1. Insufficienza degli schemi interpretativi
La questione ebraica continua ad eccitare le menti dei nostri contemporanei. Né l’ignorarla artificialmente, né le affrettate urla apologetiche, né la primitiva giudeofobia possono risolvere questo problema. Il popolo ebraico è un fenomeno unico nella storia mondiale. Esso segue chiaramente un sentiero etico-religioso completamente speciale, peculiare solo ad esso, portando avanti nei millenni una misteriosa e ambigua missione.
Qual’è il senso di questa missione? Come risolvere l’enigma degli Ebrei? In cosa consiste la mission des juifs, che così tanti pettegolezzi ispira?
E’ un tema troppo vasto per rischiare di coprirlo appieno. Perciò, dovremo limitarci soltanto al ruolo degli Ebrei nella storia Russa del XX secolo, dato che tale questione abbraccia dolorosamente un insieme di persone, indipendentemente dal campo ideologico cui esse appartengano.
Allo stesso tempo dovremo prestare attenzione al fatto che oggi non esiste alcuna trattazione di questo tema che sia convincente e completamente soddisfacente. Una parte degli storici è generalmente incline a negare la rilevanza del fattore ebraico nella storia Russa e Sovietica, il che è fare violenza alla verità. Sarà sufficiente guardare alla lista dei cognomi fra i principali bolscevichi e l’élite politica dello Stato Sovietico, e la sproporzionata quantità di nomi ebraici salterà all’occhio. Ignorare questo fatto, sviando a bella posta con affermazioni senza senso, è scorretto anche dal punto di vista puramente scientifico e storico.
La seconda versione concernente la funzione degli ebrei in Russia (URSS) nel XX secolo è caratteristica dei circoli nazional-patriottici di casa nostra. Qui il ruolo degli ebrei è rappresentato come qualcosa di esclusivamente negativo, sovversivo, di abbattimento. E’ la famosa teoria della «cospirazione ebraica», che fu particolarmente popolare tra le Centurie Nere [chernosotenny], successivamente circoli delle «guardie bianche». Da questo punto di vista, gli ebrei, seguendo un’unica tradizione etnico-religiosa e chiusi in una solitaria comunità condannata dallo status messianico, hanno coscientemente organizzato il distruttivo movimento bolscevico, hanno tenuto in esso le posizioni dominanti e hanno ridotto in pezzi l’ultimo baluardo dello stato, della cultura e della tradizione cristiana. I giudeofobi conservatori duri a morire hanno trasferito lo stesso modello interpretativo alla distruzione dell’URSS, imputandone la colpa agli ebrei, riferendosi al gran numero di rappresentanti di origine ebraica fra i ranghi dei riformatori. La debolezza di questo concetto è data dal fatto che le stesse persone sono simultaneamente accusate di aver creato lo stato Sovietico e poi di averlo distrutto, essendo alla massima guida della concezione socialista e antiborghese e poi agendo come i maggiori apologi del capitalismo. Inoltre, una conoscenza non faziosa della sorte dei bolscevichi ebrei mostra la loro convinzione completamente sincera nell’ideologia comunista, nel sacrificare prontamente la propria vita, cosa che sarebbe impossibile da concepire se dovessimo seriamente accettare la versione che li descrive come un gruppo di «cinici e falsi sabotatori». Nel suo complesso, questa versione antisemita non convince, pur essendo più vicina alla verità della prima, dato che al contrario di essa, riconosce l’unicità del ruolo degli ebrei nel processo storico. E’ curioso che una simile ammissione trovi d’accordo gli antisemiti ed i più coscienziosi e conseguenti sionisti.
La terza versione è propria dei giudeofili (fra cui sionisti). Essi insistono che gli ebrei sono sempre e comunque dalla parte del giusto, vittime di ingiuste persecuzioni da parte di svariati popoli, portatori di ogni valore positivo, morale, culturale e sociale. Questa posizione riconosce il ruolo-guida degli ebrei in tutti i principali processi storici della Russia, ma ovviamente afferma che, durante la Rivoluzione, come durante la storia Sovietica, come durante la perestroyka, gli ebrei svolgono un ruolo positivo personificando l’eterna verità, gentilezza, genialità, umanità. Se per tutti gli antisemiti gli ebrei agiscono come un male monolitico, e questa diagnosi non è soggetta a dubbio neanche quando essa risulta produrre complete assurdità logiche e storiche, per i giudeofili la versione è esattamente l’inversa: in essa gli ebrei sono sempre buoni, anche quando questo contraddice categoricamente l’obiettiva verità dei fatti. Di conseguenza, neanche questo approccio estremamente apologetico può essere esaustivo, essendo costruito sin dall’inizio da interpretazioni aprioristiche e forzate.
