Da troppi anni ci fanno credere, vedere e leggere che gli USA sono la “democrazia” per eccellenza, il punto più alto della libertà, il non plus ultra dei diritti umani, il paese delle opportunità, il faro della civiltà e il riparo dalle ingiustizie. Dopo oltre 50 anni di bufale, panzane e idiozie è venuto il momento di dire come stanno effettivamente le cose in quell’angolo di mondo guidato da una classe politico-finanziaria-affaristico-militare criminale e genocida. Gli attuali americani bianchi (definiti WASP – White Anglo-Saxon Protestants) non derivano da poveri miserabili emigranti, in fuga dall’Europa per cercare fortuna nel Nuovo Mondo, ma da una massa di persone, comprendenti probabilmente anche dei poveri cristi, ma in gran parte criminali, ladri, avanzi di galera, avventurieri senza scrupoli, gruppi di bigotti e fanatici religiosi. Tutti avevano qualcosa in comune, la fuga da qualcosa o da qualcuno e non solo dalla miseria, perché altrimenti, in quegli anni, tutta l’Europa avrebbe dovuto, teoricamente, emigrare. Tanti bordelli dell’epoca, in Europa, furono svuotati e “trasferiti” nel Nuovo Mondo per le brutali e primitive esigenze di uomini rudi che affrontavano un territorio non ancora idoneo per nuclei famigliari.
Questi antichi “patrioti” e “pionieri”, si fecero lentamente strada verso Ovest massacrando e distruggendo letteralmente ogni popolo e tribù che si trovavano davanti, cioè i pellerossa, le uniche e vere popolazioni che avrebbero il diritto di essere chiamate “americane”. Furono distrutte col piombo, col tradimento e con l’inganno (cioè gli stessi sistemi che ancora oggi gli yankee utilizzano per portare “civiltà” e “democrazia”). Distrussero perfino tutti gli animali che gli indiani cacciavano al solo scopo di sostentamento e per procurarsi le pelli per le coperte ed i vestiti invernali. Fu una vera e propria carneficina. Anche gli eroi della frontiera americana, il mitico West, sono un falso. Sceriffi, pistoleri, rangers, soldati e generali, che i film propinatici per decenni, vogliono fare apparire come dei valorosi che si sono sacrificati contro le ingiustizie, altro non erano che dei volgari delinquenti senza scrupoli. Altro che David Crockett, Gen. Custer, Buffalo Bill, Kit Carson e il 7° cavalleria !! Tutto un sofisticato capolavoro menzognero, fatto nel dopoguerra, per curare l’immagine all’estero degli USA per i creduloni europei pronti a “bere” le balle dei “liberatori”. Andiamo oggi a vedere a che cosa sono ridotti i discendenti dei valorosi pellerossa: chiusi in riserve indiane, più o meno come animali in via di estinzione, in una gabbia, che cercano di sopravvivere esibendosi come pagliacci per i turisti in cerca di atmosfere “retro’”, di imbecilli arrivati col biglietto andata e ritorno, pernottamento più colazione, ansiosi di filmare i “selvaggi” immortalati nei film western, una volta liberi e orgogliosi, ora ridotti a souvenir ambulanti, alcolizzati e drogati. Quante volte negli anni '60, la televisione italiana, sulle uniche due reti disponibili allora, proiettava film western della serie “sui sentieri del West” di John Ford con attori come John Wayne, Gary Cooper e tanti altri. Come venivano dipinti gli indiani? Come volgari e violenti, mentre i bianchi erano solo poveracci assaliti e massacrati da orde di selvaggi. Alla fine trionfavano i cavalleggeri o “intrepidi” cow-boys, tutti “patria e famiglia” ed il film si concludeva con frasi di pietosa retorica e patetica ipocrisia. Le scene dei film che dipingono gli indiani come bramosi di “scalpi” bianchi, sono un’altra mistificazione storico-cinematografica. La tecnica di “scalpare” le persone gli indiani la appresero dai bianchi, primi a praticarla nei confronti delle popolazioni indigene per avere un trofeo a perenne ricordo del loro “coraggio”. Niente quindi era più falso, però milioni di ragazzi, guardando questi film, sono cresciuti con l’idea del pellerossa cattivo e assatanato di sangue (tifando sempre per la cavalleria e quindi per il sistema americano) ed erano rari i genitori che spiegavano loro che, in verità, i film erano una montatura per dare un’immagine dell’America diversa dalla realtà. Per l’America questo fu solo l’inizio. Dopo un po’ si accorsero che le campagne degli Stati del Sud, ricche di cotone e altri prodotti destinati ai mercati mondiali, avrebbero arricchito maggiormente