Per me personalmente, in quanto tradizionalista (nel senso che mi identifico, tra gli autori contemporanei, soprattutto nella linea di René Guénon e Julius Evola), l'Impero, l'idea di Impero, costituisce la forma positiva e profondamente sacra dello Stato tradizionale. Il nazionalismo, invece, non è che una tendenza sovversiva, profana, laica, che si dirige contro l'Unità dell'ordine sovranazionale dell'Impero, della forma ecumenica. D'altra parte, per me in quanto russo, l'Impero costituisce il modo di vita più idoneo e, in qualche maniera, più naturale. Noi siamo forse l'ultimo popolo imperiale rimasto al mondo. E' per questo che presso i Russi l'idea di nazione è strettamente legata all'idea di Impero, e il nostro «nazionalismo» ha in sé qualcosa di «imperiale». Quando diciamo «i Russi», noi vogliamo dire per lo più «i nostri», e vi includiamo la grande quantità dei popoli che abitano le nostre terre e condividono con noi l'immenso spazio geopolitico che è la Russia. Dostoevskij diceva che «essere russo significa essere l'uomo universale (vsëcelovek)». Indubbiamente questo particolare atteggiamento è responsabile del sentimento che anima oggi i Russi nei paesi baltici.. Essi hanno fatto del concetto di «nostri» una sorta di idea politica che trascende la questione della nazionalità, dell'ideologia politica ecc. «I nostri» per cui si battono e muoiono i difensori dell'unità dell'URSS in ogni angolo delle varie repubbliche non costituiscono un gruppo politico, sociale, nazionale o razziale, ma sono tutti coloro che, qualunque sia lo strato sociale o razziale cui appartengono, sono contrassegnati dalla presenza dell'istinto imperiale. Qui non si tratta né di demagogia politica, né di ipocrisia. Ad agire è la «coscienza imperiale», il sentimento quasi mistico di essere vsëcelovek, «uomo universale». Per questa ragione i Russi, coscienti della loro natura geopolitica, considerano il nazionalismo separatista, particolaristico e non imperiale, come qualcosa di assolutamente estraneo, egoistico, privo di una sua ragione d'essere. A dire il vero, io stesso debbo dire che provo analoghe difficoltà davanti al fenomeno in questione. Allorché rifletto sulla questione del nazionalismo, avverto sempre delle deficienze in relazione ai principi profondi che stanno all'origine dei fenomeno. Nazionalismo, d'accordo; ma qual è l'obiettivo trascendente che sta di là da esso? A mio avviso, la sola cosa che possa dare al nazionalismo la sua ragione d'essere, è la volontà di tornare alla Tradizione, allo Spirito, alla Forza pura e all'Unità. D'altronde, il nazionalismo può servire come mezzo di difesa contro l'espansione dei cosmopolitismo materialista e quantitativo e anche contro l'imperialismo antitradizionale e mondialista. Comunque, anche se le cose stanno così, si tratterà di qualcosa di incompleto, di una fase che richiede un'ulteriore azione di restaurazione tradizionale e integrale.
