E’ il 16 Aprile, dopo il trionfante “sì” (83,8%) all’Unione Europea degli ungheresi, che viene “incoronata” ad Atene l’Europa dei 25, sancita da un trattato di 5.000 pagine, firmato dai vari Ministri in carica e con la benedizione di Kofi Annan, Segretario Generale dell’ONU, sotto l’egida del quale viene ad iscriversi la “Nuova Europa”.
Un patrocinio alquanto inquietante, in particolare per quanto concerne la libertà di espressione.
La polizia del pensiero è difficile da scovare perché essa si nasconde spesso dietro i rassicuranti concetti di “democrazia” e “diritti dell’uomo”. Se i Quindici mostrano volentieri le bellezze dei loro paragrafi costituzionali, raramente ammettono le ambiguità dei rispettivi Codici Penali.
Un patrocinio alquanto inquietante, in particolare per quanto concerne la libertà di espressione.
La polizia del pensiero è difficile da scovare perché essa si nasconde spesso dietro i rassicuranti concetti di “democrazia” e “diritti dell’uomo”. Se i Quindici mostrano volentieri le bellezze dei loro paragrafi costituzionali, raramente ammettono le ambiguità dei rispettivi Codici Penali.
Ed è in un clima di estrema discrezione che l’anno scorso, la Commissione Europea aveva tenuto a Bruxelles e a Strasburgo, riunioni di importanza storica circa il futuro della libertà di parola.
Soggetto della discussione? L’emanazione della nuova legislazione europea che istituisce il “crimine di odio“ ed intesa a sostituirsi alle leggi nazionali per diventare automaticamente la legge in vigore in tutti gli Stati europei, dalla Grecia al Belgio, dalla Danimarca al Portogallo.
In questo modo, qualsiasi persone perseguita per “crimini di odio” nel tal Paese dell’Unione, potrà essere giudicata e condannata in un tal altro.
In retrospettiva, questa legge sovranazionale sembra ispirata al Codice Criminale comunista della defunta Unione Sovietica o della ex-Yugoslavia comunista, il quale per decenni è ricorso ad un meta-linguaggio irreale, soprattutto nei paragrafi riportanti la menzione di “propaganda ostile” (Codice criminale, Art. 133). Una tale astrazione semantica poteva essere applicata a qualsiasi dissidente che si fosse lasciato andare a delle violenze fisiche contro lo stato yugoslavo oppure che si fosse semplicemente espresso scherzosamente.
Al momento il Regno Unito testimonia il grado più elevato in tema di libertà civili in Europa, mentre la Germania il grado più basso.
Il Parlamento inglese ha recentemente rifiutato il principio di “crimine di odio”, proposto da diversi gruppi di pressione, il che non evita che oltre Manica, cittadini perseguiti per gli stessi motivi, abbiano beneficiato di un non luogo a procedere in quanto i giudici, temendo di essere accusati loro stessi di coltivare un “pregiudizio razziale”, esitavano a pronunciare pene severe.
Tuttavia, indipendentemente dalla mancanza di censura in Gran Bretagna, un certo livello di autocensura esiste e quindi ratificherà la legge proposta dalla UE .
Dal 1994, la Germania, il Canada e l’Australia, hanno rafforzato la loro legislazione contro coloro che “deviano” ed in particolare contro i revisionisti ed i nazionalisti.
Diverse centinaia di cittadini tedeschi, compreso un certo numero di intellettuali, sono stati accusati di incitazione all’odio razziale o di “negazionismo dell’Olocausto”; questo sulla base di un neologismo bizzarro e neo-totalitario proveniente dall’articolo 130 ( “Volkshetze”: incitazione alla sobillazione popolare).
Visto il machiavellico carattere degli articoli, diventa facile mettere qualsiasi giornalista o professore in cattiva luce se solo osa allontanarsi dal credo della storia contemporanea oppure criticare l’elevato numero di immigrati extra-europei.
In Germania, per esempio, al contrario dell’Inghilterra e dell’America, c’è una lunga tradizione legale secondo la quale ciò che non è esplicitamente consentito è vietato. In America e in Inghilterra la pratica legale presuppone che ciò che non è specificatamente vietato è consentito.