i portafogli dei ricchi latifondisti, se questi avessero potuto disporre di mano d’opera “gratuita”. Iniziò quindi il più gigantesco e vergognoso traffico di schiavi dall’Africa e la più grande e degradante mattanza umana mai conosciuta a memoria d’uomo, forse maggiore di quella al tempo dei faraoni d’Egitto (per questo tipo di genocidio nessuno ha pagato e non vi fu nessuna Norimberga). La schiavitù nelle piantagioni del Sud non esiste più, ma gli USA la praticano ancora comunemente sotto forme diverse, gestite a distanza, con la formula dello sfruttamento di mano d’opera nel Terzo Mondo a bassissimo costo, senza diritti né garanzie, a cura delle multinazionali che operano nei settori delle materie prime strategiche, oppure tramite i prestiti finanziari capestro che, tramite élite di governo corrotte (cleptocrazie), mettono un’ipoteca perenne sul paese, già poverissimo. Da quando l’esercito americano massacrò 300 indiani Lakotas nel 1890, le forze americane sono intervenute nel mondo centinaia di volte, diventando una forza militare e commerciale sempre più arrogante ed invadente. Verso la fine del 19° secolo, fino agli inizi del 20° secolo, gli USA intervennero militarmente in Centro e Sud America, sempre per soffocare rivolte di operai e contadini sfruttati e senza diritti o per appoggiare il dittatore di turno che rispondesse ai loro interessi economici. Ovunque andavano distruggevano, massacravano, sfruttavano ed impoverivano. Mai si sognarono di fare opere pubbliche o innovazioni a vantaggio delle popolazioni autoctone, per migliorare il loro livello di vita, l’istruzione o debellare le malattie.Ecco alcuni esempi di intervento:
Argentina 1890, invio di truppe a Buenos Aires per proteggere gli interessi commerciali USA
Cile 1891, scontri fra i marines statunitensi ed i ribelli nazionalisti.
Haiti 1891, invio di truppe per reprimere una rivolta di lavoratori neri sull’isola di Navassa, rivendicata dagli USA.
Hawaii 1893, la Marina viene inviata per rovesciarne l’indipendenza. Le Hawaii vengono annesse agli Stati Uniti (diventando Stato dell’Unione nel 1959).
Cina 1894-1896, unità della Marina, dell’esercito e dei Marines sbarcano durante la guerra cino-giapponese.
Panama 1895, sbarco dei militari USA
Cina 1894-1900, truppe d’occupazione USA durante la rivolta nazionalista dei Boxers
Filippine 1898-1910, unità della Marina e dell’esercito dopo la presa delle Filippine in seguito al conflitto ispano-americano. 600.000 filippini vengono uccisi.
Cuba 1898-1902, truppe sbarcano in seguito alla guerra ispano-americana. Ancora oggi gli USA mantengono truppe a Guantanamo.
Porto Rico 1898, sbarco di truppe in seguito alla guerra ispano-americana. Tutt’oggi sono ancora presenti.
Nicaragua 1898, i marines sbarcano nel porto di San Juan del Sur
Samoa 1899, truppe USA sbarcano in seguito alla lotta di successione per il trono
Panama 1901-1914, la marina appoggia la rivoluzione che porterà Panama all’indipendenza dalla Colombia. Le trupper americane occupano la zona del Canale.
Honduras 1903, sbarco dei marines per intervenire durante la rivoluzione
Repubblica Dominicana 1903-1904, sbarco di truppe USA per proteggere gli interessi americani durante la rivoluzione.
Corea 1904-1905, sbarco dei marines durante la guerra russo-giapponese
Cuba 1906-1909, sbarco di truppe in occasione delle elezioni
Nicaragua 1907, sbarco di truppe e formazione di un “protettorato”
Honduras 1907, sbarco di truppe durante la guerra col Nicaragua
Panama 1908, sbarco di marines in occasione delle elezioni
Nicaragua 1910, sbarco dei marines a Bluefield
Honduras 1911, sbarco di truppe per proteggere gli interessi americani durante una guerra civile.
Cuba 1912, sbarco di truppe per proteggere gli interessi americani a L’Avana
Panama 1912, sbarco di truppe in occasione delle elezioni
Honduras 1912, sbarco americano per proteggere gli interessi USA in loco
Nicaragua 1912-1933, truppe occupano il paese e combattono durante la guerra civile
Repubblica Dominicana 1914, la marina combatte contro i ribelli
Messico 1914-1918, la marina e l’esercito intervengono contro i nazionalisti
Haiti 1914-1934, le truppe USA occupano il paese nella zona d’influenza francese dopo una rivoluzione, approfittando della Prima Guerra Mondiale in Europa, che impedisce qualsiasi reazione della Francia, pugnalata alle spalle dal sedicente “alleato” USA.
