L’America Latina, un continente ritenuto da decenni dagli americani del Nord il “cortile di casa”, ha rappresentato e rappresenta ancor oggi l’esempio più vivo e deciso di opposizione al Nuovo Ordine Mondiale e al progetto messianico di globalizzazione. La dottrina Monroe già nel 1823 aveva infatti messo in chiaro quali fossero le ambizioni statunitensi sull’America Latina: “L’America agli americani! […] e non solo nella metà centro-settentrionale, ma anche nella metà Sud del continente dove gli Usa hanno sempre svolto con successo la stessa politica di divisione e asservimento dei popoli continentali che fu propria in Europa alla “casa madre”, la Gran Bretagna” (1).
Importanza geopolitica di Cuba
Le mire statunitensi sui confinanti del Sud si fondano sul concetto di sea-power. Il controllo completo degli oceani Pacifico e Atlantico consentirebbe agli USA di divenire una fortezza inespugnabile estesa lungo tutto il continente Americano. Il progetto mondialista a quel punto avrebbe con molta probabilità raggiunto la sua tappa più importante: un enorme isola in grado di controllare i mari ed i passaggi di merci e capace di imporsi in ogni dove. Gli USA hanno tentato negli anni di imporsi in ogni modo nel continente Latino, si pensi al golpe Pinochet, alle azioni di polizia compiute dalla fondazione dell’Unione a oggi, alle imposizioni economiche, scontrandosi però con resistenze nazionali di popolo più o meno forti, più o meno estese. L’esempio più eclatante e più conosciuto è sicuramente Cuba. La piccola isola caraibica ha subito dal 1822 al 1933 ben otto interventi armati da parte statunitense, ciò ad indicarne l’importanza geopolitica e strategica per gli yankee. Il dominio su Cuba avrebbe permesso agli USA il controllo dei due mari ed aperto una linearità di contatto con la striscia di proprietà americana attorno al Canale di Panama (nel 1903 infatti gli USA ottennero la zona del Canale in affitto perpetuo). L’importanza di Cuba è quindi evidente, “è veramente la chiave che può aprire o chiudere le porte di due mari […], essa è perno marittimo e geografico attorno a cui ruota la Nuova Isola del Mondo e quindi il progetto mondialista planetario di cui essa è base geostrategica di partenza” (2).
Importanza geopolitica di Cuba
Le mire statunitensi sui confinanti del Sud si fondano sul concetto di sea-power. Il controllo completo degli oceani Pacifico e Atlantico consentirebbe agli USA di divenire una fortezza inespugnabile estesa lungo tutto il continente Americano. Il progetto mondialista a quel punto avrebbe con molta probabilità raggiunto la sua tappa più importante: un enorme isola in grado di controllare i mari ed i passaggi di merci e capace di imporsi in ogni dove. Gli USA hanno tentato negli anni di imporsi in ogni modo nel continente Latino, si pensi al golpe Pinochet, alle azioni di polizia compiute dalla fondazione dell’Unione a oggi, alle imposizioni economiche, scontrandosi però con resistenze nazionali di popolo più o meno forti, più o meno estese. L’esempio più eclatante e più conosciuto è sicuramente Cuba. La piccola isola caraibica ha subito dal 1822 al 1933 ben otto interventi armati da parte statunitense, ciò ad indicarne l’importanza geopolitica e strategica per gli yankee. Il dominio su Cuba avrebbe permesso agli USA il controllo dei due mari ed aperto una linearità di contatto con la striscia di proprietà americana attorno al Canale di Panama (nel 1903 infatti gli USA ottennero la zona del Canale in affitto perpetuo). L’importanza di Cuba è quindi evidente, “è veramente la chiave che può aprire o chiudere le porte di due mari […], essa è perno marittimo e geografico attorno a cui ruota la Nuova Isola del Mondo e quindi il progetto mondialista planetario di cui essa è base geostrategica di partenza” (2).
Patria o Muerte!
