"Come dubitare che in passato il mondo fosse in Dio? La Storia si divide tra un passato, in cui gli uomini si sentivano attratti dal nulla vibrante della Divinità, e un oggi, in cui il nulla del mondo è privo dell'afflato divino" E.M. Cioran
Nel porsi il problema del futuro non si deve ignorare l'importanza del popolo ed il ruolo fondante che esso ha per il mantenimento e la durevolezza di un ordine. L'esistenza di un'elite è necessaria al fine di guida del popolo, ma essa non può avere ruoli così esclusivi da dividerla dalla comunità. Ogni gruppo scelto che porti un nuovo ordine proviene in ultima istanza dal popolo, rappresentandone però la componente più dinamica e culturalmente superiore. L'esempio della Repubblica platonica, in cui l'educazione della città rende giusti i cittadini, ed al contempo i buoni cittadini rendono giusta la città, ci chiarisce il rapporto circolare di relazione tra la struttura statale e la componente umana. Di fatto sono le elite, le quali per prime prendono coscienza del cambio epocale necessario, a dare inizio, per mezzo di una infiltrazione culturale al circolo di cui sopra. L'elite che diventerà guida di popolo nel nuovo ordine ch'essa andrà ad instaurare è necessariamente quella che risulta vittoriosa dallo scontro che avviene tra i vari fronti di influenza. Il presupposto della nascita e sviluppo di un gruppo ristretto è la sua volontà di cambiamento radicale, essendo di natura dinamica essa si genera per aggregazione di elementi eterogenei attorno ad un'idea comune. Quelle che nei governi e nei sistemi di controllo consolidati vengono chiamate elite non sono aristocrazie di recente nascita, ma lo sviluppo di quelle che hanno originato un certo ordinamento; ne sono le eredi e la continuità nel tempo.
La centralità del popolo
Un'elite per mantenere la sua importanza deve saper comprendere e dirigere il mutare dei tempi e quindi deve essere in grado di comprendere il popolo, le sue esigenze così da indirizzarne secondo giustizia il destino. Il popolo rappresenta la discriminante di ogni potere. Da esso dipende la durata o la caduta di un ordine. Storicamente, sin dall'antichità, un ordinamento che non si sia consolidato culturalmente ed intimamente nel popolo non si è espresso in alcuna sua componente rilevante dopo la sua caduta. Sulle macerie del passato ordinamento politico si è sempre imposto un nuovo ordine il quale tentava di "tenere a bada" le masse a scopi più o meno nascosti di potere. Ci concentreremo su alcuni punti riguardanti la centrale importanza del popolo.1 Ogni regime perde la sua efficacia politica nel momento in cui la sua capacità di pervasione culturale viene meno. E' prima di tutto per evidente insufficienza culturale che un regno crolla. E per cultura intendiamo pure il modo di vivere l'azione. Ciò che può a buon diritto esser chiamata "cultura" mira al rafforzamento sprituale, o meglio al mantenimento di un forte spirito ed una solida identità, di un popolo, ne è l'essenza più intima, profonda e propria. Cultura come fondamento di una tipologia umana, il più profondo ed unitario spirito che pervade di sé una comunità intera. Nel momento in cui i valori dell'elite di governo non vengono (più…) condivisi dalla gran parte della comunità, il suo potere è solamente effimero e la sua vita politica ha le ore contate. Nel voler stabilire un ordine nuovo si deve quindi tener presente della funzione di struttura marxiana svolta dal popolo e dalle sue necessità. L'elite crea il nuovo ordine, ma è il popolo a determinarne la durata. Un'efficace azione di diffusione culturale, e nell'efficacia vi sono sintesi e rapidità, porta a far sì che il popolo condivida i valori dell'elite in una sorta di mutazione totale della comunità. La caduta di un governo che sia riuscito a coinvolgere intimamente la popolazione non sarà l'avvenimento determinante perché il popolo stesso smarrisca i valori del passato.