Repubblica Dominicana 1916-1924, i marines occupano il paese per 8 anni
Cuba 1917-1933, sbarco di truppe ed occupazione del paese per 16 anni. Cuba diventa un protettorato economico.
Prima Guerra Mondiale, nel 1917 e 1918 truppe americane vengono inviate in Europa.
Russia 1918-1922, truppe USA vengono sbarcate in Siberia Orientale
Honduras 1919, invio di marines in occasione delle elezioni.
Turchia 1922, truppe americani combattono i nazionalisti turchi a Smirne.
Cina 1922-1927, sbarco di truppe
Honduras 1924-1925, truppe sbarcano in due riprese in occasione delle elezioni
Panama 1925, invio di truppe per reprimere uno sciopero generale
Salvador 1925, invio di navi durante la rivolta di Martì
Il loro imperialismo e la loro crudeltà, tuttavia, conobbero un raffinato salto di qualità quando decisero di entrare in guerra contro l’Europa negli anni '40. Spaventati dalla possibilità che, sull’altra sponda dell’oceano, si affacciasse una potenza, l’Europa appunto, capace di dare un diverso assetto all’equilibrio mondiale in caso di vittoria, inasprirono la loro aggressività economica e commerciale in tutta l’area del Pacifico, ai danni del Giappone, in modo da creare un “casus belli” che sfociò con l’attacco di Pearl Harbour. L’America poté così finalmente dichiarare guerra all’Asse, del quale il Giappone era alleato. L’attacco all’Europa, tuttavia, fu ben ponderato, ben sapendo gli Stati Uniti di non aver nessuna garanzia di riuscita e di vittoria. Lo sbarco in Sicilia non fu casuale, esso sarebbe potuto avvenire ben più a Nord guadagnando tempo, ma si preferì scegliere una soluzione inedita, un nuovo alleato chiamato Mafia. Il boss di spicco di Cosa Nostra Lucky Luciano, che smerciava eroina del Shangai Cartel e che allora si trovava in carcere per sfruttamento della prostituzione, fu fatto comunicare, prima dello sbarco, con uno degli ultimi boss mafiosi siciliani di primo piano rimasti, Don Calò (Calogero Vizzini). Il messaggio era “i liberatori metteranno la Mafia sul trono”. Gli americani piazzarono mafiosi ed aspiranti mafiosi in tutte le amministrazioni civili provvisorie (don Calò e Genco Russo furono nominati sindaci delle città capoluogo e dei loro “territori”) da dove essi potevano gestire gli aiuti alla popolazione civile. Fu anche permesso loro di “rubare” merci dai magazzini militari in modo che si impadronissero del mercato nero e del contrabbando delle sigarette americane, che erano additivate per accelerarne la dipendenza. Sempre per iniziativa degli americani, comparve l’eroina, che poi fu propinata gratis agli scugnizzi napoletani, dei ragazzini e dei bambini, al solo scopo di renderli dipendenti e farne degli spacciatori. L’avanzata anglo-americana dal Sud al Nord fu così lenta per permettere il consolidamento della Mafia tramite situazioni che sarebbero state impossibili a guerra conclusa. Poi, con la scusa dell’espulsione di elementi indesiderati, gli USA dal 1946 al 1948 trapiantarono in Italia duecento elementi di Cosa Nostra, tutti di buona caratura, fra i quali difatti anche Lucky Luciano, liberato anzitempo per “meriti resi agli Stati uniti”, recita il certificato. Gli americani dissero di aver ricercato la collaborazione della Mafia per ottenere un aiuto da dietro le linee per lo sbarco: ma quale aiuto!! erano quattro topi di campagna con la doppietta e c’era già tutta la popolazione siciliana ansiosa di passare sotto gli Stati Uniti. Invece la Mafia era ricostituita, potenziata e resa dipendente da Cosa Nostra. La dipendenza era assicurata dal traffico di eroina, che in sé per sé non rappresentava, allora, un giro di affari enorme, ma bisogna considerare che era la porta per tutte le altre attività, traffico di armi, contrabbando, prostituzione, racket, usura etc. Non va dimenticato, come gli americani bombardavano, senza alcun motivo plausibile, le città italiane, in particolare quelle del Nord, nel 1944 e 1945, mietendo migliaia di vittime, fra cui tanti bambini. Città che non avevano alcun obiettivo militare strategico, né contraerea, niente di niente, solo inermi civili che cercavano scampo fuggendo nelle campagne, ma che diventavano facili prede per la caccia yankee, la quale entrava in gioco facendo un vero e proprio tiro a segno sui bersagli mobili umani, dopo che i bombardieri avevano terminato il loro funebre compito. Queste non erano isolate iniziative di piloti, ma erano gli