La dittatura batista , ben voluta dai padroni del Nord, rese Cuba il parco divertimento per ricchi petrolieri texani e latifondisti locali. E’ possibile datare al 1959 il punto di rottura definitiva con la vecchia sudditanza, con un occhio di riguardo per l’Argentina peronista, agli Stati Uniti ed il punto d’inizio di tutti i fermenti rivoluzionari che in seguito hanno attraversato l’America Latina. E’ infatti con la vittoria dei barbudos, il 1° gennaio, che gli statunitensi capirono il pericolo della presenza di un’isola anti-americana nel “cortile di casa”; Cuba divenne subito la trincea avanzata, anche geograficamente, della lotta anti-imperialista. Come non ricordare la fierezza di un popolo che, con i soli machete, nel 1961, tenne testa alle truppe da sbarco americane alla Baia dei porci. Fu poi il condottiero Guevara, incarnante l’evoliano motto de “La mia Patria è lì dove si combatte per le mie idee”, a promuovere il fuoco guerrigliero nel suo continente, al fine di liberare tutti i popoli dal giogo straniero e rendere ognuno padrone a casa propria. Progetto mai portato a termine per la prematura scomparsa del Che. Cuba, avamposto rivoluzionario, nel ‘62 perde l’appoggio dell’URSS e negli anni a venire, a causa della sua particolarità, quello dei Partiti comunisti europei. Riprende allora l’iniziativa statunitense sul continente con l’accerchiamento dell’isola (golpe cileno, invasione Granata e Panama, sconfitta sandinista in Nicaragua…). Successivo solo, col tacere dell’URSS, all’infame embargo a tutti ben noto.
L’America Latina non si arrende
Quella cubana fu una guerra di liberazione nazionale a tutti gli effetti e non fu certo compiuta nel nome dell’ideologia marxista, ma nel nome del popolo e dell’indipendenza della Patria dall’unico nemico riconosciuto: gli USA. Quello cubano fu poi un regime comunista anomalo: non seguì mai né le direttive di Mosca né di Pechino, al contrario di altri Partiti latino-americani che finirono col favorire la controguerriglia boliviana promossa dagli USA. Recente è poi la sconcertante condanna da parte di parlamentari e giornalisti di formazione marxista del “sogno cubano”, forse il presentimento che alla morte di Fidel gli statunitensi rimpiazzino il governo cubano con un golpe democratico ha loro annebbiato la mente. Il popolo cubano langue, ma dignitosamente resiste ai soprusi nord-americani, mantenendo viva l’immagine di Cuba quale avamposto della lotta anti-imperialista. Il caso cubano non è però l’unico e sino ad oggi diversi sono stati i tentativi di reazione popolare all’egemonia yankee. L’Argentina peronista è stata il simbolo della riscossa dei descamisados e dei poveri, una rivolta di popolo contro gli oligarchi. L’affetto dimostrato a Peron con la rielezione del 1973 è un chiaro sintomo del valore realizzativo del populismo argentino e ancor oggi, sui muri di Buones Aires, spicca maestoso il viso di Evita. Il merito di tali regimi fu essenzialmente quello di integrare le classi popolari nell’ordine sociopolitico esistente (3) e nel tentare uno sviluppo industriale indipendente da capitali e influenze straniere. Con la crisi provocata dal FMI e dalla Banca Mondiale e la rivolta popolare a seguito della bancarotta, l’Argentina pare aver imboccato un nuovo corso sotto la guida del peronista Kirchner. Importante anche la svolta del Venezuela di Chavez, nazionalizzatore degli enormi giacimenti petroliferi del Paese, e per questo inviso agli USA. Il Brasile, dal canto suo, sembra, nelle parole del presidente Lula, poter rappresentare un’altra spina nel fianco dei padroni del Nord, in merito alla lotta alla povertà, alla globalizzazione, ai problemi dei senza terra. Pure in Messico la situazione è tutt’altro che pacificata, dove l’EZLN continua a controllare ed amministrare aree importanti del Chiapas occupato (4). Il Perù vede la presenza di due gruppi di lotta armata, Sendero Luminoso, di ispirazione maoista, pratica un terrorismo indiscriminato e il Movimento revolucionario Tupac Amaru, di tendenza guevarista, pratica una violenza più mirata e pare tragga proventi economici dal narcotraffico. Altre situazioni interessanti sono rappresentate dalla Colombia, con le FARC, l’Ecuador e altissima è la tensione sociale in Uruguay e Paraguay. La breve carrellata fin qui esposta ci mostra quindi un continente in fermento, spinto dalla volontà di liberazione e indipendenza nazionale. Quella latino-americana è, con molta probabilità, la prima e più forte resistenza al Nuovo Ordine Mondiale oggi osservabile; siamo di fronte a milioni di persone decise ad affrancare la propria terra dal giogo statunitense. Eleuteros, che già nella sua costituzione si dichiara a sostegno dei popoli oppressi, non può che porsi idealmente a fianco di chi combatte per la propria indipendenza ed alzare all’unisono la propria voce nel motto: “Patria o muerte!”.
Note
1) Carlo Terracciano, “Perché Cuba!”, in Origini
2) C. Terracciano, articolo citato
3) Raistlin, “L’America Latina e i suoi nazionalismi”, Orion n°223
4) Francesco Di Lorenzi, “Esempio America Latina”, Rinascita di domenica 26 ottobre 2003
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