - Grand Industriale. Questa altrettanto e forse più “bellicosa” della precedente. Vogliamo in proposito riproporre le parole di G. La Grassa citate nel nostro precedente articolo, “La Ruota e il Remo”: “La cosiddetta globalizzazione [di cui il Mondialismo rappresenta il progetto politico], accompagnata dal pensiero unico – in definitiva la rimondializzazione capitalista appoggiata all’ideologia neoliberista, propagandata dalla cultura politica di sinistra e, quando ciò non bastasse, imposta a suon di bombe – è l’assetto mondiale più confacente al monocentrismo imperialista statunitense, per il momento non sufficientemente intaccato dal risorgere di un policentrismo capitalistico e grande-imprenditoriale”. Ebbene, le profetiche parole di La Grassa comparate agli ultimi accadimenti politici ci inducono a pensare che la nuova strategia capitalista abbia imboccato per i vari paesi la via del “POLICENTRISMO capitalistico e grande-industriale” eterodiretto da Washinton. Una strategia implicita nelle scelte della Trilateral: America + Europa + Giappone. Dopo il crollo comunista-sovietico e la fine dei blocchi idologico-militari ed economici contrapposti, l’Europa ha attraversato il periodo della “rimondializzazione capitalista” utilizzando le sinistre (riciclate dall’internazionalismo “proletario” marxista a quello neo-liberista/libertario), per tenere a bada masse e sindacati durante la fase delle privatizzazioni selvagge, dello smantellamento dello stato sociale, nonché nella liquidazione degli ultimi regimi dell’est restii a piegarsi alle esigenze strategiche degli USA attraverso la NATO. In Italia in particolare, per certi aspetti esempio tipico di sperimentazione in laboratorio, dopo la liquidazione rapidissima di una classe dirigente corrotta, troppo dispendiosa ed oramai inutile come mediatrice sociale all’interno e garante della sottomissione in politica internazionale, il Capitale finanziario e in specie la Banca Nazionale hanno gestito la politica in prima persona, sostituendosi quindi ai mediatori politici del passato nel controllo sulla popolazione. Ovviamente con l’appoggio degli apparati e dell’intellighentia ex-marxisti che avevano semplicemente mutato di sponsor politico. L’elezione per quanto risicata di Bush è stato l’inequivocabile segnale della svolta strategica del Capitale mondiale, quello che per semplicità definiremo Superstato Imperialista delle Multinazionali (SIM), avviato ad un POLICENTRISMO PIRAMIDALE GERARCHIZZATO. Restando sempre gli USA al vertice della piramide, si delegano agli “alleati” ruoli subordinati di gestione economica e politica, nonché d’intervento armato, nelle rispettive aree di appartenenza. Siamo di fronte ad una specie di Sistema Neo-Feudale, con tanto di Vassalli, Valvassori e Valvassini, ma a dimensione mondiale e che permette al “sovrano” statunitense di concentrare la sua potenza invincibile sul “Nemico primario” di turno.