2. Una nuova versione
Ci si lasci constatare che l’interpretazione antisemita e sionista del ruolo degli ebrei nella moderna storia russa-Sovietica emana da una certa presunzione di profonda unità ebraica, unità di riflessione storica e di volontà. In altre parole, la tendenza sembra essere quella di considerare gli ebrei non semplicemente come un ethnos affianco agli altri, ma come una sorta di organizzazione, partito, ordine, lobby di sé stessi.
Viceversa, una diversa versione riconosce che un’unità degli ebrei non esiste e che, così come nel caso di ogni altro popolo, ogni ebreo agisce da sé nella storia, dal proprio «Io», come una persona, che solo nel suo retroterra, in senso minore, psicologico, è definito dai fattori etnici – e conseguentemente il termine «ebraismo», come sia gli antisemiti che i sionisti lo concepiscono, non ha ragione di esistere.
Mettendo da parte questi approcci per via della loro pressoché ovvia negatività, vogliamo offrire una versione differente. Se non siamo soddisfatti dall’approccio considerante unicamente la personalità, né da quello onnicomprensivo – cioè né il concetto di un’incerta pluralità, né quello di una compatta unità – è naturale sospettare l’esistenza di un qualche modello intermedio. E’ sensato parlare di un’interna dualità degli ebrei, della presenza in questo unico ethnos non di una singola volontà, ma di due volontà, due «organizzazioni», due «ordini», due centri di riflessione storica, due scenari del percorso messianico. Tale approccio dualistico ci darà una prospettiva completamente nuova e in molti aspetti inaspettata nella descrizione di questo fenomeno così complesso.
Ma il nostro punto di partenza in questo assunto è dovuto soltanto a un metodo deduttivo, di logica formale. Verifichiamo adesso, a cosa questa dualità corrisponde nella pratica.
3. Orientali e occidentali fra i ranghi ebraici
Il noto autore eurasiatista Jacov Bromberg ai suoi tempi portò avanti un’idea molto simile nel libro «Sull’orientalismo ebraico». La sua argomentazione era che nell’ambiente degli ebrei russi potevano essere distinti chiaramente due gruppi antagonisti, rappresentanti archetipi psicologici e culturali polari. Un gruppo ha un’attitudine chassidica-tradizionalista. Le sue caratteristiche sono il misticismo, il fanatismo religioso, l’idealismo estremo, lo spirito di sacrificio, il profondo disprezzo per il lato materiale della vita, per l’avidità ed il razionalismo. In alcuni casi estremi tale tipologia mistica ebraica è trasferita dal particolarismo etno-religioso all’universalismo, diffondendo ideali di nazionalismo messianico in diversi popoli. Ma fuori dai suoi ambienti religiosi ortodossi, lo stesso tipo psicologico ha dato vita a ferventi rivoluzionari secolarizzati, marxisti, comunisti, populisti. E uno dei rami dell’ebraismo mistico si distinse non semplicemente per il suo astratto marxismo, ma per una profonda simpatia ed una sincera solidarietà col popolo Russo, specialmente con i contadini russi ed i lavoratori russi, cioè con gli elementi non appartenenti alla Russia ufficiale, zarista, ma a quella Russia parallela, nativa, del suolo, della terra, la Russia dei vecchi credenti e dei mistici, gli «incantati pellegrini russi». Ci riferiamo perciò al classico tipo degli ebrei-SR [partito Socialista-Rivoluzionario], le cui caratteristiche furono sempre e dovunque un’aperta tendenza russo-nazionalista ed un conseguente e profondamente radicato nazional-bolscevismo.
Bromberg consolida questo ambiente chassidico-marxista, mistico-socialista in un singolo gruppo – l’«orientalismo ebraico». E’ la «frazione eurasiatica» dell’ebraismo. Un altro celebre storico, il sovietico Mikhail Agursky, giunge a simili conclusioni nella sua epocale opera «L’ideologia del nazional-bolscevismo», dove risale alle fonti della russofilia così diffusa nel circoli rivoluzionari ebraici, e che fu così caratteristica delle molteplici figure nazional-bolsceviche Sovietiche di derivazione ebraica – in particolare, dei maggiori ideologi di questa correne, Isaiah Lezhnev e Vladimir Tan-Bogoraz. Molti ebrei videro nel bolscevismo una possibilità di unirsi, finalmente, ad un popolo più grande, di lasciare il ghetto e le sue caratteristiche per unire escatologicamente il messianismo russo a quello ebraico sotto la comune egida della rivoluzione eurasiatica, la distruzione delle leggi alienanti del capitale e dello sfruttamento. Così, i circoli estremi degli ebrei est-europei mistici (dai chassidici ai sabbatei) rappresentarono un ambiente fertile per i bolscevichi, i Socialisti Rivoluzionari e i marxisti, e non a caso la maggioranza dei leader rossi vennero da famiglie chassidiche ed enclavi avvolte da pathos escatologico, mistico, messianico. A dispetto dell’esteriore paradossalità di questa vicinanza, fra il tipo chassidico del fondamentalista ebraico e i costruttori della società bolscevica atea c’era una connessione interiore tipologica e psicologica, perché sia la prima che la seconda appartenevano alla parte «eurasiatista», «orientalista», mistica-irrazionalista dell’ebraismo.