E’ la ragione per la quale la Germania ha adottato leggi severe contro il “negazionismo”.
Nel 2002, in occasione della sua visita in Germania, lo storico americano di origine ebraica Norman Finkelstein, ha suggerito alla classe politica tedesca di smettere di essere la “vittima deliberata” dei gruppi di pressione “dell’industria dell’Olocausto” (titolo del suo tanto controverso libro). Ha inoltre fatto notare che l’atteggiamento servile dei tedeschi potrebbe essere totalmente contro-producente, favorendo un antisemitismo oggi nascosto. Ma nessuno ha saputo reagire positivamente agli avvertimenti di Finkelstein per paura di essere denunciato come antisemita.
Anzi, il governo tedesco ha accettato per l’ennesima volta di versare un supplemento di 5 miliardi di Euro agli 800.000 sopravvissuti della Shoah.
Quando si impedisce la discussione di argomenti tabù, il clima di viltà intellettuale si appesantisce.
Una nazione che impedisce la libertà di parola e la libera espressione delle diverse vedute politiche, anche se queste vedute possono sembrare aberranti, può essa ancora chiamarsi “democratica” ?
Nonostante gli Stati Uniti si appellino al loro Primo Emendamento, la libera discussione nei media e nelle università è praticamente impossibile. L’autocensura didattica ne è il freno.
Spesso i professori americani evitano le espressioni o i pareri politicamente scorretti per non compromettere la loro carriera. Una crescente pratica in America vuole che i professori diano dei buoni voti a studenti mediocri di ceppo non europeo, per non avere noie giudiziarie, o peggio, per non perdere il lavoro.
In Francia, dopo la legge Fabius-Gayssot, proposta da un deputato comunista e in vigore dal Luglio 1990 (resa ancora più severa dal deputato del partito di Chirac, Pierre Lellouche, nel Dicembre 2002), qualsiasi persona che esprime pubblicamente un dubbio circa la storiografia contemporanea, rischia severe ammende ed anche la galera.
Un certo numero di autori e giornalisti francesi, tedeschi e austriaci sono perseguitati ed imprigionati; altri hanno chiesto asilo politico in Siria, Svezia o in America. Alcuni sono andati addirittura a finire nei Paesi dell’Est. Simili misure repressive sono state recentemente decretate in Australia, in Canada ed in Belgio. Diversi dirigenti nazionalisti est-europei, in particolare croati, desiderando far visita a dei loro connazionali espatriati in Canada o in Australia, non hanno ottenuto il visto per questi Paesi a causa delle loro pretese posizioni “estremiste”.
Per il momento la Russia ed altri Paesi ex comunisti, non praticano la stessa repressione del libero pensiero e nelle librerie croate è possibile trovare delle traduzioni di opere francesi o tedesche impensabili in Francia e in Germania. Ma a causa della crescente pressione di Bruxelles e di Washington, le cose cambieranno. L’adesione all’Unione Europea dei vecchi satelliti comunisti richiede a questi ultimi un allineamento sul pensiero unico e l’adozione di un nuovo linguaggio altrettanto temibile come quello dell’epoca comunista.
E’ pensiero comune credere che il terrore di Stato, cioè il totalitarismo, non può che essere il risultato di una ideologia violenta veicolata da un pugno di banditi e quest’argomento è apparso spesso nella vicenda dell’Irak. Tuttavia questa idea è sbagliata.
Anche la democrazia trionfante, che spinge verso l’abdicazione intellettuale, rappresenta una tentazione totalitaria. Il terrorismo intellettuale aumenta e si propaga grazie alla credenza generalizzata che, in un modo o nell’altro, le cose alla fine miglioreranno per conto loro. Quindi, l’apatia sociale crescente e l’autocensura galoppante tra un sempre maggiore numero di intellettuali europei, portano acqua al mulino della polizia del pensiero.
In fondo, come scrive Claude Polin, lo spirito totalitario è l’assenza di qualsiasi spirito.
Dal settimanale Rivarol
del 16 Maggio 2003
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