ordini che questi ricevevano dai comandi e quindi con l’implicito avallo del governo USA. Non va inoltre dimenticato che, nei vari sbarchi in Sicilia, Anzio, Salerno ecc. le prime truppe anfibie a sbarcare e a registrare il maggior numero di caduti erano composte non da soldati “Made in USA”, ma soldati di colore, brasiliani, canadesi, australiani, neozelandesi, nordafricani e truppe di altri eserciti “alleati”. I “veri americani” arrivavano dopo, quando il rischio era fortemente diminuito. Questo per sottolineare la considerazione americana degli “alleati”, cioè carne da macello da sacrificare per una causa “comune”. Per quanto riguarda lo sbarco in Normandia, il così detto D-Day, è comune opinione pensare che fosse la svolta decisiva della guerra, mentre invece questa fu Stalingrado. Gli statunitensi temevano, a gran ragione, lo scontro di forze di terra contro i tedeschi, perciò avevano evitato di aprire prima il secondo fronte nei Balcani, come era andato chiedendo con insistenza Churchill, e per questo lo sbarco in Normandia fu quasi ininfluente sull’andamento del conflitto. Per compierlo, attesero che l’esercito tedesco fosse prima sfasciato dai russi, cioè che la guerra fosse già stata vinta da qualcun altro. Il piatto forte del pranzo se lo era divorato la Russia, arrivando fino all’Elba. Churchill propose subito al Grande Alleato di attaccare insieme la Russia, ma questi di nuovo giudicò, nuovamente a gran ragione, di non esserne in grado. Lo dimostra, tra l’altro, il fatto che nelle Ardenne, in un momento di ripresa delle forze di terra tedesche, queste batterono gli americani facendoli arretrare di parecchi chilometri e facendo migliaia di prigionieri. Solo quando il cattivo tempo si diradò e gli USA poterono utilizzare l’aviazione (peraltro ormai assente da parte tedesca), riuscirono a capovolgere nuovamente le sorti. Al contrario di quello che pensa l’immaginario collettivo, i combattenti di terra americani non valgono granchè. Solitamente vediamo la marina e l’aviazione fare la parte del leone, grazie anche alla sofisticata tecnologia di cui dispongono, ma sulla terra, oltre a temere, giustamente, elevate perdite, non gradite dalla popolazione americana, il valore del fante americano è di gran lunga inferiore a quanto si possa pensare. Per dare il meglio, deve essere ipertecnologico, con ogni tipo di attrezzatura costosissima, ciò però lo limita e può accadere che abbia la peggio contro nemici scalzi, armati di vecchi fucili, ma che possono resistere a lunghe marce, in condizioni disagiate e con una ciotola di riso al giorno. La malvagità americana si è poi rivelata in tutta la sua grandezza nel vigliacco bombardamento di Dresda (il più micidiale) e di tante altre città, per arrivare ad oltre un milione di soldati tedeschi lasciati morire di fame, stenti, freddo e malattie nei numerosi lager a cielo aperto alleati, sparsi in Francia, Germania e Belgio, dal 1945 al 1947. Per fare questo, i vari generali americani, tra i quali Eisenhower, non solo evitarono la consegna ai prigionieri dei pacchi della Croce Rossa Internazionale (lasciati marcire nei magazzini) ma somministravano agli stessi prigionieri razioni con una percentuale calorica sempre inferiore in modo da arrivare ad un livello tale che il corpo si debilitasse fino ad ammalarsi per poi morire senza nessuna assistenza. Da notare che i lager americani, a differenza di quelli tedeschi, non prevedevano baracche o ripari di alcun tipo. I prigionieri si scavavano, con le mani, delle fosse per terra, coprendosi con cartoni o assi di legno di fortuna, rimanendo in quelle condizioni durante tutte le quattro stagioni dell’anno, per circa due anni. Dal 1947 a tutti gli anni 50, molti documenti americani dei campi di prigionia vengono distrutti. I tedeschi stabiliscono che più di 1.700.000 soldati, vivi alla fine della guerra, non sono mai ritornati a casa. Tutti gli alleati negano responsabilità e accusano la Russia di atrocità nei campi. Negli anni 60 fino al 1972 il Ministero degli Esteri della Germania Occidentale, sotto Willy Brandt, sovvenziona libri che negano atrocità nei campi americani. Senatori USA accusano i russi, ma non dicono niente dei “lager” americani. Sempre negli anni 60 e per buona parte degli anni 70, le reti televisive italiane proiettarono numerosi film di guerra, nei quali gli americani, non solo erano sempre i vincitori, anche