Il gruppo opposto comprendeva in sé un tipo ebraico completamente differente, razionalista, borghese, freddo nei confronti della religione, ma, viceversa, appassionatamente immerso in elementi come l’avidità, il beneficio personale, l’accumulo, la razionalizzazione delle attività economiche. Questo è, per Bromberg, l’«occidentalismo ebraico». Ancora una volta, come nel caso dell’orientalismo ebraico, vediamo qui una combinazione di posizioni esteriormente polari. Da una parte, a questa categoria appartengono i circoli religiosi dei talmudisti estremi («rabbaniti»), eredi della linea ortodossa di maimonide, cioè la linea aristotelico-razionalistica della religione giudaica. Ai suoi tempi questa fazione talmudica lottò attivamente contro la propagazione nell’ebraismo di tendenze cabbalistiche e appassionatamente mistiche contraddicenti lo spirito e la forma mitologica dell’arida teologia creazionista ebraica (per maggiori dettagli, si veda la magnifica analisi di questo tema in Gershom Scholem, «La Kabbalah e il suo simbolismo», «Le fonti della Kabbalah» ecc). In epoca più tarda, i suoi leader agirono aggressivamente verso lo pseudo-messia Sabbatai Zevi, leader messianico dell’eterodossia mistica ebraica. Nei secoli XVIII e XIX fu da tale ambiente che si formò il partito dei cosiddetti «mitnagedov» (letteralmente gli «oppositori», in ebraico), che lottò disperatamente contro il chassidismo e la rivivificazione del misticismo fra gli Ebrei est-europei. Questo ambiente era basato sul razionalismo religioso, sulla tradizione talmudica priva di ogni sedimentazione mistico-mitologica. Abbastanza stranamente, alla stessa categoria di Ebrei appertennero anche le figure del «Kashkali», dell’«illuminismo ebraico», che incitarono alla modernizzazione e alla secolarizzazione degli Ebrei, rifiutando le pratiche religiose e le tradizioni in nome dell’«umanesimo» e dell’«assimilazione» con i «popoli progressisti dell’Occidente». In Russia questo tipo ebraico, anche se inclinato all’estremo opposto in relazione al regime conservatore nominalmente monarchico-ortodosso, si collocò su posizioni occidentaliste e liberali. Alla sommità delle aspirazioni di questo gruppo fu la rivoluzione di Febbraio, che soddisfaceva completamente le ambizioni borghesi, razionaliste e democratiche di questo tipo. Dopo la rivoluzione bolscevica l’«occidentalismo ebraico» fece completamente blocco col fronte dei Bianchi, e a dispetto della sua affinità razziale con i leader bolscevichi, non si riconobbe con gli «orientalisti ebraici» universalisti e mistici.
Proprio come i Russi furono divisi durante la rivoluzione fra «Bianchi» e «Rossi» - anche sulla base di profonde caratteristiche archetipiche (ma questo richiede una discussione a parte), - anche l’ebraismo fu diviso in senso politico lungo una linea delineata in precedenza, in due campi inter-ebraici – chassidici-cabalisti (bolscevichi), da un lato, e talmudisti-razionalisti (illuministi, borghesi-capitalisti) – dall’altro.
Così, la tipologia di Bromberg-Agursky basata su esempi storici riconferma tale conclusione, alla quale siamo giunti seguendo un percorso puramente logico: l’ebraismo, rappresentando l’unità etno-religiosa (cosa non ancora così ovvia!), è ciononostante essenzialmente diviso in due campi, due «ordini», due «comunità», due tipi, che in definite situazioni critiche mostrano non solo discrepanza, ma anche fondamentale ostilità. Ognuno di questi poli ha espressioni sia religiose che secolari, rimanendo essenzialmente uniforme. L’«orientalismo ebraico», «eurasiatismo ebraico» (citando Bromberg) o «nazional-bolscevismo ebraico» (citando Agusrky) comprende in sé stesso un livello religioso – chassidismo, sabbateismo, kabbala – e un livello secolare – marxismo, socialismo rivoluzionario, populismo, bolscevismo.
Anche l’«occidentalismo ebraico» è duale; sul piano religioso coincide con il razionalismo talmudico di maimonide (e più tardi con i didascalici centri «gaoni», i «mitnagedov», i circoli anti-chassidici), e sul piano secolare si esprime nell’umanismo «illuminato», liberal-democratico.
