Le opere di Kevin B. Anderson (Marx at the Margins) e di Teodor Shanin (Late Marx and the Russian Road) hanno stabilito in maniera definitiva – basandosi anche sulla scoperta di manoscritti di Marx ancora inediti – come l’incontro di quest’ultimo con gli intellettuali populisti russi lo avesse progressivamente condotto, a partire dalla metà degli anni Settanta del XIX secolo, a rivedere in modo considerevole il suo iniziale giudizio negativo sulle forme di organizzazione comunitaria delle società contadine tradizionali (e più in particolare – come si nota nei suoi ultimissimi manoscritti conservati all’Istituto internazionale di storia sociale di Amsterdam – su quelle russe, indiane, cinesi, algerine e indonesiane) [a]. Del resto proprio quell’incontro con i Narodniki lo spingerà in parte a correggere le sue valutazioni su tutta una serie di aspetti storici rilevanti, per esempio il significato politico della rivolta dei Sepoy e di quella dei Taiping (e in via più generale sul senso stesso della colonizzazione europea). È solo un peccato che questi due saggi – ormai indispensabili per chiunque voglia cogliere il pensiero finale di Marx in tutta la sua complessità – abbiano lasciato nell’ombra il ruolo decisivo svolto, in questa evoluzione dell’«ultimo Marx», dal suo incontro a Londra nel 1870 con la giovane populista russa Elisabeth Dmitrieff (futuro membro della Comune, amica di Eugène Varlin e di Benoît Malon, dirigeva anche «Narodnoe Delo» – la «Cause du Peuple» – organo principale dei Narodniki). Come sottolinea Kristin Ross (Communal Luxury: The Political Imaginary of the Paris Commune, London, Verso Books, 2015), «per Marx, l’incontro con Dmitrieff e l’attenta lettura degli scritti di Černyševskij sulla comune agricola ebbero degli effetti considerevoli perché lo indussero a concepire progressivamente la possibilità di una pluralità di strade verso il socialismo – una svolta che sarà portata a termine solo diversi anni più tardi nella sua corrispondenza con un’altra giovane donna russa, Vera Zasulič».
Una delle primissime preoccupazioni del giovane Lenin (cfr. Ciò che sono gli amici del popolo e come lottano contro la socialdemocrazia, nella rivista «Russkoe Bogatstvo», 1894) sarà del resto quella di nascondere questo aspetto, ai suoi occhi troppo ingombrante, del pensiero dell’«ultimo Marx» (la stessa osservazione vale del resto anche, su un altro piano, per la famosa questione del «modo di produzione asiatico») [b]. È forse la comparsa di questo nuovo genere di «discepoli» che spingerà Marx, nel crepuscolo della vita, a confidare a Paul Lafargue di non essere, da parte sua, «marxista».
Approfondimenti:
[a] In Une pensée devenue monde (Paris, Fayard, 1980), Henri Lefebvre non esitava a collegare «l’incompiutezza del Capitale» a quei nuovi interrogativi filosofici che la scoperta del populismo russo aveva suscitato in Marx.
[b] Il saggio migliore sul populismo russo resta, ancora oggi, quello di Franco Venturi (Il populismo russo, Torino, Einaudi, 1952). «Una pagina di storia del movimento socialista europeo, ecco ciò che vorrebbe essere questo libro» scriveva Venturi nell’introduzione. Il fatto che il termine «populismo» sia oggi quasi unanimemente considerato attraverso la propaganda mediatica e «universitaria» quasi come un sinonimo di estrema destra la dice lunga sull’ampiezza della controrivoluzione intellettuale (e anche sulla mancanza di cultura dei personaggi mediatici contemporanei) che avrebbe compiuto la futura sinistra liberale – con lo sfondo della «nouvelle philosophie» – nella seconda parte degli anni Settanta. Per un approccio molto più approfondito a questa importante corrente politica si può leggere, tra gli altri, Roger Dupuy (La Politique du peuple, Paris, Albin Michel, 2002), Christopher Lasch (La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia, Milano, Feltrinelli, 2001), Adrian Kuzminski (Fixing the System, A History of Populism, Ancient and Modern, New York- London, Continuum, 2008) e – a dispetto delle sue difficoltà a rompere del tutto col paradigma postmoderno – La ragione populista di Ernesto Laclau (Roma-Bari, Laterza, 2008).
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