Fattore turco
L'idea di nazione, quasi sempre perfettamente sconosciuta ai Russi, è apparsa solo con la rivoluzione bolscevica. Prima della rivoluzione, tutti i cristiani ortodossi erano considerati «i Russi». Così, con l'incorporarsi dei vari popoli nella nazione imperiale, la coscienza imperiale venne condivisa da etnie culturalmente e fisiologicamente assai diverse tra loro. Bisogna porre in rilievo un fatto molto importante: la grande maggioranza dei popoli che abitano i territori della Siberia, le steppe, l'Asia centrale, gli Urali, l'Altai ecc. appartiene alla famiglia dei popoli turchi («tartari». come vengono chiamati in Occidente). I Turchi furono i predecessori dei Russi nella costruzione dell'Impero (gli Unni, i Mongoli di Gengis Khan ecc.). Ancor oggi, sono i popoli turchi a conservare più degli altri la coscienza imperiale, che d'altronde ha sempre impregnato la mentalità turca. I Turchi si sono mescolati agli Slavi nello spazio dell'Impero, creando una nazione imperiale culturalmente unita. Si può dire che i due fattori dell'unità naturale dei popoli che abitano la Russia (l'Ortodossia e lo slancio creativo imperiale) si conservano ancor oggi, per lo più in modo semicosciente o addirittura inconscio. In tal modo la parte delle nazioni non slave (parte assai considerevole) è assai strettamente legata alla sorte dell'Impero. Insomma, anche per esse la fine dell'URSS segnerà la fine di una millenaria vocazione imperiale. Possiamo notare tra parentesi che tra i popoli turchi vi sono moltissimi russofili, patrioti, «imperialisti» nel senso positivo dei termine. Anche nell'esercito esiste un clan di militari, tutti di rango piuttosto elevato, che sono tartari e sono logicamente «conservatori» e antimondialisti. Il ministro della Difesa dell'URSS, Iazov, è lui stesso un tartaro!
Impero-frontiera
Bisogna anche dire qualche parola circa il ruolo geopolitico della Russia nel corso dei mille anni della sua storia. Grazie alla sua posizione intermedia tra l'Europa e l'Asia, l'Impero russo è diventato culturalmente molto particolare: in esso si acquetavano i marosi provenienti da Occidente e da Oriente. La pressione dell'Asia e l'espansionismo europeo erano in qualche modo neutralizzati in Russia. L'Impero russo era dunque, malgrado la sua ampiezza, un Impero-frontiera. Una tale particolarità ha modificato considerevolmente la mentalità storica russa, ma anche il carattere della coscienza imperiale in generale. Non si può parlare qui di una vera sintesi (non sarebbe corretto), ma bisogna quanto meno riconoscere l'importanza di una tale particolarità in rapporto alla stabilità continentale. Se torniamo alla nostra epoca, possiamo dedurre da questa osservazione che l'esplosione dell'Impero sovietico darà via libera a un diretto interscambio di energie politiche tra mondo asiatico e mondo europeo. Ma questo interscambio, in assenza di quel fattore stabilizzante che è l'Impero russo, sarà estremamente violento. Da una parte è possibile prevedere l'occidentalizzazione radicale e catastrofica di paesi asiatici come la Cina, le regioni mongole, le grandi zone musulmane dell'Asia centrale ecc., senza che la Russia possa più esercitare alcuna influenza temporeggiatrice o neutralizzante; d'altra parte, l'invasione asiatica dell'Europa sarà o pacifica (l'ondata migratoria dei popoli asiatici agognanti ai beni della civiltà tecnocratica sarà ancora più possente che non l'emigrazione dai paesi arabi e africani, già nota all'Europa odierna) o forse anche militare - situazione, questa, che sarà provocata dalla demografia galoppante dei popoli asiatici e diventerà pressoché inevitabile. In tal modo l'«attivazione» del fattore etnico, contrapposto o semplicemente separato dal sentimento imperiale, reca in sé il pericolo reale dell'urto continentale e dello scontro aggressivo tra i due poli opposti dell'Eurasia. E per questo che insistere sul nazionalismo locale, qualunque esso sia, nel quadro dell'Impero sovietico, equivale a distruggere la coscienza-frontiera di un considerevole strato «culturale». E con l'ammorbidirsi della nozione di frontiera, le nazioni, che avranno guadagnato una certa indipendenza nell'assenza completa di unità culturale al di fuori dei contesto imperiale, si verranno a trovare in uno stato di grande instabilità che potrà benissimo sfociare in crisi sociali tremende, o addirittura nell'occupazione dei paesi vicini economicamente più forti. Ma quel che è peggio è l'ignoranza totale, da parte dei nazionalisti-separatisti in genere, di una minaccia mondialista, perché per la maggior parte di loro l'immagine dell'Occidente è o neutra e innocente (immagine disincarnata dell'umanista benevolo) o assolutamente positiva (buona madre salvatrice dal terrore imperialista russo); tanto più che quando si dice «Occidente» si intende «Stati Uniti».
