domenica 11 agosto 2013

U.S.A. über alles. Guerra all'Iraq (G.F. Spotti)

Un contributo per reagire al racconto storico di parte affermatisi negli ultimi anni

Di una cosa siamo certi: l’attacco americano all’Irak è un’aggressione deliberata, arbitraria, barbara e incivile. Una guerra imperialista mascherata da falsi pretesti umanitari. Ciò rafforza ulteriormente la tesi (semmai ci fossero persone ancora incerte) che gli USA sono una nazione governata da una classe politico-affaristica criminale e genocida. Da quando essi sono rimasti l’unica superpotenza incontrastata sul pianeta, non fanno nemmeno attenzione a nascondere certe loro velleità di conquista, dando chiara prova di disprezzo nei confronti dell’ONU, dei suoi ispettori, dell’opinione pubblica contraria e maggioritaria, nonché delle più elementari norme del diritto internazionale. Quella piccola minoranza di persone che applaude l’intervento USA in Irak è patetica, oltre che ignorante.
Se analizziamo la questione nei dettagli, non vi è un solo motivo plausibile perché uno stato straniero (in questo caso gli USA) intervenga militarmente nei confronti dell’Irak. Dire all’opinione pubblica che la guerra è necessaria perché Saddam è un dittatore, perché opprime il suo popolo, perché ha armi pericolose per il mondo intero, perché è legato a reti terroristiche internazionali, è semplicemente ridicolo. Un analisi del genere calza invece a pennello agli Stati Uniti i quali, in queste parole, sembrano essersi guardati allo specchio. Da quando in qua gli Stati Uniti si sarebbero investiti di un simile ruolo umanitario spendendo miliardi di dollari per cacciare un dittatore a oltre 10.000 Km di distanza, rischiando la vita dei loro uomini? Solo chi crede alle favole può cadere in una trappola simile, peraltro banale. Saddam guida l’Irak in modo autoritario, certo, ma questa è una prerogativa e consuetudine dei paesi di quasi tutto il mondo arabo e islamico, da Casablanca a Giacarta. Dobbiamo forse attaccarli ed invaderli tutti? E’ diffusa la tesi che Saddam avrebbe usato i gas per sterminare i curdi nel Nord dell’Irak. La questione curda non è nata con Saddam ma egli l’aveva già ereditata dai suoi predecessori. Nel Marzo del 1974 il Kurdistan irakeno ottenne l’autonomia, ma il governo irakeno pretese in cambio di controllare totalmente le risorse petrolifere del Nord. La questione fu risolta nel 1975 concedendo al Kurdistan un autonomia ancora maggiore di quella già ottenuta l’anno prima. Rimane però il fatto che i curdi non hanno una loro patria, una loro nazione, in quanto è un popolo sparso a cavallo dei confini di quattro paesi (Irak, Iran, Siria e Turchia), suscettibili quindi ad essere manipolati ed incitati dietro laute ricompense, forniture di armi e promesse mai mantenute. Questa fu l’azione messa in atto dalla CIA, tramite cosìdette “operazioni di copertura”, ossia trascinare i curdi alla ribellione contro il governo di Baghdad per ottenere un’indipendenza ed un loro stato di cui non saprebbero cosa farsene (essendo questi, fra l’altro, un popolo nomade e bellicoso il cui unico riconoscimento di autonomia venne dall’Irak e non certo dagli altri paesi ospitanti questa etnia che invece l’ hanno sempre perseguitata). Dietro questa manovra c’era il tentativo di dirottare nell’orbita curda, tramite un governo fantoccio, il controllo dei pozzi petroliferi nel Nord irakeno, i quali sarebbero stati poi gestiti dalle onnipresenti Sette Sorelle americane. I curdi scatenarono in Irak attentati in tutto il paese, sia contro rappresentanti del governo che contro la popolazione irakena. Saddam non poteva certo cedere ad un simile ricatto e decise di reagire usando la mano pesante. Quei morti però vanno addebitati alla sete di potere degli americani, ai loro inganni, ai loro imbrogli, alle loro sporche manovre ed alla loro vigliaccheria. Nel frattempo però il problema della delimitazione delle frontiere fra Irak e Iran, dove Reza Pahlavi era stato rovesciato da Khomeyni, prese drammaticamente il sopravvento. Nel Settembre del 1980 l’Irak dichiarò decaduto l’accordo di Algeri del 1975 sul