morali, ma facevano apparire i tedeschi come feroci ed assatanati all’inizio del film, incompetenti, stolti e imbranati alla fine. C’era sempre un “eroe” americano che, da solo, e con pochi altri, sgominava interi battaglioni di nazisti, senza mai scaricare le armi e senza nessun graffio. Un vero lavoro da superman. La verità, inutile dirlo, era ben diversa, ma l’opera di costruzione dell’immagine USA all’estero stava viaggiando veloce, bene e sicura, convincendo in modo incredibilmente facile tanti ingenui europei su più generazioni. La storiografia ufficiale, cioè quella dei vincitori, ha sempre e volutamente ignorato i crimini bellici commessi dagli USA nell’ultimo conflitto (così come quelli dei sovietici). Una specie di “perdono” o “sconto” che andava concesso ai vincitori. Ciò venne ulteriormente accentuato con la Guerra Fredda, che vide i due più importanti trionfatori, diventare nemici. L’America fu quindi costretta ad “arginare” l’egemonia comunista in Europa, non perché le stava a cuore la sorte degli europei, ma perché voleva evitare che il “pericolo rosso” giungesse fino a Lisbona, sulle coste atlantiche, col rischio di una minaccia per il suolo americano. Quindi , per difendere se stessa, dovette difendere anche l’Europa, ma ciò non sarebbe stato necessario se non fosse intervenuta nel conflitto. Ciò è costato all’Europa un “debito” ripagato con l’avallo, per decenni, di politiche di sudditanza e di concubinaggio vergognose. Un altro capitolo, tra i più vergognosi della storia americana, fu quello relativo allo sgancio delle bombe atomiche sul Giappone, adducendo la scusa di voler forzare il Giappone alla resa. In verità il Giappone aveva già perso la guerra, tutte le isole del Pacifico erano cadute, sul territorio continentale del Sud Est asiatico, i giapponesi erano alla disfatta totale. Non vi era necessità alcuna di sganciare due mostri di morte come quelli di Hiroshima e Nagasaki. Fu un inutile massacro, un atto degno di una mente folle, malata e criminale, com’era allora e com’è tutt’oggi la lobby di governo americana. Quando arrivò il tempo del Viet Nam, ci fecero credere che era la lotta della democrazia americana che cercava di salvare il Sud Vietnam dall’invasione e dalla presa di potere dei comunisti del Nord. Anche qui la cinematografia di stato ha sfornato decine di film, con “eroi” del calibro del Colonnello Braddock, interpretato da Chuck Norris, oppure di Rambo, interpretato da Sylvester Stallone, che tendono a rovesciare il significato di quella guerra. In verità gli americani vi parteciparono per difendere i propri interessi economici nell’area, fra i quali l’esclusiva del traffico di droga dal Sud Est asiatico, sperimentare nuove armi e nuove tecniche, avere a disposizione sempre una generazione di uomini “rodati” alla guerra pronti per interventi futuri in altri luoghi del pianeta. Gli americani hanno sempre avuto generazioni di combattenti in questo o quel conflitto, non hanno mai avuto “buchi” generazionali come abbiamo noi in Europa da vari decenni. Una guerra, quella del Vietnam, che andava “combattuta” ma non “vinta”. L’opinione pubblica americana, stanca di vedere bare di giovani scaricate dagli aerei e di una situazione “non sentita” dal popolo, esercitò pressioni tali ad ogni livello e con ogni mezzo da costringere i suoi governanti al ritiro delle truppe. Anche il Sudamerica ed il Centroamerica, nel dopoguerra, cominciarono nuovamente a grondare sangue per mano yankee. Ci hanno raccontato che i regimi polizieschi installati dagli USA furono necessari per controbattere la minaccia “rossa” che andava delineandosi dalla Terra del Fuoco al Rio Grande. La verità è che le economie Centro e Sudamericane erano già dapprima influenzate e sfruttate dagli USA con l’appoggio di governi e politici locali compiacenti. Quando lo sfruttamento ed il malcontento portarono alla disperazione, e alla fame, milioni di lavoratori nelle miniere, foreste, piantagioni, fabbriche e campagne, sorsero movimenti anti-americani e anti-capitalisti, spinti dalle sinistre. La loro povertà era arrivata talmente in basso che ritenevano, a torto, che il socialismo reale di stampo marxista fosse l’unica soluzione. Gli USA decidettero così di installare regimi veri e propri cani da guardia dell’economia e della finanza yankee. Cadute le dittature sudamericane, sostituite da governi più o meno democratici o