I paradossi dell'Impero sovietico
L'impero sovietico ha ereditato dall'Impero russo, due cose soltanto: i territori e il modello amministrativo centralizzatore. In sostanza, si è trattato di una parodia dell'Impero, di un Impero contraffatto. La paurosa realtà del Leviatano sovietico è fin troppo nota e io non potrei aggiungere nulla di rilevante alla sua immagine. Nell'Impero staliniano mancava ogni significato tradizionale e autenticamente sacro. L'aspetto più notevole di quella perversione dell'idea imperiale che si è avuta nell'URSS si rivela, a mio parere, soprattutto nell'odio nutrito dalla gerarchia comunista per tutto quello che è elemento superiore. Il potere e i ranghi più elevati sono sempre appartenuti o ai peggiori (i dirigenti dell'epoca di Lenin o ai più grigi e ai più docili (nel periodo di Stalin e in quello di Brezhnev) Ed è proprio nel trasferimento dei potere dalle mani dei peggiori (i nichilisti russofobi) alle mani dei mediocri, che si è avuto l'indizio di una pressione interna di tipo imperiale. Questa pressione è abbastanza forte per provocare le purghe staliniane anticosmopolite e antinichiliste degli anni '30, ma troppo debole per realizzare una liberazione completa dai dogmi innaturali dei comunismo. Si può dire, a tale proposito, che da tutto ciò è risultata una forma «quasi imperiale» ed eterogenea, la quale non può essere qualificata come «profana» (poiché il senso dei «soprannaturale» è stato sempre presente nell'atteggiamento dei popolo verso la «patria sovietica»), ma che non è stata nemmeno sacra nel vero senso della parola. L'Impero sovietico è stato una sorta di ibrido, nel quale una parte qualificabile come «negativa» si traduceva in demagogia comunista, in negazione aperta dei valori tradizionali (religiosi, gerarchici e metafisici), mentre una parte qualificabile come «positiva» consisteva nella sopravvivenza confusa o semiconsapevole, o addirittura inconscia, di elementi imperiali.
Le considerazioni su certi aspetti dell'Impero sovietico in cui si tratta di tendenze che rimangono «tradizionali» per forza d'inerzia possono testimoniare in favore dell'Impero, nonostante il parziale pervertimento di quest'ultimo. Per esempio, vediamo che le nazioni appartenenti all'URSS, malgrado i durissimi colpi inferti contro di esse dal centralismo sovietico, conservano una coscienza quasi integrale della loro identità. Le strutture dei poteri locali nelle repubbliche. come si può vedere chiaramente oggi, erano costituite di clan nazionalisti che ricordano il periodo feudale. I costumi, le cerimonie popolari e i riti religiosi erano praticati in segreto, ma anche dalle più alte autorità della nomenklatura di tali repubbliche. D'altronde, si può apprezzare la funzione conservatrice dell'Impero sovietico in rapporto alle nazioni, se si considerano le aspre controversie nazionalistiche scoppiate nel corso della perestrojka; ciò mostra quanto sia forte la coscienza dell'identità etnica. Gli odi nazionalisti e separatisti che si sono scatenati contro l'Impero sovietico sono spesso ingiustificati: il centralismo imperiale viene messo sotto accusa per i crimini che dovrebbero essere attribuiti ai dogmi comunisti (essenzialmente antimperiali). Inoltre, si misconoscono certi fattori positivi che hanno dato alle diverse etnie la possibilità di sopravvivere e di conservare la coscienza della loro identità in misura molto più ampia di quanto non sia stato possibile ai popoli che si trovano sotto il protettorato delle superpotenze capitaliste. Nonostante l'«internazionalismo proletario» caro alla demagogia marxista, l'integrità dei popoli dell'URSS si è potuta preservare molto meglio che non nell'occidente contemporaneo, sconvolto da immigrazioni, mescolanze razziali tremende e profanazioni laiciste totali. A mio parere, tutti gli aspetti positivi dell'Impero sovietico sono connessi all'ordine imperiale: il suo crollo significherà la fine di questa Unione geopolitica, la fine della sua indipendenza dalle forze geopolitiche ostili e rivali. Inoltre, ciò significherà anche la fine delle diverse etnie, che saranno costrette ad affrontare il mondo aggressivo dei capitalismo mondialista, del quale non si sentiva troppo l'influenza grazie alla protezione dell'Impero sovietico. Paradossalmente, tutte le denunce relative alla minaccia capitalista, che la propaganda comunista proferiva negli anni '70, sono oggi completamente dimenticate dalla maggior parte dei sovietici.