4. Due esempi
La fondamentale dualità da noi portata alla luce spiega istantaneamente una serie di fattori rimasti non chiariti e paradossali nelle varie metodologie interpretative. In particolare, si raggiunge una spiegazione logica del misterioso fenomeno del cosiddetto «antisemitismo ebraico». Così, la critica a Lassalle fatta da Marx, in cui Marx usò espressioni estremamente giudeofobiche, ed anche i passaggi marxiani considerevolmente anti-ebraici, identificanti il giudaismo col capitalismo, diventano completamente chiari, dato che l’ebreo Marx da ogni punto di vista appartiene senza ambiguità al tipo mistico-chassidico, messianico, che tradizionalmente vede nella borghesia e nel capitalismo – in cui un ruolo rilevante in senso sia filosofico che comune è ricoperto da ebrei – il nemico principale. Nel suo «Sulla questione ebraica» Marx scrisse: «Quali sono le basi secolari dell’ebraismo? I bisogni materiali, l’egoismo. Qual’è l’ideale terrestre dell’ebreo? Vendere. Chi è il suo dio terreno? I soldi.. I soldi – questa è la zelante divinità d’Israele. L’essenza empirica dell’ebraismo è il mercato». Si noti il sottolineare i termini «secolare», «empirico». Marx accenna a due lati. Uno di essi è quello materiale, immanente, che senza troppi convenevoli, marchia ed allontana come incarnazione della negatività (dobbiamo ricordare il ruolo veramente demonico, anticristiano, che Marx attribuì al Capitale). E’ necessario niente più che indovinare il secondo lato – non secolare, non empirico, trascendentale. Questo rappresenta, secondo la nostra ricostruzione, la mistica ebraica comunisticamente orientata.
Un altro esempio. A suo tempo, un gruppo di kabbalisti-zohariti (ammiratori kabbalisti del libro dello «Zohar»), seguaci del mistico-kabbalista Jacob Frank, si convertirono collettivamente al cristianesimo, «esponendo» i riti odiosi dei talmudisti (rabbaniti), nemici primordiali. Lo storico ebreo G.L.Shtrak nel libro «Il sangue nei credi e nelle superstizioni dell’umanità» descrive così il conflitto fra i seguaci di Frank e i talmudisti: «Nel 1759 essi [i frankisti, NdA] comunicarono all’arcivescovo Bratislav Lyubensky che desideravano il battesimo, come un cervo desidera una fonte d’acqua, e tesero a dimostrare “che i talmudisti spillano più sangue innocente cristiano che i pagani, lo desiderano e lo usano. Allo stesso tempo, essi gli chiesero di designare loro un luogo in cui dimorare ad est di Lemberg, così che potessero vivere del lavoro delle braccia, mentre “i talmudisti-shinkari coltivano ubriachezza, bevono il sangue dei poveri cristiani e li riuniscono all’ultima cena”. (...) Poco dopo la disputa, sotto l’insistenza del clero Polacco, essi accettarono il battesimo di circa un migliaio di zohariti».
In questi due esempi vediamo un’unità d’opposizione spirituale su vari livelli. L’ateo Marx identifica il Capitale con la figura dell’«Ebreo», e su questa base c anche gli ebrei e la loro «divinità empirica». I mistici «frankisti» maledicono i talmudisti su basi completamente diverse, rimproverando loro – in accordo col livello dell’intera polemica – di «bere il sangue dei cristiani». Colpisce come negli zohariti emergano motivazioni sociali: «i rabbaniti riuniscono i cristiani all’ultima cena», e gli zohariti «vivranno del lavoro delle braccia». Il conflitto spirituale di mistici-mitologi, gnostici, zeloti e spiritualisti contro i moralisti religiosi, propugnatori del solo rito, formalisti del culto, è inconsciamente e naturalmente trasferito nell’opposizione fra socialisti e capitalisti, bolscevichi e liberal-democratici.
Già nella terminologia di Bromberg, non è affatto difficile identificare Marx e gli zohariti con l’«orientalismo ebraico», ed i capitalisti e i rabbaniti con gli «occidentalisti».
Tutto converge.
5. Ebrei contro ebrei
Adesso, proiettando lo schema interpretativo sulla storia Sovietica, riveleremo anche il ruolo che in essa ebbero gli Ebrei.