MEDITERRANEO: LAGO AMERICANO E DESTRA REAZIONARIA
Nel Mediterraneo, “normalizzati” i Balcani, il saldo e longevo governo Aznar garantisce la porta occidentale, mentre Sharon in Israele porta avanti, tra provocazioni e stragi, lo smantellamento di Camp David e prepara la prossima guerra contro gli ultimi stati arabi e islamici riluttanti, forte anche della saldatura con il fronte NATO, garantita dall’asse Ankara-Gerusalemme. Ora anche il centro mediterraneo, l’Italia, ha un governo di destra che promette di essere, per bocca stessa del suo leader, “il più filo-sionista e filo-americano degli ultimi decenni”, rappresentando per di più un’ulteriore strumento di controllo USA dentro l’Europa, talvolta riluttante e non ancora perfettamente allineata nei suoi governi di centrosinistra, Germania in primis, ai diktat di Washington. Il governo reazionario di Berlusconi e soci si salda così alla cerniera dello “zoccolo duro” filo-atlantico turco-sionista, con prolungamento nei Balcani e in Egitto (quasi una riedizione dell’Impero Ottomano), sia in funzione anti-islamico-rivoluzionaria che anti-russa, permettendo di garantire questo settore strategico vitale. E in più regolando i flussi migratori afro-magrebini come manodopera di riserva industriale più qualificata della precedente, oramai già piazzata a saturare ruoli di bassa manovalanza agricola, costruttiva e criminale. Il modello italiano si accinge ad essere esportato nel resto d’Europa e oltre ed avrà nella riunione del G8 a Genova la sua consacrazione ufficiale. In Giappone, lo stesso ruolo è ricoperto dal neo premier Junichiro Koizumi, che viene dalla destra del Partito Liberale da sempre al governo. Le teorie del trilateralista Samuel P. Huntington su “Lo scontro delle Civiltà e il Nuovo Ordine Mondiale”, basato su una ripartizione planetaria in grandi unità continentali, sta trovando la sua realizzazione. Ma tutto ciò deve avvenire, sia ben chiaro, sotto un controllo indiretto, delegato, ma sicuro degli USA che in tal modo, protetti nel loro isolamento continentale inattaccabile, faranno pagare ai propri “vassalli” i costi (e ricavare parte dei profitti) del dominio imperiale globale. L’intervento economico, politico e militare (di mezzi, mentre i subalterni ci metteranno gli uomini, le truppe mercenarie) si potrà così concentrare su un fronte alla volta, per il completamento della egemonia sulla massa terrestre eurasiatica. Il primo obiettivo della nuova geostrategia d’attacco del Pentagono è la Cina.
CELESTE IMPERO E “QUARTA SPONDA”
Il conflitto di interessi tra la superpotenza mondialista talassocratica americana e la Cina, al di là delle ideologie e delle contingenze del momento, nasce necessariamente dalla stessa posizione geopolitica dei contendenti e dall’esigenza vitale dell’imperialismo capitalista statunitense; che DEVE essere espansionista ed aggressivo per poter mantenere non solo l’egemonia sul pianeta, ma la sua stessa sopravvivenza. Solo garantendo ad una consistente minoranza interna e alle classi dirigenti corrotte dell’impero americano un alto tenore di vita, l’America può mantenere il suo Sistema e la sua stessa unità. Ed è solo sfruttando le risorse mondiali degli altri popoli e continenti che tale tenore ed egemonia possono perpetuarsi, nonostante le ricorrenti crisi strutturali capitaliste. E’ un circolo vizioso che si avvia al suo tragico epilogo di distruzione, come avremo presto modo di rilevare. La Cina è un grande paese di 9.562.000 kmq che si estende dai vasti deserti e dalle catene montuose più imponenti della Terra fino al mare orientale. La popolazione, per oltre il 90% di etnia Han, con numerose minoranze, si concentra nella parte orientale, verso il Pacifico, seguendo gli assi longitudinali fluviali fino alla costa. Mentre la parte occidentale e sud-occidentale offre spazi desertici e montuosi che la garantiscono da invasioni da ovest. E stiamo parlando di una popolazione che supera il miliardo e trecento milioni di individui, senza considerare i cinesi sparsi in tutta Asia e nel mondo! Dopo la fine del “maoismo” e la crisi internazionale dei comunismi, la Cina si avvia a divenire uno dei poli di potenza economica e politica del XXI secolo, assumendo quel ruolo egemone in Asia che l’Impero Nipponico aveva cercato di essere nella prima metà del secolo scorso. Scontrandosi con l’ondata dell’imperialismo statunitense, lanciato alla conquista del Pacifico e delle coste asiatiche di questo, l’Impero del Sol Levante ha dovuto soccombere, integrarsi e trasformarsi nella “Quarta Sponda” dell’imperium marittimo USA su due oceani. Una politica di controllo delle rive, delle isole e penisole, dei “mari interni”, da parte della flotta e dell’aeronautica a stelle e strisce, con cui è oggi la Cina stessa a doversi confrontare e scontrare, mentre si avvia a conseguire i suoi naturali scopi geopolitici: l’unità della Nazione e l’apertura di un paese tradizionalmente continentale ai mari aperti. Gli stessi obiettivi, inestricabilmente interconnessi, il cui fallimento ha determinato l’implosione russo-sovietica, dopo la ritirata afghana. Per i cinesi il nocciolo del problema è e resta da oltre mezzo secolo Taiwan.