Particolarismo dei diversi nazionalismi
E' facile oggi constatare in URSS la presenza delle lobbies mondialiste: i «democratici», la «sinistra» ecc. La loro opinione circa gli eventi contemporanei è molto più precisa e riflessa che non quella della nostra «Destra», che invece è condizionata da emozioni, istinti, sentimenti epidermici, e produce posizioni politiche spesso assai contestabili, superficiali e contraddittorie. Perciò è più utile ascoltare l'opinione dei nostri mondialisti circa la particolarità di questo o quel nazionalismo dei popoli Sovietici e trarne le dovute conclusioni. Certi nazionalismi sono esaltati dai democratici come movimenti di liberazione, progressisti e antitotalitari. Si tratta dei nazionalismi baltici, di quello armeno e georgiano e, con qualche riserva. di quello moldavo. Bisogna precisare che non sono nazionalismi di sinistra nel senso preciso del termine, ma sono piuttosto nazionalismi liberali, di tendenza capitalista, liberoscambista e antisocialista. Anche se il fattore religioso vi svolge talvolta un ruolo importante, i democratici considerano questi nazionalismi come movimenti di tendenza umanista e antimperiale. Sono d'altronde visibili, in essi, elementi nazionali e liberali. Bisogna poi menzionare anche i nazionalismi separatisti di certe etnie slave, che rinnegano i vincoli di sangue con gli altri Slavi (soprattutto i Grandi Russi): è il caso dei nazionalismo ucraino e bielorusso. Malgrado la loro avversione per gli Slavi, le lobbies mondialiste «tollerano» spesso le manifestazioni separatiste dei piccoli nazionalismi slavi, perché vi è in esse un carattere dichiaratamente antimperiale.
Altri nazionalismi, invece, sono considerati dai nostri mondialisti come «reazionari» e quasi «fascisti». Rientrano in tali categorie i nazionalismi dei popoli musulmani. Paradossalmente, un movimento di impronta nettamente nazional-liberale e «umanista» come il Fronte Popolare azero (che era a modo suo filo-occidentale e antifondamentalista, (cosa che in teoria i democratici avrebbero dovuta gradire) venne denunciato come «fondamentalista», «fascista», «sanguinario», «inumano»: i democratici applaudirono dunque le truppe militari che avevano schiacciato sotto i carri armati le donne e i bambini di Baku, mentre con il medesimo zelo protestarono i contro i fatti di Georgia o, più recentemente, contro gli avvenimenti del Baltico.