controllo dell’estuario dello Shatt-al-Arab e gli scontri di frontiera fra i due paesi si sono trasformati in un conflitto aperto di sempre più vaste proporzioni. In quel periodo gli USA erano alleati e fornitori di armamenti all’Irak, in chiave anti-iraniana e lo rimasero fintanto che Saddam non decise di invadere il Kuwait (da sempre alleato e amico degli USA e Gran Bretagna). Il Kuwait, ex protettorato britannico, il cui territorio apparteneva all’Irak iniziò ad installare pozzi petroliferi nel Nord del paese, a ridosso della frontiera con l’Irak. Le perforazioni petrolifere però andavano a finire oltre-confine in territorio irakeno, intaccando pertanto i giacimenti irakeni. Gli avvertimenti del governo di Baghdad non valsero a niente e così Saddam decise di invadere il Kuwait per annetterselo. Prima di fare ciò, chiese all’allora ambasciatrice americana a Baghdad Suzanne April Glaspie se il governo di Washington avesse qualcosa in contrario. L’ambasciatrice, dopo aver consultato chi di dovere, rispose che il suo Governo non aveva nulla in contrario. Il resto, sappiamo come è andato. L’Irak, fra l’altro, poteva vantare uno dei livelli di benessere tra i più alti e diffusi del mondo arabo (ovviamente prima dell’embargo imposto dai delinquenti d’oltre oceano). Va fatto notare, inoltre, quanto pochi siano gli immigrati irakeni (da non confondere coi curdi) in Europa, segnale che indica una scarsa necessità ad emigrare da parte di quel popolo, cosa che non avviene certamente con paesi come il Marocco, l’Algeria, la Tunisia ed altre “perle” democratiche dell’area. L’Irak vantava (mi rattrista usare la forma verbale al passato) scuole ed università all’avanguardia, strutture urbanistiche e viarie moderne, istituzioni laiche e tolleranza religiosa, una futura classe dirigente pronta a dare uno slancio positivo al paese creando infrastrutture ed opere sconosciute alla maggior parte dei paesi dell’area. Questo grazie, logicamente, ai proventi del petrolio e soprattutto alla volontà del governo irakeno di gestire “in primis” questa ricchezza strategica, allontanandosi dagli sceriffi delle multinazionali americane e decidendo, nell’autunno del 2000, di adottare l’Euro come valuta in pagamento del greggio, anziché il Dollaro USA. Tutto questo ha urtato tremendamente la “sensibilità” yankee, i quali non possono e non vogliono permettersi che il “cambio di rotta” irakeno diventi un pericoloso modello da imitare da parte dei paesi produttori di petrolio. Se si abbandonasse il Dollaro, come moneta per il pagamento delle forniture di greggio, passando all’Euro, in tutto il mondo verrebbero immesse sul mercato enormi quantità di Dollari per acquistare Euro ed il “verdone” USA subirebbe un tracollo senza precedenti, con effetti devastanti sul mercato interno statunitense. Ovvio che la cosa metta un certo brivido agli americani!Questo atteggiamento irakeno è stato un chiaro segnale di invito rivolto all’Europa, un invito ed un’opportunità che l’Europa, diretta da una classe politica dirigente asservita agli USA da oltre 50 anni, non ha saputo e voluto cogliere. Il conflitto irakeno è pertanto una chiaro segnale, un monito sia all’Europa, che agli altri paesi produttori di petrolio. Una lezione impartita dalle oligarchie plutocratiche di Washington, giusto per ricordarci che, o siamo con loro, o contro di loro. Tuttavia, anche in casa americana non tutte le ciambelle riescono col buco e lo si può notare da come sta andando il conflitto, imprevedibilmente difficile e sicuramente più lungo del previsto e con un prezzo di vite umane che, per quanto esso venga minimizzato, sarà sempre troppo alto. D’ altronde, solo la prosopopea e l’arroganza degli USA potevano dare per scontata, addirittura in 72 ore, la capitolazione del regime irakeno. Contare sulla complicità del popolo irakeno, sulle defezioni e sulla rivolta di alcune etnie contro Saddam è quantomeno puerile e sciocco. Forse gli USA contavano di ricevere lo stesso appoggio (meglio sarebbe definirlo: tradimento) che ricevettero in Italia, da una parte degli italiani, durante l’ultimo conflitto