1. In quale sistema di coordinate esaminare il fenomeno del "finanziarismo"
Il capitalismo finanziario rappresenta una variante casuale della sostanza comune dello sviluppo del sistema capitalistico? Oppure è l'estrema incarnazione di tutta la sua logica, il suo trionfo?
La risposta a questa domanda non si trova nei classici del pensiero economico, dato che il loro orizzonte era limitato alla fase industriale dello sviluppo, la tendenza generale e la pregnanza di senso economico della quale essi (soprattutto i marxisti) indagarono in modo corretto e completo. La società postindustriale costituisce per molti aspetti una realtà oscura. Nel suo studio non esistono classici riconosciuti, sebbene molti autori abbiano gettato uno sguardo molto approfondito su questo fenomeno. Allora, comprendere il "finanziarismo" tocca proprio a noi, che ci piaccia o no.
Perfino per potersi accingere ad un'adeguata disamina di questo tema, occorre gettare uno sguardo sulla storia del paradigma economico, ritrovarvi il posto del "finanziarismo" non semplicemente dal punto di vista della cronologia quantitativa, bensì dal punto di vista della rilevanza qualitativa di questo fenomeno nel contesto generale dello sviluppo dei modelli economici.
Ma già qui, allo stadio zero di impostazione del problema, ci imbattiamo in un'incertezza, che erode il quadro dell'analisi. Esiste davvero un'unica storia dell'economia? Una tale storia è esistita, per di più in due (o tre?) versioni alternative. Questa storia dell'economia è riconosciuta così da posizione liberale (il capitalismo è l'espressione del moderno e più progressivo paradigma dell'economia), come da posizione marxista (il socialismo e il superamento del capitalismo sono il moderno e più progressivo paradigma dell'economia). Vi fu ancora un terzo indirizzo (cioè la "eterodossia economica"), la quale in assoluto rifiutava di valutare il paradigma economico secondo questa rozza formula (progressivo - non progressivo) come gli economisti classici. Ma questa scuola economica della "terza via" (della quale ho esposto una relazione nel quadro della "Collezione Economico-Filosofica"), nonostante la presenza nei suoi ranghi di economisti e filosofi di alta classe, rimase marginale.
2. Valutazione problematica del finanziarismo nell'ottica marxista
Gli avvenimenti degli ultimi dieci anni hanno mostrato un netto successo della linea storica dell'economia liberale. E proprio nella cornice del pensiero economico e filosofico liberale sono nate le prime teorie della società post-industriale. Il pensiero socialista è rimasto interamente entro i confini del paradigma industriale, e il dramma del crollo del sistema sovietico immette nella storia di questa disputa concettuale accenti inequivocabili.
Il sistema liberale ha saputo
- eludere le rivoluzioni socialiste;
- dissolvere il proletariato:
- prevenire il suo consolidamento in partito rivoluzionario attivo su scala mondiale;
- vincere la guerra ideologica con il campo socialista.
Sotto questi aspetti, il modello liberale è riuscito a superare la minaccia del marxismo.
Oltre che con una posizione di vantaggio tattico, qui noi abbiamo a che fare con importantissima conclusione concettuale. Riconosco che per un gruppo di determinate concezioni del mondo questa conclusione sarà accettata con molta difficoltà, che il pensiero stesso di tale generalizzazione a qualcuno apparirà offensivo. E tuttavia, una gran quantità di fattori ci avvicinano al pensiero, che proprio il paradigma liberale - cioè specialmente il Capitalismo conseguente - costituisce il paradigma economico che incarna in sé lo spirito stesso del mondo moderno. Il liberal-capitalismo si è rivelato essere il più attuale regime economico, più del socialismo (e degli altri modelli economici della "terza via").
Ma se è così, allora i sistemi socialisti devono essere decifrati a posteriori non come meno adeguati, ostentando tuttavia il moderno paradigma dell'economia. E' tutto enormemente più complesso: l'orientamento anticapitalistico e la premessa filosofica, giacente nel fondamento stesso del modello economico del socialismo, si rende visibile come specie delle tendenze antimoderne relativamente all'economia, ma non solo rispetto ad essa. Non un vicolo cieco, ma l'ultimo combattimento (velato, stilizzato esteriormente sotto la "modernità) del paradigma antimoderno di una visione del mondo, che si esprime nella teoria e nella prassi economica (vedi A. Dughin, "Il paradigma della fine" in Elementy n.9).