L'intrinseca qualità dei nazionalismi dei vari popoli sovietici può dunque essere dedotta con esattezza da questi atteggiamenti, che sembrerebbero del tutto contraddittori e illogici, se non tenessimo presente quella strategia generale e geopolitica del mondialismo che ispira le azioni della lobby democratica. I Baltici, gli Armeni, i Georgiani e i Moldavi (questi ultimi in una certa misura) sono candidati all'integrazione nel sistema capitalista internazionale, sotto la direzione degli Stati Uniti. La loro resistenza a un tale progetto non sarà grande, data un'assenza di elementi geopolitici che rende questi popoli culturalmente e razzialmente isolati. D'altra parte, quei popoli che potrebbero costituire un blocco geopolitico con altre forze centrifughe più o meno considerevoli (alleanza su base religiosa per l'area musulmana, solidarietà razziale per i popoli turchi in genere ecc.) vengono guardati con sospetto e ostilità e il loro nazionalismo è giudicato pericoloso. E' evidente che i democratici sperano, pur continuando a screditare l'imperialismo russo, di approfittare dei sentimento imperiale dei Russi per schiacciare mediante le truppe sovietiche i nazionalismi «indesiderabili». Queste due forze più o meno tradizionali (i Russi imperiali e le nazioni musulmane dell'Asia e dei Caucaso), anziché allearsi su una comune base imperiale e geopolitica per potersi opporre all'espansione dell'americanismo, rischiano di contrapporsi l'una all'altra in una serie di conflitti provocati ad arte: è visibile, qui, una strategia veramente diabolica, che mira a distruggere definitivamente tutti quegli aspetti positivi di natura imperiale che si sono conservati, malgrado tutto, nel corso del periodo comunista, nonostante il veleno antitradizionale di quest'ultimo. Possiamo qui constatare un'altra cosa molto importante: il mondialismo teme soprattutto i blocchi geopolitici e preferisce che le tendenze nazionalistiche si sviluppino su scala ridotta, perché in tal modo esso potrà sempre trarne profitto. Il solo tipo di nazionalismo che rappresenti per esso un pericolo è appunto il tipo imperiale, sotto qualunque forma si. presenti. Là dove vi sia possibilità di unione sulla base della religione, della razza, della cultura tradizionale, gli attacchi dei mondialismo saranno i più accaniti.
Prospettive auspicabili
Se si va in fondo alla logica del pensiero della «Destra» imperiale russa (che oggi non è più necessariamente legata all'idea del comunismo come era invece fino a ieri), si giunge a una visione generale relativa alle prospettive auspicabili per lo sviluppo geopolitico della situazione dell'impero ex-sovietico. Organizzazione di un polo di resistenza contro il mondialismo senza la componente marxista-leninista come ideologia ufficiale, (si parla spesso, attualmente, di un socialismo nazionale o patriottico che coesista con elementi di proprietà privata). Conservazione dell'unità territoriale dell'Impero, soprattutto per scopi strategici. Restaurazione della tradizione politica, spirituale e sociale. Arresto immediato dell'influenza politica ed economica delle banche internazionali, dei monopoli, dell'economia di mercato. Possiamo aggiungere che il fattore rappresentato dalla Chiesa Ortodossa russa si fa sempre più importante sul piano politico e che la maggior parte dei Russi vede nella Chiesa la forza spirituale più potente per la realizzazione dei progetti geopolitici. Bisogna pure notare che il fattore musulmano acquista presso di noi un peso sempre maggiore, sicché alcuni esponenti della «Destra» ritengono che l'Islam debba svolgere un ruolo primario nell'unificazione geopolitica della parte centroasiatica dell'Impero, in stretta collaborazione con il polo propriamente russo e ortodosso. Nel quadro di un futuro Impero rinnovato, le diverse nazioni, data l'assenza di ogni dogma internazionalista, saranno rispettate e protette da quel livellamento che l'americanismo e il mondialismo cosmopolita vorrebbero realizzare.