Come un tutt’uno, l’ebraismo alla vigilia della rivoluzione era unito nell’opposizione al regime esistente. La cosa riguardava entrambi i settori. Gli Ebrei-orientalisti si opponevano al capitalismo e al conservatorismo religioso, all’alienazione e al formalismo nella sfera culturale, desideravano un cambiamento rivoluzionario e l’inaugurazione del magico eone del regno messianico. Gli Ebrei-occidentalisti non accettavano lo zarismo per ragioni completamente diverse, incluso il suo regime arretrato, insufficientemente capitalista, civilizzato e umanista, e volevano perfezionarlo al livello della civilizzazione occidentale. Tutto l’ebraismo era solidale nella necessità di sovvertire la dinastia e di fare la rivoluzione. Nel farla, essi ebbero alleati sia tra la periferia nazionalista russa, che sognava di mandare in frantumi la «prigione dei popoli», sia tra i «nazionalisti di sinistra» dello stesso ambiente russo, che percepivano il regime Romanov-Pietroburghese come una parodia antinazionale, antipatriottica, anti-spiritule della genuina Sacra Rus’. Inoltre, svariati occidentalisti erano anche fra la nobiltà e la classe mercantile e capitalista russa, e complottavano per sradicare gli ultimi «giardini di ciliegie» di un’aristocrazia fortemente degenerata.
L’operato complessivo di tutte queste forze, una volta che ci furono le condizioni favorevoli, realizzò la rivoluzione di Febbraio. Ma immediatamente dopo di essa, le contraddizioni irrisolte nel campo dei vincitori emersero. Dopo il rovesciamento del regime imperiale, con tutta chiarezza una seconda linea di frattura (questa volta interna) si palesò, e questo predeterminò tutti gli eventi successivi. Dopo la rivoluzione di Febbraio, in primo piano si configurò un’opposizione fra forze rivoluzionarie ed evoluzionarie, orientalisti di sinistra e occidentalisti di sinistra, eurasisti ed europeisti. Questo fondamentale dualismo si rese evidente in modo molto chiaro anche nell’ambiente ebraico stesso.
Il polo bolscevico riunì al suo interno i rappresentanti dell’«orientalismo ebraico», di tipo chassidico-kabbalista, ebreo-comunista, ebreo-socialista – coloro che alla fine del XVIII secolo volevano «vivere del lavoro delle braccia». Questo ebraismo del lavoro, escatologico, universalista, prevalentemente russofilo solidarizzò con la corrente russa nazional-bolscevica degli «imperialisti di sinistra», vedendo nella rivoluzione di Ottobre non la fine del sogno nazionale, ma il suo inizio, una nuova alba rossa, la seconda venuta della Sovietica Rus’, il segreto Kitezh degli staroobryadetsi, perduto nel triste bicentenario della parodia sconsacrata sinodale di San Pietroburgo. Il bolscevismo assorbì passo dopo passo non solo i marxisti-ortodossi, ma anche un gran numero di Socialisti Rivoluzionari, specialmente quelli di sinistra, che potrebbero essere identificati come l’omologo russo dei nazional-rivoluzionari. In una parola, l’organizzarsi degli ebrei nei ranghi bolscevichi rappresenta la logica e trionfale conclusione del percorso storico dell’enorme settore organico ebraico le radici del quale risalgono a distanti dispute religiose del Medio Evo.
Come nemici di questa comunità escatologica di «Orientalisti ebraici» si ersero i capitalisti di tutto il mondo, e specialmente gli ebrei borghesi, secolari, empirici (nell’espressione di Marx), moderna incarnazione degli antichi rabbaniti. Da qui anche il paradossale «antisemitismo» bolscevico, non estraneo anche a molti comunisti ebrei. Angurskiy riferisce nella sua opera un caso fra i più interessanti, quando l’ebreo Vladimir Tan-Bogoraz intercesse per un bolscevico russo che era si era spinto in una grezza tirata antisemita, non solo intercedendo ma giustificandolo appieno. Quanto somiglia questa storia a quella anzidetta degli zohariti! Comunque, scopriamo qualcosa di simile anche in altre sfere. Così, ad esempio, il famoso fondatore della loggia Bavarese di «Thule» che avrebbe preparato la nascita del Partito Nazional-Socialista Tedesco dei Lavoratori, il barone Von Sebottendorf, a suo tempo venne iniziato alla «Massoneria Egizia» in Turchia da una coppia sposata di ebrei sabbatei e da essi ricevette le basi della scienza esoterica. Ma in questo modo, egli si differenziò dal manifesto antisemitismo (per non parlare di quello dei nazisti ordinari). Una traccia ebraica (specie sabbatea) può essere trovata anche in tutta una serie di organizzazioni fortemente nazionaliste, talvolta apertamente razziste e antisemite – come quelle Europee (massoniche), e dell’est (Giovani Turchi).