LA “BELLA” CHIAVE DELL’ASIA E DEL PACIFICO
I primi navigatori spagnoli l’avevano chiamata “Formosa” per la sua bellezza. Oggi Taiwan, con i suoi 36.960 kmq e forse 25 milioni di abitanti, rappresenta la posta in gioco per il futuro della Cina continentale, che dista solo 160 km. Il motivo geopolitico è palese. Se si osserva una carta geografica si vedrà come la Cina si affacci su mari interni (Mar Giallo, Mare Cinese Orientale e Mare Cinese Meridionale), mentre l’accesso all’Oceano Pacifico è precluso da una lunghissima catena di penisole e isole: la penisola coreana, le isole Ry?ky? con perno su Okinawa (in buona parte occupata da basi americane). Più a sud Filippine , Malaysia e penisola indocinese chiudono i mari meridionali, seguiti dal secondo cerchio rappresentato dall’arco dell’arcipelago indonesiano e, come retroterra strategico, dall’Australia. Al centro di questa catena di isole c’è appunto Taiwan, occupata nel ’49 dalle truppe del Kuomintang in fuga, dopo la vittoria maoista sul continente. Addirittura le isole cino-nazionaliste di Matsu e Quemoy distano pochi chilometri dalla costa della Repubblica Popolare, tenendo praticamente sotto tiro tutta l’importantissima regione del Fujian e assicurando il pieno controllo dello Stretto di Formosa. Dopo il ritorno alla madrepatria di Hong-Kong (Xianggang) e Macao, ultimi lembi coloniali europei del XIX secolo, Taiwan rappresenta l’ultima terra cinese da ricongiungere alla madre patria; ma anche la CHIAVE DI VOLTA che aprirebbe alla Cina continentale un passaggio seppur ristretto sul Tropico del Cancro, verso il mare aperto, l’Oceano Pacifico, spezzando in due il fronte di accerchiamento americano, insediato a vario titolo su tutto l’arco insulare dell’Estremo Oriente. Per parte americana, al contrario, il possesso di Formosa rappresenta un’opzione strategica irrinunciabile per il contenimento della massa cinese, nonché un potenziale trampolino di lancio per la penetrazione in Asia. La pressione sulla Corea del Nord a settentrione e l’apertura al Vietnam, tradizionale rivale di Pekino, a sud, rappresentano i due bracci della tenaglia che fa perno su Taiwan, fortezza isolana superarmata. E’ altamente sintomatico che il primo attrito tra la nuova Amministrazione Bush e la Cina, cioè l’incidente dell’aereo spia USA, sia avvenuto sull’unica grande isola cinese, Hainan, propaggine meridionale estrema della RPC, tra Mare Cinese Meridionale e il tristemente famoso Golfo del Tonchino, teatro dei forsennati bombardamenti americani su Haiphong, durante la guerra del Vietnam. Wan Wei, il pilota cinese abbattuto non è che il primo caduto di un conflitto che si preannuncia lungo e decisivo per la libertà non solo della Cina ma dell’intero continente asiatico in questo secolo. Hollywood, nonostante le prevalenti simpatie democratiche, è già in prima fila nel rilanciare la propaganda bellica contro “i musi gialli”: ieri (ma ancor oggi) nipponici ed ora cinesi. Il kolossal “Pearl Harbor”, il film più caro della storia cinematografica ne è un esempio, a cui “l’asse franco-russo” risponde con “Il nemico alle porte”…: l’altro fronte, quello