Triste realtà
In realtà, gli eventi assumono un andamento alquanto negativo. Si è conseguito lo scopo di sostituire l'ideologia marxista-leninista con il «mito» dell'Occidente, che è diventato un dogma indiscutibile. Si sono colpevolizzati i Russi, accusandoli di essere i portatori storici dei comunismo sanguinoso e perverso. Si afferma che i Russi sono dei deboli, incapaci di lavorare, di organizzare la società, di produrre dei beni ecc. Come rimedio universale, si propone l'economia di mercato e l'aiuto dei monopoli occidentali. Si vede nella crisi attuale il risultato dell'indipendenza dall'Occidente e la fine logica dell'autarchia isolazionista. In ogni caso, si tratta non di opinioni isolate, ma di una tendenza ideologica dominante, anzi, di una nuova propaganda. I nazionalismi separatisti sono considerati rivendicazioni legittime di libertà. Il senso imperiale è dipinto a tinte ignominiose. Contestare il valore dell'Occidente moderno e della sua civiltà equivale oggi a una bestemmia. Gli Stati Uniti sono diventati una sorta di modello assoluto, ineguagliabile, che noi non potremo mai realizzare, ma davanti al quale dobbiamo tuttavia prosternarci con devozione quasi religiosa. Il marxismo-leninismo viene rimpiazzato dal «cargo-cultismo» filoamericano. Benché il senso dell'Impero sia assai forte presso i nostri popoli, la libertà di dargli espressione non esiste, perché il terreno ideologico è totalmente occupato dai predicatori dei cargo-cults e della Disneyland universale. Quello che è peggio ancora, è che l'americanismo si impone con tanta forza, con tanta insistenza, che gli stessi uomini della «Destra» (come recentemente certi scrittori patriottici quali Rasputin e Astafiev) si sentono obbligati, per conformismo, a esprimere il loro rispetto per i Diritti dell'Uomo, l'Umanesimo, gli Stati Uniti, la Democrazia ecc. Come ieri il conformismo consisteva nel presentare giuramento di condotta leale nei confronti dei comunismo, oggi bisogna fare lo stesso con l'americanismo, se si vuole essere accettati socialmente, ufficialmente, e soprattutto non essere emarginati. Oggi l'essere comunisti comporta già una certa marginalità e in ogni caso esclude ogni velleità carrieristica.
Alcune conclusioni
Comunque sia, la nostra posizione attuale è piuttosto diversa dalla situazione dei paesi dell'Europa occidentale, anche dell'Europa orientale. Per voi, a quanto pare, il concetto di etnia e l'insistenza sull'identità etnica sono fatti più o meno tradizionali, positivi, non conformisti e antimondialisti. Anche per noi, prima della perestrojka, le cose stavano in maniera analoga: ogni persona sincera e onesta doveva essere anticomunista, antisovietica e anche antimperialista, antisovietimperialista. Oggi tutto è cambiato. La ragione principale è che l'imperialismo sovietico non esiste più. Tra i grandi fattori antitradizionali ne rimane uno solo: il mondialismo americano cosmopolita. E' questo fattore a provocare oggi la disintegrazione dell'Impero ex-sovietico, suscitando e manipolando tutte le forze centrifughe. Al di fuori del mondo musulmano, che ha conosciuto recentemente la catastrofe del Golfo e si trova in condizioni assai poco felici, è 1'Impero tradizionale russo a rappresentare oggi uno spazio geopolitico unitario che servirà come punto di partenza per la grande Restaurazione tradizionale antimondialista. L'Impero russo deve rinascere dalle ceneri leniniste per provocare il risveglio generale dell'Eurasia in vista della presa di coscienza dell'identità continentale. A mio parere, è necessario avere una prospettiva globale, assoluta, per poter compiere la minima azione positiva e tradizionale, è per questo che la sorte definitiva dell'identità etnica e nazionale dipende necessariamente dall'idea di Impero, sola garanzia di stabilita per una nazione. Tutte le sventure abbattutesi sugli imperi storici sono dovute non al fatto che l'idea d'impero è negativa di per sé, ma al fatto che questa idea si è trovata snaturata da tendenze antimperiali, profane e antitradizionali. Se si può pensare a una lotta contro l'imperialismo americano e mondialista da parte di etnie e nazioni isolate, la vittoria sarà possibile solo se si inscriverà nel quadro di un Impero tradizionale ed ecumenico. E perché sia così, l'identità dei popoli dovrà sempre connettersi all'idea del Santo Impero eurasiatico.
Traduzione di Danilo Valdorio
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