D’altro canto, l’antisemitismo può essere diretto anche verso il lato opposto, ed in questo caso i suoi propugnatori possono essere sia ebrei che politici da loro controllati. Così, ad esempio, sono diffusamente conosciute le espressioni antisemite di Churchill, il quale, riferendosi all’origine ebraica della maggioranza dei leader bolscevichi, parlò del «pericolo ebraico, che minaccia la civiltà dall’Est». Perciò, lord Churchill si appoggiò, nella sua carriera politica, ai circoli ebraici di destra della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, come Douglas Reed dimostra convincentemente. Per cui, così come esiste un ebraismo «di destra» e «di sinistra», esiste anche un antisemitismo «di destra» ed uno «di sinistra». Anche in questo caso, giungiamo ad uno schema interpretativo più complesso.
Da Febbraio ad Ottobre si estende uno spartiacque per le due metà del mondo ebraico, e fino ad un determinato momento questa opposizione assume le sue forme più dure. In casi estremi, i rappresentanti di entrambi i campi fanno ricorso nelle loro polemiche ad argomentazioni ben poco dissimili dalla più rozza vulgata antisemita. Ma non è tutto. Nel climax del confronto, lo scontro assume la natura di una guerra di distruzione fisica, come vediamo nel caso delle purghe di Stalin fra i ranghi del governo Sovietico.
6. Vivere del lavoro delle braccia
Non c’è dubbio che gli ebrei si differenzino per capacità uniche in alcune aree sociali, economiche e culturali. Secoli di diaspora hanno insegnato molto ad un piccolo ma resistente e persistente popolo che non voleva perdere il suo antico sogno, la sua religione millenaria, la sua remota promessa. Guardando a tutte le cose circostanti come a cose temporanee, svuotate, transitorie, gli ebrei hanno elaborato una serie di stupefacenti caratteristiche dinamiche che permettono loro di essere istantaneamente guidati nelle dinamiche sociali, nei veri processi rapidi su scala nazionale, scorrendo nell’ambiente dei «grandi popoli», i quali, «essendo sempre a casa», concepivano tutto con un definito ritardo, con riflessione rallentata, a posteriori.
Ma queste capacità possono essere utilizzate in modo diverso, in diverse situazioni. Così, gli ebrei-bolscevichi hanno unito tutti gli sforzi, i talenti nazionali, i poteri spirituali per la creazione del più potente stato Sovietico, impero di giustizia sociale, bastione eurasista della geopolitica terrestre. E gli stessi elementi della diaspora ebraica in Europa, America, Asia, provenienti dagli stessi ambienti religioso-spirituali, mistici, spiritualmente «orientalisti», «eurasiatici», furono per lunghi decenni un supporto strutturale per i sovietici, agenti geopolitici della Grande Eurasia, guide del bolscevismo messianico.
Furono essi a formare la Terza Internazionale, successivamente Komintern, la potente rete Eurasiatica, sottile agente di Mosca in ogni angolo del pianeta. Ma ancora una volta, dobbiamo ricordare come non si stia parlando semplicemente di ebrei, ma di una categoria speciale di ebrei, degli «ebrei eurasisti».
Inoltre, ad un determinato momento, questi ebrei-eurasisti «rosso-bruni» parteciparono anche alla creazione dello stato di Israele, avendo iniziato con la direzione (e l’approvazione) di Mosca una dura lotta con gli anglo-atlantisti, con le forze del capitale e della liberaldemocrazia. Essi costituirono l’asse delle forze di sinistra in Israele, un frutto dei cui sforzi furono i famosi kibbutz. Ancora una volta il «vivere del lavoro delle braccia» zoharita.
Gli apologeti dell’ebraismo in quanto tale, esibendo tutti gli ebrei come vittime estremamente innocenti, non possono spiegare in alcun modo il fatto che in tempi di severe repressioni, come le purghe Leniniane e Staliniane, gli ebrei furono non solo vittime, ma anche carcerieri, e non solo individualmente, personalmente, ma proprio come un gruppo, un partito, una fazione.
Questa circostanza – non spiegata né dal modello teorico antisemita, né da quello giudeofilo – è adesso spiegata, giacché sotto il potere sovietico la lotta interna all’ebraismo non cessò: gli elementi bolscevichi, «hassidici», «zohariti» conoscevano bene le abilità e gli umori da serpente dei propri correligionari, la loro tendenza agli intrighi, al camaleontismo, alla cospirazione, lottarono spietatamente contro l’elemento borghese dell’ebraismo e i residui degli «ebrei-occidentalisti», gli eredi dello spirito rabbanita, gli eredi ideologici dei «mitnagedov». Da qui deriva anche il paradosso – al centro delle purghe di chiaro accento antisemita ci furono sempre ed ovunque anche degli ebrei.