terrestre. L’attacco nipponico all’avamposto marittimo americano il 7 dicembre del ’41 servì come noto a Roosevelt per superare l’istintivo isolazionismo dell’opinione pubblica e lanciare il paese in uno sforzo bellico di conquista che non si è mai più fermato da allora. E se ieri era il Giappone il nemico da vincere oggi evidentemente è la Cina il colosso da piegare. La propaganda occidentale mediatica infatti continua anche a battere il tasto sul “Tibet occupato”, ad appoggiare le pretese tutte politiche del Dalai Lama, sponsorizzando l’idea della secessione tibetana. A tal fine tutto fa brodo: l’intellighentia pseudo-buddista hollywoodiana, le sette interne ma con base negli states; persino l’infiltrazione del fondamentalismo islamico di matrice saudita nel centro Asia, verso il Sinkiang–Uigur, partendo da Pakistan-Afghanistan, potrebbe essere un’arma di pressione, mentre l’opinione pubblica è distratta dall’invenzione mediatica del nuovo “imprendibile terrorista internazionale Osama Bib Laden”, il Carlos dei nostri giorni. Ma questi non sono che fronti secondari, pressioni sul retroterra della Repubblica Popolare Cinese, in aree a maggioranza non sinica. Eppure proprio la Cina, assieme alla rinascita russa e all’ irrisolvibile problema mediorientale, potrebbe rappresentare la pietra d’inciampo dell’espansionismo egemonico americano e l’inizio della fine per l’impero americano.
LA GRANDE IMPLOSIONE
Nel 1978 pubblicammo, su una rivistina “particolare”, un articolo sul futuro crollo dell’Unione Sovietica; articolo che ci costò caro negli anni a venire…! Non si trattò ovviamente di nulla di profetico “alla Nostradamus”, bensì di un’analisi approfondita soprattutto sui rapporti tra sionismo e marxismo e sulla geopolitica russa in Asia, che traeva spunto dal libro del dissidente ebreo Andrej Amalrik : “Sopravviverà l’Unione Sovietica fino al 1984 ?”. Il titolo era un ovvio riferimento al celeberrimo “1984” di Orwell sul controllo totalitario della popolazione nell’ambito di conflitti intercontinentali, veri o presunti tali. La “profezia”, come noto, si è avverata con solo sette anni di ritardo, anche se Amalrik aveva troppo enfatizzato il ruolo esterno della Cina di Mao. Del resto il dissidente scriveva alla fine degli anni ’60, dopo i conflitti russo-cinesi sull’Amur-Ussuri, presso quel territorio del Birobijan dove Stalin avrebbe deportato gli ebrei di Russia, se non fosse prematuramente morto in circostanze misteriose. Non c’era ancora stata la Rivoluzione Islamica dell’Imam Khomeini in Iran e l’invasione sovietica dell’Afghanistan, poi fallita nella sua marcia verso l’Oceano Indiano. A distanza di una trentina di anni da quel testo sono sempre di più gli studiosi di politica internazionale e geopolitica che anticipano previsioni più o meno catastrofiche sul futuro dell’Occidente e dell’America in particolare. Un superstato che si è arrogato il diritto di intromissione ed intervento in ogni angolo della Terra, grazie alla propria potenza economica e politica supportata da un apparato militare mastodontico e sofisticatissimo, che impiega circa un milione e mezzo di soldati!