Eurasia e popolo
In una recente intervista ad Aleksander Dugin apparsa su Orion n.239 agosto 2004 a cura di Daniele Lazzeri, il noto eurasista russo ebbe a dire: "…ritengo che la nuova sintesi del pensiero debba necessariamente passare per una riconsiderazione del concetto di "Popolo". Il "Popolo" visto come soggetto politico e non più come mero oggetto delle decisioni prese in altri consessi.[…] E' lo "Spirito del Popolo" l'elemento decisivo per l'affermazione della visione imperiale." Già in passato Dugin scrisse che la coesione della Russia, la creazione di uno stato a dimensione continentale, non è pensabile se non fondandosi sulla spiritualità Ortodossa che del popolo russo rappresenta l'identità più sentita e diffusa. Russia ed Ortodossia sono la medesima unità. Questa importanza riconosciuta alla Ortodossia da parte del dottrinario russo non è una novità degli ultimi decenni, già Dostoevskij e Leont'ev ebbero a riconoscerne, pur da prospettive differenti, il ruolo centrale. Dostoevskij può essere inteso come pneumologo, studioso dell'interiorità, andando al di là dello psichico trova la sfera dello spirito. La sua è una fede che si raccorda al popolo e si lega alla terra, è nel popolo che lo scrittore pensa di trovare la vera fede, la sua emozionalità. Il popolo vive nell'ordine della natura, sente la vivente unità dell'universo; il contatto con la terra è fondamentale. L'esito politico delle teorie dostoevskijane è di tipo razziale, formalizzandosi in una sorta di messianesimo slavofilo. Un'importanza assolutamente maggiore nell'attuale eurasismo russo, ed in Dugin in particolare, ha con tutta evidenza il massimo pensatore eurasista del passato: K.N. Leont'ev autore nel 1875 del fondamentale "Bizantinismo e mondo slavo". E' importante inquadrare il pensiero di K.N. Leont'ev nei suoi tratti essenziali. Il filosofo rifiutava l'evoluzione culturale dell'occidente riaffermando, con la sua conversione, il ritorno ad una rigida religiosità monastica, ascetica, fortemente cosciente del peccato umano e della trascendenza divina; con questo riconoscendo l'importanza storica del bizantinismo. Totalmente avverso alla modernità europea, non adeguava lo spirito ortodosso al cristianesimo moderno di stampo occidentale, e si trovava in critica anche con la visione panslavista dostoevskijana e la sua religiosità, che gli pareva troppo sregolata e problematica. Auspicava un distacco radicale della Russia dalla decadenza spirituale dell'occidente democratico ed in disprezzo alla democrazia auspicava il formarsi di un sistema imperiale slavo-orientale di radice bizantina, duramente spirituale. La formazione culturale russa secondo Leont'ev nulla ha a che vedere con quella europea, bensì i suoi prinicpi culturali sono bizantini e tatari. L'ordine spirituale e sociale russo si regge non su un nazionalismo ma sugli ideali bizantini di autocrazia e Ortodossia,avendo l'Ortodossia assorbito quasi totalmente la vita religiosa russa. La Russia allora intesa quale radicale antitesi all'Occidente crepuscolare e Mosca che sarà la Terza Roma che non cadrà mai. Leont'ev, nella difesa intransigente dei valori bizantini di ortodossia, autocrazia e monarchia, essenza storica della nazione, non si rifaceva insomma ad una sorta di nazionalismo, come poteva essere invece quello panslavista. L'essenza di uno stato per Leont'ev non consiste affatto "nel suo sostrato razziale e linguistico bensì nelle idee organizzatrici che danno forma ed individualità al materiale etnico."2 Il bolscevismo era destinato a fallire in Russia se si fosse sradicato dalla spiritualità popolare, l'Ortodossia; in un secondo momento, quando Stalin dichiarò "la guerra patriottica" e permise nuovamente di partecipare alla preghiera ortodossa in chiesa, allora dimostrò di comprendere questo legame inscindibile tra popolo e fede.