Un esempio classico di tale posizione è quello di Lazarus Kaganovich, il più leale seguace di Stalin, convinto e incrollabile nazional-bolscevico, che i nazionalisti russi, fraintendendo completamente, hanno ingiustamente trasformato in una figura emblematica di «cospiratore ebraico». Sarebbe invece difficile inventare un «anti-semita» (nel senso anti-talmudico del termine) più convinto di lui.
Su come il dramma interno all’ebraismo Sovietico ai tempi di Lenin-Stalin si sviluppò – questa fu un’appassionata, eroica epopea, ricca di alti e bassi, che (non ne dubitiamo) un giorno verrà adeguatamente narrata nei dettagli.
7. Dalla crisi al grande crollo
Il punto critico nella storia dell’eurasismo ebraico è il 1948. In quel periodo, Stalin e il suo entourage giunsero alla conclusione che la creazione dello stato di Israele – che inizialmente il governo Sovietico aveva entusiasticamente sostenuto (come costruzione chassidico-socialista) – si stava rivelando uno strumento dell’Occidente borghese, stando in esso prevalendo la linea dei capitalisti-«mitnagedov». Tendenze sioniste iniziarono ad essere risvegliate anche nell’ebraismo sovietico, e questo significò un passaggio dell’iniziativa nel dominio dei residui della fazione «occudentalista», il cui totale sradicamento era solo apparente ed i cui danni fecero sorgere i vigili sospetti degli ebrei-eurasisti.
Questo momento fu fatale – come dimostrato dagli ultimi eventi del nostro secolo – per tutto lo stato Sovietico e per il socialismo mondiale.
Quando la tendenza antisemita nel governo Sovietico crebbe oltre confini definiti – specialmente scandalosa fu la distruzione del comitato antifascista ebraico composto praticamente al 100% da convinti eurasisti e diretti agenti di Lavrenti Berya (cosa che testimonia soltanto a loro favore) – solo i più resistenti ebrei nazional-bolscevichi (lo stesso Kaganovich) riuscirono a rimanere incrollabili su posizioni russofile e sovieto-imperiali. In generale, agli occhi delle masse ebraiche l’influenza degli eurasisti fu sufficientemente indebolita, e la loro linea geopolitica e ideologica di base essenzialmente screditata. Allo stesso tempo, negli ambienti militari e di partito le posizioni di maggior potere iniziarono ad essere inaccessibili ad elementi gran-russi o piccolo-russi, nei quali era lontano dall’essere cancellato il pathos messianico del nazionalismo di sinistra, il nazional-bolscevismo messianico, fondante l’unione spirituale di eurasisti ebrei e russi fin dall’inizio del secolo.
Gli appartenenti alla nuova generazione concepirono sé stessi più come statalisti che come apostoli di una Nuova Verità, ereditando piuttosto lo spirito militare «romanoviano» della casta zarista di specialisti della guerra, non completamente sradicato dai bolscevichi – o il semplice sciovinismo populista dei contadini-lavoratoratori, con una certa componente di inflessibile, istintivo antisemitismo. Questi quadri dell’esercito, non conoscendo le rivoluzioni ed il supremo sforzo spirituale e storico che le accompagnano, non penetrarono nelle sottigliezze della politica nazionale. Per una singolare sordità riguardo questo tema si distinsero specialmente coloro che provenivano dall’Ucraina, che fino ad un determinato periodo – insieme con Khrushev – cominciarono ad occupare in modo sempre più netto i poteri supremi in URSS. E anche se, immediatamente dopo la morte di Stalin, Berya mise completamente fine alla «questione dei dottori» antisemita, l’irreparabile era ormai compiuto.
Subentrò così una crisi fatale. La corrente rivoluzionaria russo-ebraica, eurasiatica-continentale, internazional-imperiale, messianica, che era stata la colonna vertebrale del potere Sovietico, fu indebolita, spezzata, deformata alla base.
Lo Stato, l’autorità, gli organismi economici iniziarono ad operare per inerzia. Le purghe, alle cui basi giacevano nascoste le fondamentali ragioni ideologiche e meta-politiche di cui sopra, furono fermate, e al loro posto vennero i clan, l’«imborghesimento» progressivo del socialismo, il suo scivolare nel filisteismo, nell’insensatezza. Il pathos escatologico rivoluzionario svanì. Lo stato Sovietico rimase in piedi solo per inerzia. La base mondiale della rivoluzione escatologica eurasista si era essenzialmente trasformata in uno stato normale. Potente, grande, originale, ma privato del fervore e della sua originaria missione ecumenica.
Sul piano dell’ebraismo questo significò una completa sconfitta della fazione «hassidico-sabbatea» e la progressiva venuta al potere di ebrei-razionalisti, kantiani, umanisti, mitnagedov, occidentalisti. La segreta alleanza col nazional-bolscevismo finì, l’orientalismo ebraico venne presto marginalizzato. La sua influenza, le sue posizioni caddero catastroficamente.