liberal-democratici, gli yankee iniziarono a “legare” i vari paesi di quel continente con prestiti miliardari capestro, pretendendo, al fine della restituzione del debito, l’adattamento di tali paesi alle scellerate politiche neo-liberiste imposte dagli USA, assolutamente inidonee in tutto il Terzo Mondo ad un adeguato benessere economico e sociale. La conseguente dollarizzazione di queste economie ha fatto il resto. Le conseguenze le abbiamo davanti agli occhi: Argentina, Uruguay, Venezuela, Paraguay e, probabilmente, presto anche il Brasile. Caduto il comunismo sovietico alla fine degli anni 80, veniva così a mancare, per gli USA, un nemico essenziale e vitale e quindi bisognava correre ai ripari e vedere quale o chi poteva essere il miglior candidato “prossimo nemico”. Non che i nemici “teorici” mancassero, ma per diventare “pratici” devono commettere qualcosa, un colpo di stato, invadere il vicino di casa, dare la sensazione di aspirare alla bomba atomica, giocare al “piccolo chimico” con pericolosi virus oppure mettersi a pregare perché costui ti abbatta un paio di grattacieli in casa tua per “stimolare” la reazione dell’opinione pubblica, altrimenti questa rischia di addormentarsi dopo anni di “relax”. Un nemico per gli USA è sempre un buon investimento. Significa far produrre le industrie belliche ed il loro indotto, significa scorrazzare su e giù per il mondo a cercare alleati e favori, incrementando così non solo la presenza militare ma anche quella economica, significa concretizzare nuovi poli geostrategici nei quali esercitare la propria egemonia ad uso e consumo delle multinazionali USA, significa avere sempre il controllo delle materie prime strategiche, le cui quotazioni, guarda caso, sono gestite dalla Borsa delle Merci di New York. Il miracolo è avvenuto, ossia un parto plurigemellare con clone (Saddam Hussein, Milosevic, Bin Laden e, ancora una volta, Saddam Hussein). Pare che per il momento le iscrizioni siano chiuse e che si riapriranno ad esaurimento delle scorte nemiche. Un altro importante punto da tenere presente è che la criminalità degli USA si esprime sotto altre forme, ad esempio i folli bombardamenti che hanno colpito Kosovo, Serbia e Irak hanno lasciato il loro ricordo di uranio impoverito, ovunque con conseguenze devastanti (aumento vertiginoso di tumori, linfomi, leucemie ecc.) Nel caso dell’Irak anche tanti militari americani ne sono stati colpiti. Si parla di “sindrome” la cui origine, per alcuni versi, è tenuta tutt’ora segreta. Se la politica imperialistico-genocida americana miete vittime in mezzo mondo, le cose non vanno molto meglio a casa loro. La nazione americana è infatti afflitta da problemi ben più gravi di quelli della vecchia Europa. La quasi assenza di “ammortizzatori sociali” degni di questo nome e di forme mutualistiche e pensionistiche assistenziali, fanno dell’America un paese ad alto rischio povertà, in particolare per chi perde il lavoro e per gli anziani indigenti. I problemi portati poi dall’ immigrazione e dal fallimento della società multirazziale, causano nel paese tensioni e caos, in particolare nelle grandi città e nel Sud degli States, dove, oltre all’altissimo tasso di disoccupazione, moltissime persone di colore vivono ancora in baracche del tutto simili a quelle in cui vivevano all’inizio del secolo, latrine all’aperto, niente acqua potabile, niente luce (solo allacciamenti abusivi), niente gas, niente sanità, niente scuole, niente di niente, solo la disperazione più totale che ha tolto a queste persone perfino le lacrime per piangere. Il sistema scolastico è al collasso. A parte gli esclusivi college ed università, gran parte delle scuole pubbliche nelle città sono dominate dall’anarchia, dalle bande rivali di neri, giamaicani, portoricani, messicani e così via. Gli insegnanti, terrorizzati, non possono fare altre che lasciar correre. Le violenze sono all’ordine del giorno ed il sistema non riesce o non “vuole” risolvere il problema. Il livello di istruzione nelle scuole pubbliche è incredibilmente basso. Il tasso di ignoranza e di analfabetismo aumenta vertiginosamente, non solo tra i giovani immigrati, ma anche fra i bianchi americani. Se poniamo la domanda: qual è la capitale del Portogallo ? negli USA solo due studenti su dieci risponderà che è Lisbona. In Europa la media è di sei su dieci (non è confortante, ma pur sempre meglio). I “valori” di cui si