mondiale. Ma in Irak, per fortuna, non è così, non vi sono, per il momento, movimenti partigiani, ne armistizi, ne capovolgimenti di fronte, anzi, milizie volontarie dal mondo arabo stanno andando a dare manforte agli irakeni. Bisogna riconoscere che l’onore e la dignità del popolo irakeno sono ben più alti di quanto lo fossero in quella parte di italiani che accolsero i “liberatori” nel 1945 con applausi, bandierine, lanci di fiori, baci ed abbracci; praticamente il culmine della vergogna e la fine decretata della nostra sovranità. Gli irakeni sanno benissimo che il loro paese non sarà più quello di prima e che chiunque sostituirà Saddam, peggiore o migliore che sia, non saranno loro ad eleggerlo. Sanno benissimo che non si potrà mettere una pietra sopra alle rovine, alla morte ed alle distruzioni causate dalle battaglie e che, in particolar modo, non si potrà fraternizzare con coloro che furono la causa di tutto questo e dai quali, inoltre, li divide un profondo solco culturale, religioso e sociale. Gli irakeni si difendono con unghie e denti, sapendo che non potranno vincere sotto il profilo militare, ma sono desiderosi di rendere la loro terra la più ostile ed inospitale possibile per l’occupante. Gli americani si trovano di fronte un popolo ed un esercito tecnologicamente di gran lunga inferiori, ma più forti dal punto di vista della motivazione, della forza morale e dello spirito combattentistico, cosa che i militari a stelle e strisce hanno dimenticato. Ragazzoni cresciuti al plasmon, ben pagati, ipertecnologici e, esercitazioni a parte, abituati agli agi, sono stati spogliati di quella forza e di quella fierezza, se vogliamo anche un po’ primitive ma sane e naturali, che caratterizzano il combattente, quello vero, che si difende o che contrattacca dopo essere stato attaccato e quindi munito di una giustificazione ideologica. Ma quanti soldati USA credono veramente a quello che stanno facendo in Irak? Statistiche ufficiali, ovviamente, non ne esistono, ma i soldati intervistati sono concordi nel dire che l’invasione è giusta perché l’America non debba più subire un secondo 11 Settembre o perché è compito dell’America difendere il mondo ed i suoi alleati da dittatori pazzi e sanguinari. Quale percentuale creda o meno a queste idiozie, non è dato a sapere, ma la cosa certa è che viene esercitato nei confronti dell’americano medio un lavaggio del cervello tale, che le percentuali pro o contro la guerra possono capovolgersi in pochi giorni a seconda della situazione bellica o di come questa viene presentata, tramite TV e giornali, nelle famiglie americane. Questa guerra sta disattendendo praticamente tutti i calcoli e tutte le aspettative: le città irakene non si arrendono ma resistono e si combatte strada per strada, casa per casa; defezioni e diserzioni fra gli irakeni pochissime, irrilevanti (praticamente possibili in ogni tipo di conflitto), la popolazione non fraternizza con gli americani come questi vorrebbero, gli sciiti non combattono contro i sanniti come gli americani auspicherebbero, l’esercito irakeno resiste, combatte e contrattacca, Baghdad ostenta una dignitosa calma e disinteresse nei confronti dell’invasore (nonostante i raid aerei e le bombe “mostruosamente” intelligenti). Gli USA controllano cielo e mare, ma del controllo terrestre ancora non se ne parla, armi di distruzione di massa nemmeno l’ombra (forse dovranno metterle gli americani, gridando poi al fatidico corpo del reato che incolpa Saddam), i campi profughi allestiti ai confini dei paesi limitrofi attendono inutilmente ondate di profughi che, almeno per ora, non ci sono. Gli unici profughi ad occupare una tendopoli dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU in Giordania sono lavoratori provenienti dal Ciad, dal Mali, dal Niger e dal Sudan, venuti in Irak in cerca di un lavoro. Ma non era un paese alla fame, poverissimo, dove un terribile tiranno torturava e massacrava chiunque?. Gli irakeni arresisi e prigionieri degli americani non collaborano e non si sognano nemmeno di combattere al fianco dei marines. Gli irakeni non sembra abbiano fatto