LA FINE DELL’IMPERO
Un testo interessante in questo filone “catastrofistico” è quello del francese Pierre Thuillier dal titolo “La grande implosione. Rapporto sul crollo dell’Occidente 1999-2002”. E’ un’opera di vasto respiro, più a carattere filosofico, che affronta i vari aspetti della “Crisi del mondo moderno” (per usare l’espressione di René Guénon): da quello economico, a quello religioso e filosofico, dall’ecologia al rapporto Nord-Sud mondiali ecc… Ma un testo veramente “profetico” sul tipo di quello di Amalrik è senza dubbio l’opera più importante di Chalmers Johnson, presidente del Japan Policy Research Institute e “professore emerito” dell’Università Californiana di San Diego: “BLOWBACK. THE COST AND CONSEQUENCES OF AMERICAN EMPIRE”, da pochissimo tradotto in italiano (Garzanti) con il titolo: “GLI ULTIMI GIORNI DELL’IMPERO AMERICANO”. Il “blowback” del titolo inglese, cioè il “contraccolpo” come lo definisce la stessa CIA, è causato proprio dallo sproporzionato impegno interventista dell’impero americano in varie parti del globo, con la naturale reazione che esso provoca tra i popoli e le aree geografiche che ne subiscono l’impatto. Una presenza politica e militare neanche più giustificata dal paravento propagandistico offerto dalla “Guerra Fredda” contro “l’impero del Male” di reganiana memoria, dissoltosi come neve al sole. Inoltre il “costo”, anche in termini economici, di un intervento in Asia sotto l’ombrello protettivo della “National missile defence”, agognato da Bush e dal Pentagono, rischia di essere talmente elevato e sproporzionato all’obiettivo dichiarato della semplice difesa nazionale, da mettere in crisi l’intero sistema americano. E le prime defezioni dal campo repubblicano ne fanno segnare il passo. L’autore utilizza un curioso paragone per mettere in relazione i destini paralleli di USA e URSS: due scorpioni in una bottiglia! Costretti comunque ad affrontarsi, si colpiscono ed avvelenano a vicenda. Nel nostro caso lo “scorpione russo” è rimasto avvelenato per primo, sia perché ha fallito gli obiettivi economici (raggiungere e superare l’occidente) che quelli geostrategici ( tenere l’Afghanistan per aprirsi la via all’Oceano Indiano); sia perché l’economia e le strutture civili dell’impero rosso hanno COLLASSATO sotto il peso insostenibile di un apparato militare, aeronavale e missilistico, presto obsoleto e inadeguato, dopo il fallimento della strategia militare globale di contro-accerchiamento del Rimland eurasiatico, saldamente tenuto dalla talassocrazia statunitense. In sostanza i russi si sono dissanguati in un armamento che non potevano utilizzare, specie dopo aver fallito l’obiettivo del raggiungimento dell’Oceano Indiano. Secondo Johnson sarebbe oggi l’impero americano a rischiare a sua volta di implodere, di crollare su se stesso, sotto il peso di un apparato militar industriale ipertrofico, ideato da un establishment politico-militare-industriale, (quello “repubblicano” particolarmente) ancora legato alle superate strategie della Guerra Fredda. Come quasi sempre nella storia, i militari combattono le guerre con i mezzi e l’ottica della precedente. Si noti che “Gli ultimi giorni dell’impero americano” è stato scritto prima dell’avvento dell’Amministrazione repubblicana, in piena era Clinton. Ed è impressionante leggere per esempio pagine in cui membri del Congresso e del Pentagono delineavano, almeno un anno prima e più, scenari bellici nel Mare Cinese Meridionale dove un migliaio tra isolotti, scogli e faraglioni sono contesi da almeno sette stati che si affacciano sull’area! Attraverso questi stretti passa quasi in toto il flusso petrolifero che dal Golfo Persico, già in pugno dell’America dopo l’aggressione all’Iraq, porta l’oro nero in Cina, Giappone, Corea e Taiwan stessa. I voli provocatori degli aerei spia fino all’inevitabile incidente, alla luce di questa analisi, assumono ben altro peso: essi indicano la volontà di Washington di creare il casus belli che giustifichi le folli spese militari difensive/offensive nei confronti di ipotetici attacchi agli USA da parte di quelli che vengono garbatamente definiti dalla stampa e dai politici americani “rogue states”, stati canaglia”!