Spirito e Origine
L'importanza del popolo nella visione eurasista non è quindi una trovata recente, la comprensione del suo ruolo nella vita politica e sociale di uno stato non può essere ignorato. Secondo chi scrive una restaurazione parziale di un ordine secondo giustizia deve passare necessariamente per una condivisione e comprensione dei medesemi valori da parte delle masse. Una mistica popolare, sull'esempio dell'esperienza romena, che sappia pervadere di sé la gran parte delle coscienze, che sappia cioè risvegliare il senso del divino nell'Europa (…Eurasia) decaduta nel materialismo affarista. E' senz'altro una possiblità molto distante dal realizzarsi, eppure riconsiderare la centralità del popolo, soprattutto in ottica continentale, lasciandosi alle spalle i piccoli nazionalismi romanticheggianti, favorendo il recupero di una qualche tensione spirituale, è lo scopo ultimo di quella che deve intendersi come una geopolitica non soltanto politica e strategica, ma pure spirituale e filosofica. Il concetto di Terza Roma è prima di tutto fondato su una dura e severa disciplina religiosa che pervade l'intero popolo russo, in secondo luogo - o allo stesso tempo, ma non prima - rappresentando il faro di luce verso la redenzione (in ottica ortodossa) dalla caduta in cui è precipitato quello che ci si ostina a chiamare occidente, esprimendosi in una dimensione imperiale continentale. Terza Roma - Terzo Reich - Terza Internazionale. Nel recupero di una spiritualità originaria non si può ignorare l'avventura del leggendario barone Ungern Sternberg (Unger Khan) che, rieprcorrendo le gesta dell'armata mongola di Gengis Khan, intendeva riconquistare la Russia bolscevica alla testa di un esercito "bianco": "Ungern aveva dichiarato fin dal 25 febbraio 1919, alla Conferenza Panmongola di Cita, la propria intenzione di restaurare la teocrazia lamaista, creando una Grande Mongolia dal Baikal al Tibet e facendone la base di partenza per una grandiosa cavalcata verso occidente, sulle orme di Gengiz Khan."3 Ed infine il suo rivolgere la cavalcata verso il Tibet conferma quella che è la sensazione profonda che il mito dell'Eurasia ci trasmette nel profondo: il ritorno all'origine, il regno della fine, l'ultimo Imperium sull'orlo dell'abisso.
Precisazione finale
Si è parlato dell'importanza della componente popolare, relazionandola ad una visione imperial-continentale riassunta nella denominazione Eurasia. Come si è brevemente illustrato, nella visione russa il ruolo centrale del popolo non è in discussione, ed anzi esso si radica in una dimensione fortemente spirituale e religiosa. Ora, riprendendo per un attimo l'appunto fatto in merito alla Repubblica platonica è necessario precisare che il potere di un Imperium, quindi di un organizzazione statale di tipo tradizionale-spirituale non viene legittimato dalle masse e neppure dalla componente umana, non è una creazione degli uomini il giusto governo. Bensì esso si legittima da sé, è in sé giusto perché sacro. L'imperatore è la figura eminente che governa per investitura sacra, messaggero della divinità, il pontifex. In questa ottica quindi, riprendendo il modello platonico, è utile accennare all'importanza dell'Accademia quale luogo di preparazione e formazione di un'elite filosofico-spirituale di governo. Essa acquisisce il suo diritto a guidare il popolo solamente da una maggiore vicinanza e presa di coscienza del sacro; Platone avrebbe detto per una maggior comprensione dell'Iperuranio, del modello di giustizia che è nei cieli. Quindi la centralità del popolo è da vedersi in ottica politica, poiché garantisce la durata di un governo, che si auspica giusto e retto, epperò la sua importanza non legittima in nessun modo il sacro, che deve invece, per mezzo degli uomini che più chiaramente vedono ed attraverso il giusto governo, diffondersi tra le masse così da rievocare un sentimento di spiritualità quanto più possibile pura e rettamente orientata.
Note 1- Osservazioni di tipo differente e del tutto particolari sarebbero da effettuare sui totalitarismi di vario colore nati dal 1917 in poi. 2- Aldo Ferrarzi, "LaTerza Roma", Ed. all'insegna del Veltro pag. 44 3- Claudio Mutti, "A Oriente di Roma e Berlino", Effepi Ed. pag. 123
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