finora uso di gas o armi chimiche (anche se, vista la situazione ed ammesso che le abbiano, il loro utilizzo sarebbe più che giustificato, ma forse il mancato impiego è dovuto più a ragioni politiche e tattiche, che non a esigenze militari). Gli americani tuttavia usano tranquillamente, e senza farne un segreto, proiettili di vario genere e calibro all’uranio impoverito, come hanno fatto in Bosnia, Kosovo e Serbia. Prepariamoci quindi a vedere, nei prossimi anni, un vertiginoso aumento di malattie e tumori correlati a queste armi, nella popolazione irakena. Per chi conosce la lingua inglese e vuole avere un piccolo anticipo della piratesca e criminale politica che gli USA intendono applicare a tutti i governi della Terra, basta andare sul sito Internet: http://www.newamericancentury.org (Project for the New American Century, ossia il Progetto per il Nuovo Secolo Americano). Un’iniziativa che è tutto un programma, partorita dai nomi più illustri che compongono una delle lobby politico-affaristiche più potenti degli USA (25 nomi altisonanti, fra i quali figurano Rumsfeld, Cheney, Wolfowitz, Forbes, Abrams, Dobriansky, Friedberg e altri). Fondata nel 1997, la loro Dichiarazione dei Principi Fondamentali (Statement of Principles), sancisce, senza troppi misteri, le intenzioni degli USA di americanizzare il modo asservendolo ai suoi esclusivi interessi, nel nome di non ben identificati “valori democratici” e “libertà economica e politica”. In questo “Progetto”, fra l’altro, viene fatto esplicito riferimento al rifiuto americano di aderire al Tribunale Internazionale dell’Aja per i Crimini contro l’Umanità, adducendo come motivo il fatto che l’America viene sempre più spesso chiamata in causa a tutelare i propri interessi nel mondo e quelli dei suoi alleati da regimi dittatoriali e da despoti nemici della democrazia. Da ciò ne consegue un più massiccio impiego di proprie truppe nel mondo e quindi una maggiore possibilità di esposizione a fatti penalmente perseguibili, ma considerati fino ad ora “effetti collaterali” o “necessari” per riportare la “democrazia” là dove lo ritengono più opportuno. E’ evidente che gli americani non intendono aderire ad un Tribunale che abbia una “giurisdizione mondiale” col rischio di sottoporre alti ufficiali, soldati e responsabili del Pentagono a giudizi per crimini di cui puntualmente e consapevolmente si macchiano e si sono macchiati in passato. Tutto questo perché il processo di Norimberga ha inaugurato un’era dove la legge della giungla regna nel mondo. Dai tempi di Norimberga in poi, il più forte sa di poter commettere ogni tipo di violenza, abuso e crimine e ciò verrà giustificato dalla scusa di “riportare la civiltà contro la barbarie”. Fintanto che Norimberga non verrà denunciata, il “Grande Fratello” continuerà ad estendere il proprio impero col terrore. L’unica forza geopolitica che potrebbe opporsi è l’Europa, nella quale, recentemente, regna una schiacciante maggioranza di anti-americanismo, la quale, se prima era latente, oggi, davanti all’aggressione all’Irak, è esplosa in modo virulento non solo fra i semplici cittadini ma anche nella stragrande maggioranza dei media televisivi e della carta stampata. Solo le classi politiche dirigenti dei paesi europei appoggiano, anche se con sfumature diverse, la politica americana. Ciò avviene non perché i governanti europei sono gli unici filo-americani (loro stessi, tolti gli abiti del governante, sarebbero anti-americani), ma nessuno di loro ha il coraggio e la spina dorsale di avvalersi della propria posizione per proporre un vero modello europeo con difesa e politica estera autonoma, da controbilanciare l’egemonia USA, in quanto un simile progetto sarebbe visto come fumo negli occhi ed una minaccia dagli americani, i quali non si farebbero alcun scrupolo di creare tutte le condizioni (l’Irak insegna) per giustificare un conflitto armato contro l’Europa. Può darsi che evitare questo scenario sia saggio, ma può darsi che affrontarlo sia, prima o poi, necessario.

Gian Franco Spotti
Soragna (Parma)

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