Oggi la posizione socialista vale meno del due di picche: non basta (non solo), che le previsioni di Marx sulla transizione dell'Occidente industrializzato al socialismo si sono realizzate in Oriente nel modo agrario-asiatico di produzione, ma è battuto anche un ultimo argomento - il fatto dell'esistenza del marxismo (e del marxismo vittorioso, realizzato, sia pure volontaristica, blanquista - leninista) in vasti settori del pianeta.
Come in questa situazione pervenire a che proprio il socialismo costituisca un fenomeno più "progressivo", a quel significato che lo stesso corso della storia mondiale (la famigerata necessità storica) vada proprio nella direzione di esso? Non è possibile. Si pone sempre più chiaro questo fatto, che il socialismo costituisce il risultato di un risoluto sforzo generale, il prodotto non dello stesso corso oggettivo della storia, ma precisamente l'insurrezione contro questo corso oggettivo, frutto di una insurrezione eroica e di un atto di eroismo psicologico morale, nel quale la massima tensione ha riunito in un abbraccio l'élite rivoluzionaria e la massa della nazione. La specificità geografica e culturale dei paesi dove il socialismo ha vinto non emerge in questo contesto come una casualità, ma come un fattore importante seppure non risolutore. La geopolitica corregge l'economia politica (vedi A. Dughin, "Il paradigma della fine", cit.).
Il socialismo vinse nei paesi dell'Oriente, sul piano culturale, storico, etnico e religioso avversario degli orientamenti e delle priorità occidentali. Il messianismo escatologico eurasista russo (ed ebraico eterodosso) dei commissari si rivelò un argomento ben più ponderoso che non le raffinate astrazioni dell'economia politica. L'universalismo marxista non si dimostrò altrettanto valido. E il marxismo come mezzo linguistico concettuale andò in rovina con l'Impero russo-Sovietico.
Il tentativo di decifrare oggi il fenomeno del "finanziarismo" in un'ottica marxista ortodossa rimane notoriamente infruttuoso, perché l'ortodossia stessa oggi è distrutta. Ad essa si presenta preliminarmente il compito di superare la sfida più seria: una non contraddittoria spiegazione marxista dei paradossi del XX secolo e soprattutto del destino tragico del socialismo nel suo ultimo decennio. Soltanto dopo di questo sarebbe possibile muovere oltre. Ma il marxismo, avendo superato tale compito, sarebbe ancora in tutto e per tutto il marxismo ortodosso di prima? E' difficile.
Così, il liberalismo ha tutte le basi per analizzare il "finanziarismo" secondo la sua personale ottica. Il movimento verso un'economia puramente finanziaria sarà in questo caso uno stadio più moderno e più "progressivo". Nella misura in cui il capitalismo stesso è moderno e "progressivo", altrettanto "progressivo" e "moderno" è il finanziarismo.
3. "Dominio reale del Capitale"
Il liberalismo ha assimilato dalla visione del mondo socialista (e perfino dal marxismo) ciò che dal punto di vista paradigmatico non ha contraddetto i fondamenti della logica capitalistica, e ha distrutto le rimanenti forme - in effetti rigorosamente alternative - al termine di una guerra ideologica, economica e geopolitica.
La fase di sviluppo post-industriale del capitalismo, quando, propriamente, è transitato allo stadio di economia puramente finanziaria, è coincisa con la globalizzazione e totalizzazione dello stesso paradigma liberale. Il finanziarismo è un modulo di stadio dello sviluppo del paradigma capitalistico. E inoltre, un modulo legato alla trasformazione di questo paradigma in qualcosa che non ha alternative. Il finanziarismo è un limite logico, verso cui è attirato lo sviluppo più autosufficiente del Capitale.
Marx (nel VI libro inedito del "Capitale") descrisse questo come ciclo possibile del "dominio reale del capitale", che sopraggiunge qualora nella precedente fase del suo "dominio formale" il soggetto proletario alternativo, rivoluzionario, non abbia vinto la battaglia. Questo tema marxiano della non predeterminazione, riguardo all'esito finale della battaglia mondiale fra Lavoro e Capitale, era temuto come il fuoco dal marxismo ortodosso. (Vedi Jean-Marc Vivens, "Dal dominio formale del Capitale al suo dominio reale", in Elementy n.7).