vanta tanto l’America, fanno ridere. A parte l’onnipresente bandiera a stelle e strisce e l’immancabile inno ad ogni cerimonia, commemorazione, festività o evento sportivo (elementi di immagine che vengono spesso evidenziati nei film e dalle TV), la società americana è una società allo sfascio, senza valori (se non quelli puramente materiali), le famiglie si disintegrano dopo poco tempo, i divorzi, così come gli aborti, sono numerosissimi. Esiste un’America puritana, bigotta e perbenista, ma anch’essa è affetta dai mali indicati precedentemente, la sola differenza è che, grazie a tanta ipocrisia, li nasconde meglio. La realtà che vediamo, a volte, in televisione è filtrata e centellinata e inoltre, i media di qualsiasi tendenza, sono poco inclini a sbattere la nuda e cruda verità davanti agli occhi di tutti, per non essere accusati di anti-americanismo che non è “politicamente corretto” e porta sempre qualche spiacevole effetto collaterale. Quindi avanti con certe immagini ed interviste, che possono essere talvolta un’autocritica se non un autogol, ma “mirate” nella quantità e qualità, giusto per dimostrare che, tutto sommato, anche da loro esistono problemi da risolvere. Per mettere a nudo le mostruosità della società americana, bisogna, oltre a conoscerne la lingua, disporre di tempo e denaro, andare come semplici turisti e uscire dagli itinerari classici programmati per i visitatori stranieri, noleggiare un’auto, munirsi di mappe dettagliate, passare in mezzo alle cittadine meno conosciute, transitare per strade secondarie, inoltrarsi in quegli Stati che normalmente non fanno da richiamo per i turisti, parlare con la gente e, inoltre, prendersi qualche rischio. Si potrà così venire a contatto con una realtà mista, tra opulenza e disagio e conoscere una società che genera un’incredibile massa di imbecilli, di maleducati, di ignoranti e di obesi. Una società che non sa vivere, non sa mangiare che porcherie di cibi sintetici, che si rimbecillisce davanti alla TV e con realtà famigliari del tipo: padre alcolizzato o disoccupato, figlio drogato e madre ninfomane. Città e cittadine sporche (inclusa la mitica “Grande Mela”, cioè New York), con strade dissestate e piene di buche, topi ovunque, incuria, disordine, mancanza di igiene e, subito dietro l’angolo di lucenti palazzi, il popolo della miseria. Perfino la lingua di Shakespeare, in mano loro, è deturpata da “modifiche” linguistiche incomprensibili e da una pronuncia antipatica ed insulsa, un po’ come il miagolio dei gatti randagi. Estremamente allucinante è il fenomeno sugli abusi perpetrati sui minori. Migliaia di minori scompaiono ogni anno negli USA e, nella maggior parte dei casi, non fanno più ritorno a casa. Sono per lo più vittime di rapimenti da parte di pedofili, maniaci, sette religiose e trafficanti di “carne umana” destinata al mercato della prostituzione , dei film pedo-pornografici e del commercio degli organi. La polizia e l’FBI non riescono a risolvere che pochi casi. La tanto decantata efficienza che viene propinata nei film alla TV è una gigantesca panzana. La realtà sta esattamente all’opposto. Lo stesso vale per la droga, della quale gli USA sono i maggior consumatori al mondo. Un mercato talmente gigantesco e redditizio che vanta complicità nelle alte sfere del governo americano, tra le alte gerarchie militari, tra le autorità doganali e di polizia. Questa cricca di delinquenti è direttamente e indirettamente implicata ai più alti livelli del narcotraffico ed è uno dei motivi per i quali, le varie campagne anti-droga e i vari “sequestri” di partite di stupefacenti, altro non sono che lo “zuccherino” per i media e l’opinione pubblica. In verità non c’è nessuna volontà di reprimere il fenomeno, in quanto il lucro che ne deriva, corrompe chiunque. Gli americani, quindi, durante e dopo la guerra, non ci hanno portato solo la cioccolata, la gomma da masticare, i pop-corn e gli hamburger, ma, lentamente, hanno inondato il continente europeo con le loro mode, i loro aberranti sistemi di vita, il loro marciume, la loro totale assenza di etica, di dignità e di moralità. Tanti fenomeni aberranti, per lo più sconosciuti nel dopoguerra in Europa, ci sono stati “generosamente” donati dagli americani e noi, stupidi “sconfitti”, ci lasciavamo catturare ed ipnotizzare da quei modelli che ci dicevano essere all’avanguardia, moderni, anti-conformisti, simboli