IL NEMICO VIRTUALE
All’elenco comprendente Corea del Nord, Iran, Iraq, Siria, Cuba si aggiungerà presto la ben più importante Cina Popolare? Nonostante che proprio recentemente Bush sia stato costretto dalle multinazionali in affari con Pechino a rinnovare la condizione di partner economico privilegiato della Cina. Un paese abbastanza grande e potente da poter rappresentare comunque agli occhi miopi dell’opinione pubblica statunitense e mondiale, il nuovo “Nemico Oggettivo” indispensabile agli americani, “orfani” di un nemico credibile, come poteva apparire il blocco sovietico guidato dall’URSS dal’45 al 1991. Ma anche uno stato ancora saldamente in mano alla sua classe politica di formazione comunista che ha recuperato l’orgoglio nazionale di un grande impero del passato: e una nazione di 1 miliardo e trecento milioni di uomini (forse molti di più; almeno un uomo su cinque al mondo è cinese!), che si avvia a passi da gigante sulla via della modernizzazione e ambisce, naturalmente, al suo Lebensraum, allo spazio vitale che fu precluso a Giappone e Germania dal nemico di allora e di oggi: gli Stati Uniti d’America. Essendo impensabile da parte americana un’invasione della Cina, l’unica opzione reale dell’ Amministrazione da poco insediatasi a Washington per fermare Pechino sulla via della riunificazione nazionale sarebbe rappresentata da un attacco nucleare preventivo e devastante senza possibilità di ritorsione, proprio a causa dello “Scudo Spaziale”. Una scelta così folle e suicida per tutti da non essere neanche valutabile. Quello a cui presumibilmente potrebbe invece mirare “lo scorpione americano acquattato nel cespuglio/bush” sarebbe al contrario un attacco “difensivo”/preventivo di un governo cinese messo con le spalle al muro sulla questione cardine: Taiwan appunto. Un’ipotesi prospettata anche dalla rivista mondialista di geopolitica “Limes”. Cioè esattamente lo stesso scenario di Pearl Harbor, il cui film oggi riproposto nelle sale cinematografiche con effetti pirotecnici, è portatore di un messaggio bellico patriottico tanto chiaro quanto smaccato, da risultare quasi risibile per lo smaliziato pubblico europeo, ma non per quello americano, notoriamente di “bocca buona”. Il soldato Ryan si è arruolato in marina: dopo i “nazi” europei deve combattere e vincere i “musi gialli” nel Pacifico, per salvare l’America e il mondo libero e bla, bla, bla… Il vero aggressore, dopo aver costretto alle corde la vittima di turno (ieri il Giappone, domani la Cina), si presenta al mondo come aggredito quando l’obiettivo della sua aggressione indiretta tenta una reazione per non restare schiacciato e sottomesso. Non a caso è la stessa arma propagandistica usata dal sionismo in Palestina contro i legittimi abitanti di quella terra: prima scacciati, depredati, uccisi e poi anche criminalizzati, se e quando osano protestare e ribellarsi. Sara Taiwan la Pearl Harbor dei cinesi? Quale sarà allora il ruolo della Russia di Putin a cui Bush, pur di realizzare il suo progetto “spaziale”, offre aiuti e cooperazione missilistica? Tentando ancora una volta, come fu con successo tra Germania e Russia nella II Guerra Mondiale, di mettere l’una contro l’altra le due potenze terrestri d’Eurasia, per far trionfare il Mare (e L’Aria), la Talassocrazia Capitalista Americanocentrica ben protetta sul continente contrapposto, va all’attacco del Mondo Antico, con al centro l’Heartland, suo cuore siberiano. Avranno insegnato qualcosa gli esempi del passato? E se la guerra nonostante tutto non si farà, potrà il “contraccolpo” economico e militare mettere in ginocchio gli Stati Uniti, spingendoli sulla via altrettanto chiusa dell’isolazionismo ?