Così, sorge il pensiero di collocare il "finanziarismo" nella zona escatologica della storia economica dello sviluppo capitalista. Tale approccio sarà perfettamente corretto dal punto di vista della principale tendenza dello sviluppo capitalistico, che consiste nel progredire dell'alienazione. All'inizio nell'alienazione dei risultati del lavoro dai produttori, in seguito nell'alienazione del plusvalore, in seguito nell'alienazione dell'intera sfera della produzione nel sistema del credito bancario, e infine nella traduzione dell'intera economia nel modus della speculazione finanziaria virtuale.
4. Liberalismo come alienazione, "progresso" come decadenza
Il finanziarismo corona la logica del capitalismo e rappresenta in sé l'ultimo (supremo) stadio dell'alienazione.
Proprio in tale processo di totale alienazione si mostra chiaramente il corso naturale dello sviluppo storico nell'ottica della società tradizionale. Ma nella Tradizione sorge costantemente il tema degli eroi, dei profeti e dei salvatori, che resistono contro l'entropia storica, contro la gravitazione dell'esistente. (Come analogo a tale insorgenza "pre-escatologica" può essere annoverato a pieno diritto Marx e la sua dottrina). Ma presto o tardi anche questa iniziativa cade sotto la macina del destino, e le condizioni apocalittiche si aggravano.
Questo punto di vista tradizionalista presenta "progresso", "corso naturale del tempo", "modernità" come destino e male, come caduta inerziale di una massa pesante, come conseguente raffreddamento dell'essere. Per i tradizionalisti la storia è Alienazione.
La storia della civiltà è vista come alienazione in Rousseau (il "bon sauvage", guastato dalla società), in Hegel ("alienazione dell'Idea Assoluta") e in Marx ("allontanamento dal comunismo primitivo").
Il rivolgimento fortunato ("democrazia retta" in Rousseau, "Stato Prussiano" in Hegel, "Rivoluzione Mondiale" in Marx) ha luogo proprio nonostante l'inerzia della storia. Così la "fine del mondo" (secondo i cristiani - questo evento ontologicamente affermativo) viene dopo l'epoca dell'anticristo. E la venuta dell'anticristo si riconosce come l'esatto segno della prossima Seconda Venuta. Ma ciò, naturalmente, non significa che la notizia certa dell'approssimarsi della Seconda Venuta si diffonda allo stesso "principe di questo mondo". Nel massimo di alienazione vi è soltanto questo di buono; che, una volta giunto al limite, questo processo micidiale sarà stato sradicato dalla mano destra che punisce del principio trascendentale.
5. Economia finanziaria e dialettica del male
Il liberalismo è la naturale tendenza dello sviluppo della "filosofia dell'economia", autonomizzata, staccata dalle altre strutture sociali di valore nella sua incarnazione qualitativamente moderna. Il finanziarismo rappresenta in sé il picco dello sviluppo dell'economia moderna. Ossia - la costanza dello status quo.
Altra questione, come noi valutiamo il "finanziarismo" e più in generale la linea di sviluppo economico "liberal-capitalista" nel complesso. Se il "finanziarismo" ("dominio reale del capitale") si mostra a noi a tinte scure, allora noi (consapevolmente o inconsapevolmente) ci troviamo sulla piattaforma alternativa allo spirito all'attualità. E questo non va nascosto dietro frasi sul "progresso". Non fa per noi il corso naturale della storia (compresa quella economica), noi consideriamo immorale l'entropia storica e desideriamo opporci ad essa. In tal caso, occorre volgerci - in forma volontaristica, leninisticamente - non solo a tutto quell'arsenale di punti di vista "non finanziaristi" sull'economia, ma a tutti i modelli economici non moderni, anti-moderni, fondati sull'"eroico" (secondo il termine di Werner Sombart) impulso al superamento del corso malvagio del mondo contemporaneo.
Il "finanziarismo" non è un problema meccanico di una qualche deviazione del paradigma economico del capitalismo, ma una normale tappa del suo sviluppo - quella del suo trionfo a livello mondiale.
Lamentarsi del fatto che i volumi della speculazione finanziaria nelle borse mondiali superano più volte i bilanci dei paesi sviluppati, o che il trasferimento fittizio di capitali attraverso i computer della rete borsistica intralcia lo sviluppo dei settori produttivi reali, deviando gli investimenti verso le sfere dell'economia illusoria, è stupido e irresponsabile. L'alienazione della finanza dalla sfera produttiva, la virtualizzazione della sostanza economica sono il normale accordo finale dello sviluppo capitalistico.