di libertà e diritti conquistati, mentre invece altro non erano che i semi del male, il concime che avrebbe generato tutte le forme di degenerazione sociale e tutte le aberrazioni di cui siamo purtroppo oggi testimoni e che infettano, per prime, le giovani generazioni. Se potessero, gli americani, cambierebbero in DNA agli europei, sostituendolo con uno fatto da loro in laboratorio. Infatti, nonostante tutto, l’America si accorge che l’Europa non è stata ancora del tutto “contagiata” e che esistono ancora forti resistenze al processo di americanizzazione e questo fa ben sperare. C’è chi dice che gli anti-americani sono tali perché invidiosi della superiorità culturale, finanziaria, tecnologica e sociale di quel paese. In verità, il fenomeno dipende da un esame accurato di quello che sono oggi gli Stati Uniti, quello che furono in passato e che intendono essere in futuro. La razionalità, la logica e la ragione impongono, tuttavia, che l’antiamericanismo sia indirizzato maggiormente verso le élites dirigenziali ed affaristiche del paese, che non nei confronti del popolo in generale o dell’americano medio. Va detto innanzitutto, che la società americana è divisa in due tronconi netti, coloro che riescono e coloro che non riescono ( in poche parole: vincenti e perdenti ). I primi sono quelli che, grazie all’accesso ad un’adeguata istruzione e a disponibilità finanziaria, riescono ad entrare nell’immensa macchina della competitività americana, in ogni settore, pubblico e privato; il che garantisce loro un buon tenore di vita, casa di proprietà, auto di grossa cilindrata, iscrizioni a circoli o club esclusivi, coperture assicurative per sanità e pensione. I secondi sono, ovviamente, quelli che non riescono ne a fare ne ad avere quanto sopra descritto. I più fortunati di loro possono vivere dignitosamente, senza però potersi permettere determinati “accessori” e questo, in America, non è visto bene. Il proverbio “chi si accontenta, gode” negli USA è un’eresia, una frase da non pronunciare, la classica firma del mediocre che una società competitiva, e quindi emarginante, rifiuta. Negli USA, la così detta “classe media” è messa nel secondo troncone, cioè in quello dei perdenti. La tanto decantata “libertà” americana esiste, ma non è altro che il secondo atto di un sistema in cui si può accedere dopo aver compiuto il “dovere” di far soldi e di imporsi sugli altri. Un sistema crudele e disumano a tal punto che se ci si ammala e si hanno bisogno di cure ospedaliere, il medico, prima ancora di iniziare a curare il paziente, deve verificare se questi ha il tesserino dell’assicurazione sanitaria e il suo plafond di massima copertura. Se le cure previste rientrano nella copertura, va bene, altrimenti si viene spediti in ospedali o centri di serie B, che ricevono qualche sussidio dallo stato, con servizi e medici di serie B che si accontentano di stipendi inferiori, con scarse specializzazioni, che si avvalgono di personale volontario e che fanno, ovviamente, quello che possono in base agli strumenti ed alle capacità di cui dispongono. Chi ha seri problemi di salute e necessità di terapie particolari, per non parlare di trapianti, e la propria assicurazione è insufficiente, può tranquillamente crepare in tutta libertà, la famosa “libertà” americana. Lo stesso discorso vale per la pensione. O te la sei fatta durante gli anni lavorativi o vai a fare il barbone nelle maleodoranti periferie cittadine. Per quanto possa sembrare logico e normale, non si tiene in considerazione che non tutti possono accedere, durante la propria vita, ad un lavoro stabile e ben retribuito, visto che il sistema neo-liberista statunitense prevede facili licenziamenti, a discrezione dell’azienda. Inoltre gli stipendi di operai e impiegati delle fabbriche non sono un granchè per potersi permettere di pagare le “certezze sociali” della “libera” America. Non c’è quindi nessun tipo di invidia in una società che di superiore non ha proprio niente, in una società dove troppo spesso ci si rivolge a psicologi, avvocati e giudici, in una società isterica e sclerotizzata, dove tanti sognano di andare ma a patto di svolgere ruoli di prestigio per poi ritornare in patria e raccontare i soliti luoghi comuni dell’America, un paese nel quale non ci si dovrebbe mai augurare di nascere.
GIAN FRANCO SPOTTI
SORAGNA (PARMA)
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