L’ALLEANZA DEI POPOLI CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA
Riusciranno la Cina in ascesa, una Russia rinata, l’Islam rivoluzionario, l’ India sovrappopolata e nucleare, l’America Latina depredata e divisa, l’Africa divorata dalla fame, dalle stragi e dall’AIDS (l’Europa occidentale è oramai fuori causa, prona ai voleri di Washington) a superare il provincialismo delle dispute territoriali locali, degli odi settari, dei piccoli o grandi nazionalismi revanscisti, per opporsi all’unico, vero Nemico oggettivo di tutte le nazioni, di tutti i popoli, di tutti i governi, di tutte le fedi politiche o religiose, di tutte le terre sulla Terra, di tutte le genti e di ogni persona? Soprattutto tornerà l’Eurasia, il Mondo Antico, l’Isola del Mondo a riconquistare sulla “Nuova Via della Seta” un ruolo politico dominante a oltre 500 anni dalla presunta “scoperta” del Nuovo Mondo? E alla fine le DUE ISOLE MONDO sono destinate a scontrarsi ? Attorno a questi interrogativi si giocherà il futuro, quello del XXI secolo nel computo dei cristiani, forse il futuro stesso dell’uomo e del mondo che lo ospita. Comunque sia, “Gli ultimi giorni dell’impero americano” sono già cominciati. Azzardiamo previsioni: forse in dieci/dodici anni avremo l’inizio della fine palese al mondo intero. Sarà un’agonia lenta e distruttiva o un crollo improvviso e catastrofico? Una cosa è certa: nell’epoca della globalizzazione, la fine dell’impero americano coinvolgerà tutti i popoli, gli stati e le masse continentali. Un disastro epocale al cui confronto la crisi russa sembrerà una tempesta in un bicchier d’acqua.
LA VERA NATURA DELLO SCORPIONE
Dipenderà anche da ciascuno di noi e da tutti noi insieme se sapremo resistere alla Bestia apocalittica o se saremo destinati a perire con essa nelle fiamme dell’olocausto finale dove lo “scorpione avvelenato” ci vuole precipitare: “E quando l’Agnello ebbe aperto il Settimo Sigillo si fece silenzio nel cielo per circa una mezz’ora…e l’Angelo prese il turibolo e lo riempì col fuoco dell’altare e lo gettò sulla Terra, e seguirono tuoni e voci e lampi e gran terremoto” [Apocalisse di Giovanni]. Ma forse in questo caso, per comprendere la logica perversa dell’imperialismo autodistruttivo degli Stati Uniti d’America, ci sembra più calzante la fiaba esopea dello scorpione che chiede alla rana di traghettarlo sul suo dorso attraverso l’acqua; assicura che non la pungerà con il suo aculeo velenoso, anche perché in tal caso perirebbe assieme a lei, affogato. Eppure, in mezzo al guado, lo scorpione affonda il colpo mortale alla rana che, agonizzante, gli chiede perché lo abbia fatto, condannandoli entrambe a morte certa: “Scusami – risponde lo scorpione – non ho potuto trattenermi, farne a meno, perché …QUESTA E’ LA MIA NATURA”. Anche per lo scorpione americano, per l’imperialismo capitalista USA, che nei secoli ha fatto la guerra praticamente a quasi tutti gli stati, la radice del male risiede nella sua propria natura, nel suo Sistema, nella sua ideologia portante, nella sua economia di rapina e sfruttamento, nella sua geopolitica talassocratica espansionista ad oltranza. Il “sogno americano” alla Magnet si è trasformato in incubo planetario. Anche per l’America. Con il rischio oramai incombente di trascinare nella propria rovina, con la fine dell’impero al tramonto, il mondo intero.
CARLO TERRACCIANO
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