6. L'indimostrabile imperativo della rivoluzione
Possiamo dirci completamente d'accordo con quelle così estreme prognosi catastrofiste che vengono fatte a proposito di tali tendenze etiche da analisti imparziali. Effettivamente, l'accrescimento dell'economia virtuale a danno del settore reale della produzione è foriero di catastrofe economica. L'elemento di informazione delle società post-moderne aspira a sostituirsi definitivamente alla realtà, rimpiazzandola con l'illusione del suo irruente sistema operativo. E ad un certo momento questo sarà fatale.
Ma questa, secondo l'ottica delle società tradizionali (e delle altre dottrine non liberali, antiliberali), è la logica assoluta di qualsiasi processo immanente, nel quale non intervengano (non possano se non vogliono intervenire?) principi trascendenti. Il capitale (come massima alienazione, come totale riduzione al principio materiale quantitativo) già da molto tempo ha aspirato ad essere il soggetto unico della storia umana. Nel "finanziarismo" ciò gli è riuscito. Nella rappresentazione ha vinto molto più facilmente che nel suo originale. L'economia fittizia virtuale sottopone a sfruttamento lo stesso principio di realtà - così come sottopone a sfruttamento le realtà dell'economia e la sua ontologia (sebbene questa ontologia non possa essere indipendente, essa di necessità deriva dalla più generale forma supereconomica metafisica e sociale).
L'antitesi al "finanziarismo" (perfino teoretica) non può essere manifestata nelle precedenti fasi dello sviluppo del capitalismo.
L'economia è soltanto una lingua, e in questa lingua è possibile formulare qualsiasi messaggio. Il modello liberale dell'economia ("economics") è il messaggio del trionfo dell'alienazione e dell'entropia, dell'atomizzazione dell'insieme sociale, politico, culturale e storico. Questo il messaggio dello "spirito moderno", il messaggio dell'Illuminismo. I "sinistri" (democratici radicali, Rousseau, socialisti, comunisti) ed i "destri" (fondamentalisti, tradizionalisti, integralisti) hanno da tempo decifrato la novella liberale (nei filosofi John Locke, Jeremy Bentham, John Mill e negli economisti Adam Smith e David Ricardo) come incarnazione del male nel mondo, come dissoluzione dell'essenza organica. E' questo lo spirito funesto, nichilistico della modernità, che si fonda sull'"esilio degli dèi" (M. Heidegger), sulla "morte e assassinio di Dio" (F. Nietzsche), sullo "sfruttamento" (K. Marx).
Il "finanziarismo" non è nulla di fondamentalmente nuovo, è il liberal-capitalismo nella sua forma più pura. E' la "modernità", completamente vittoriosa (vincente) sulla sua antitesi.
Perciò il dissenso nei confronti del "finanziarismo" su scala nazionale o planetaria non è possibile senza una rivoluzione globale della coscienza, senza un'eccellente revisione di ogni ideologia antiliberale, senza la formulazione di una nuova Alternativa integrale, per di più un'Alternativa non soltanto nei confronti del risultato (lo stesso "finanziarismo"), ma nei confronti della sua causa ("capitalismo" "liberalismo", "spirito moderno").
E' impensabile ricercare una simile Alternativa nella sfera della stessa economia. Essa dovrà essere trascendente rispetto all'intero complesso dei discorsi moderni, a tutta la "lingua della modernità". E solo dopo di ciò, quando sarà stato foggiato il paradigma filosofico globale della Rivoluzione Finale, quella alternativa potrà essere rivestita di forma economica, come metodo pragmatico di esposizione di un imperativo trascendente, induttivamente indimostrabile ed empiricamente non evidente.
Questa è la funzione dei "nuovi profeti", dei "nuovi salvatori", dei "nuovi eroi".
L'antifinanziarismo è soltanto il livello superficiale della più profonda e più radicale lotta al capitalismo e al liberalismo, l'esigenza della quale deriva non da interessi pragmatici, ma dalla profondità della dignità di specie del soggetto umano, che rinuncia perfino nell'abisso dell'abbandono di Dio a riconciliarsi con il mondo dissanguato, che insorge per una più elevata ontologia, per una nuova sacralità, per la giustizia e la fratellanza, per la libertà e l'uguaglianza.
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