Gradualmente il tipo dell’ebreo-bolscevico fu messo ai margini, e la leadership della comunità ebraica nell’URSS fu egemonizzata dai rappresentanti di Maimonide e del talmudismo. Spesso in una versione secolare, umanista-liberale.
Da allora in poi, questa frangia sionista di destra lavorò soltanto al crollo della formazione Sovietica, preparò il grande crollo del socialismo, minò dall’interno le basi di una gigantesca costruzione geopolitica. All’unisono con questa distruttiva tendenza anti-eurasiatica lavorarono anche i circoli antisemiti all’interno del KGB – e questo non fece che aggravare il dissolversi di quella sintesi spirituale, culturale ed ideologica, che fu il misterioso propellente del bolscevismo originario, il nazional-bolscevismo.
Ad ogni modo, il grande crollo dello stato Sovietico fu il diretto risultato del ritiro della lobby ebraica dalla posizione creativa statalista e bolscevica e la sua diretta o indiretta complicità con gli ostili atlantisti anti-sovietici dell’Occidente capitalista.
8. Verso il futuro Eurasiatico
Il sentiero il cui profilo generale abbiamo descritto permette di guardare con altri occhi ai molti problemi collegati alle oscure leve della storia sovietica.
Si noti che questo approccio può essere trasferito anche a diversi sistemi geopolitici, essendo possibile ritrovare fenomeni simili anche in altri paesi e contesti politici.
Anche il grande scrittore Arthur Koestler indicò il tema della fondamentale dualità dell’ebraismo, offrendo una tesi discutibile dal punto etnologico ma alquanto espressiva dal punto di vista tipologico, riguardo la derivazione razziale «turca» degli ebrei est-europei «askenaziti», eredi dei giudaizzati zohariti – da cui anche il noto dualismo fra askenaziti e sefarditi (semiti puri). Nel caso dei karaiti, altra direzione anti-talmudica presa dall’ebraismo, la loro derivazione dai khazari è considerata come inequivocabilmente dimostrata (si veda L.Gumilev). E’ curioso come Douglas Reed abbia aderito alle teorie su una derivazione turca degli «ashkenazi» (in ebraico la parola significa «del nord»), considerando questo tipo di ebrei come una ramificazione della «razza turco-mongola»!
E’ importante sottolineare un differente aspetto. L’orientalismo ebraico non è un fenomeno tipicamente moderno, né esclusivamente sovietico. E’ radicato nelle profondità della storia nazionale. Probabilmente dietro ad esso si cela qualche terribile segreto religioso o razziale.
Comunque, non vi sono dubbi sulla vittoria della lobby «mitnaged», ma allo stesso tempo l’occidentalismo ebraico non è né può essere un fenomeno irreversibile e totale. E’ impossibile negare che le posizioni dell’orientalismo ebraico siano oggi deboli e marginali come mai prima.
Ma può trattarsi di un fenomeno temporaneo. L’identificazione nazionale di una certa parte dell’ebraismo è inconcepibile senza spirito di sacrificio, grande compassione, agonia e ricerca idealistica del vero, senza profonda contemplazione mistica, senza disgustato disprezzo per le oscure leggi schiavistiche «di questo mondo» - le leggi del mercato e del beneficio egoistico.
L’orientalismo ebraico, le gesta di umiltà e di sublime insensatezza dei primi leggendari tsadiki, la sincera compassione per i nostri simili, a prescindere dalle loro origini razziali e religiose, il credo fanatico nell’equità e nella costruzione onesta della società, e infine quella solidarietà verso un altro così bello e tragico popolo nella storia, anch’esso eletto, scelto da Dio, il popolo Russo – tutto questo è insradicabile da una certa parte dell’ebraismo, inseparabile dal suo unico destino.
Schiacciata fra il (parzialmente giustificato) antisemitismo dei patrioti e orientalisti russi e la matrice razionalista, antistatalista e di mercato degli odierni ebrei-liberali russi, l’orientalismo ebraico attraversa tempi duri.
Ma non è necessario disperare. Nella vita di questo popolo vi sono state prove peggiori. E’ importante che esso realizzi la propria scelta, interpreti il suo ruolo nella storia, trovi con consistenza il suo orientamento geopolitico e spirituale. E dalla loro parte, obbligati dalla loro responsabilità, e alla luce di tutta questa tragica esperienza storica, tutti gli eurasiatisti di conseguenza proclamano: ci sarà sempre un posto per l’«orientalismo ebraico» nei ranghi dei costruttori del Grande Impero Eurasiatico, l’Ultimo Impero.
Ma il tradimento ed i traditori della Grande Idea non dovremo mai scusarli né dimenticarli mai, nessuno di essi. Né dei nostri, né dei loro.
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