"La Rivoluzione si fa attraverso l'uomo, ma l'uomo deve forgiare giorno per giorno il suo spirito rivoluzionario" Ernesto "Che " Guevara |
L' eroe di Santa Clara appartiene a quella categoria di personaggi che se scevri da schematismi preconfezionati, immediatamente affascina. Sfortunatamente però, gli schematismi ci sono e, soprattutto nel Belpaese, fondato sulla Resistenza e con l’eterna contrapposizione tra fascisti e antifascisti, costituiscono la regola. Tutti devono allora rientrare nelle gabbie ideologiche per poter essere facilmente etichettati, o da una parte o dall’altra. Che Guevara rappresenta, in questo campo, il classico caso da manuale. Da sempre definito comunista e da sempre “sbandierato” ad ogni raduno di piazza, è in realtà un personaggio anomalo, che differisce enormemente per pensiero e contenuti dalla sinistra europea di matrice comunista. Non prendendo in considerazione alcune biografie particolarmente agiografiche, secondo le quali leggeva Marx già alle elementari, possiamo affermare che la sua formazione politica avviene principalmente “sul campo”: i suoi lunghi pellegrinaggi lungo tutto il continente sudamericano lo portano a conoscere povertà e governi fantoccio, il cui responsabile è individuabile negli Stati Uniti e nella sua politica di sfruttamento. Del Cile, in Latinoamericana, scrive: «è un paese ricco di risorse, mai il suo futuro dipende dalla capacità di scrollarsi di dosso la dipendenza dagli Stati Uniti». Stesse considerazioni le farà per il Venezuela ed il Perù. Nel dicembre del 1952, in Guatemala, conosce Hilda Gadea, militante di un’organizzazione nazionalista peruviana che gli fa conoscere i primi testi di Marx. Nello stesso Paese è al potere un governo che ha attuato una riforma agraria e che, nazionalizzando le ferrovie, si è scontrato con la statunitense “United Fruit”, suscitando le ire degli Stati Uniti che, dopo aver fatto approvare dalla X Conferenza interamericana dell’Organizzazione degli Stati americani (1954) una mozione che autorizza interventi militari «in tutti gli stati membri dominati dal comunismo», bombarda il Paese. L’ottima scusa giunge, secondo un copione già visto, dopo la scoperta nel porto guatemalteco di Puerto Barrios di un carico di armi proveniente dalla Cecoslovacchia e indirizzato, secondo gli americani, a fomentare le rivolte“filo-comuniste”. Che Guevara assiste così, impotente, all’ennesima scorribanda militare degli Stati Uniti nel continente Sudamericano. Egli è un giovane impregnato di idealismo e di eroismo, alla continua ricerca di avventura e pericolo. Nel discorso pronunciato il 18 ottobre 1967, durante la veglia solenne in sua memoria, Castro ricorda: «Il Che non cadde per difendere un altro interesse, per difendere un’altra causa che non fosse la causa degli sfruttati e degli oppressi di questo continente [...] il Che era, dal punto di vista militare, un uomo straordinariamente aggressivo. Se come guerrigliero aveva un tallone d' Achille, quel tallone d’Achille era la sua eccessiva aggressività, il suo assoluto disprezzo del pericolo». E lo definisce come una persona a cui tutti si affezionavano immediatamente «per la sua semplicità, il SUO carattere, la sua naturalezza, il suo cameratismo [...]». Tutto ciò ricorda ben poco l’ideale comunista. La bella morte, il sacrifico e l’abnegazione hanno sempre caratterizzato altri lidi. E lui stesso, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, afferma di essere vittima dell'avventurismo e dell'ideale romantico: «molti diranno che sono un avventuriero, e lo sono; solo che di un tipo diverso, di quelli che rischiano la pelle per dimostrare le proprie verità». Ripercorrendo i motivi per i quali si unì a Castro nel 1955, afferma: «per un vincolo di romantica simpatia e la considerazione che valeva la pena morire su una spiaggia straniera per un ideale cosi puro», e in una lettera ai genitori prima di partire: «un po' di tempo fa, un giovane leader cubano mi ha invitato a entrare nel suo movimento, un movimento armato che vuole liberare la sua terra, e io ho accettato». Un movimento armato che vuole liberare la sua terra, appunto. Ciò che lo spinge a combattere è il suo desiderio di liberare e rendere indipendenti i popoli del Sudamerica, da sempre colonia degli Stati Uniti, non di riunirli in un’unica informe massa internazionalista. Con questo spirito combatte per un paese che non è il suo e, a cose fatte, ricomincia daccapo, da un’altra parte, dove troverà la morte. Quando Peròn viene deposto, nel 1955, scrive alla madre: «Ti confesso con tutta sincerità che la caduta di Peròn mi ha profondamente amareggiato; [...] l’Argentina era il paladino di tutti noi che pensavamo che il nemico fosse al nord. Per me, che ho vissuto le amare ore del Guatemala, si è trattato di un calco a distanza». E interessante notare altresì l’analisi che Guevara fa della finanza internazionale e del potere coercitivo del debito. Trascriviamo qui, per evidenti ragioni di spazio, un solo pensiero, tratto da Il socialismo e l’uomo a Cuba, dove, in riferimento alle leggi del capitalismo, che ritiene invisibili ed incomprensibili ai più, riporta l’esempio della famiglia dei Rockefeller: «La quantità di povertà e di sofferenza richieste per l’emersione di un Rockefeller e la quantità di depravazione che l’accumulazione di una fortuna di tale grandezza richiede, sono lasciate fuori dal quadro generale e non è sempre possibile farne intendere la portata alla gente». La sua visione della società - nemmeno interclassista, bensì anti-classista -, il suo pensiero verso l’uomo in generale - considerato non secondo schemi materialistici, ma umanitari ed idealistici - lo differenziano una volta di più dal pensiero classico marxista. Parla senza distinzione di origine o collocazione in classe e non riconosce il ruolo fondamentale della classica classe operaia, anzi talvolta ne critica l’egocentrismo: «Resta ancora nella classe operaia molto di quella mentalità che si limitava a mettere in luce una sola differenza, da un lato l’operaio e dall’altro il padrone, una mentalità semplicistica che conduceva tutte le analisi a quell'unica grande divisione: operai e padroni». Ne Il socialismo e l'uomo a Cuba parla del lavoro come «lo specchio dove l’uomo si può riflettere e realizzare la propria statura», e questa concezione lo allontana ancora più dalla visione alienante del comunismo, per avvicinarlo ad un idea comunitaria dove ognuno deve riconoscere le proprie possibilità. Il sentimento patriottico ed indipendentista del comandante, insomma, lo rende quanto mai lontano dalle posizioni dei compagni europei che hanno sempre lavorato in una direzione opposta: Che Guevara combatteva per l’indipendenza dei popoli. Padroni a casa propria. Altri combattevano per l’assoggettamento del proprio popolo ad entità straniere. Tutto ciò ad ulteriore prova che quello che viene definito in Sudamerica “comunismo”, buona ragione per essere represso in quell’area, è parallelamente liquidato in Europa come “fascismo”, buona ragione per reprimerlo in quest’altra. Ed il tutto a vantaggio di quei poteri che vedono nella nascita di un sentimento nazionale un ostacolo ai propri interessi economici.
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