martedì 23 giugno 2020

ERNST NIEKISCH: dalla nazione all'Eurasia (Daniele Perra)


PARTE I 
ERNST NIEKISCH E LA GEOPOLITICA

Perennemente ostracizzato e bollato con lo sprezzante appellativo di “rossobrunismo”, il pensiero di Ernst Niekisch, declinato nella sua dimensione geopolitica, può nuovamente indicare all’Europa la via per liberarsi da ogni forma di servitù nordatlantica.

“O siamo un popolo rivoluzionario, o cessiamo definitivamente di essere un popolo libero”. Così è scritto sulla targa posta nella sua vecchia abitazione a dieci anni dalla morte, avvenuta a Berlino Ovest nel 1967 in totale solitudine e abbandono. Un aforisma che in poche parole sintetizza l’impegno di una vita intera. Ed Ernst Niekisch ha speso ogni singolo attimo della sua esistenza nel tentativo di restituire alla Germania ed al suo popolo quel ruolo di centro e guida continentale che, nella sua prospettiva, geograficamente e filosoficamente le spettavano di diritto.

La Germania, di fatto, è il cuore dell’estensione peninsulare occidentale dell’Eurasia. Piaccia o meno, l’Europa non può fare a meno della Germania, la quale, al contrario della Gran Bretagna storicamente antieuropea, nel bene e nel male ha sempre svolto un ruolo attivo all’interno del continente, fin da quando gl’Imperatori della casa di Svevia dovettero scontrarsi con le pulsioni centrifughe dei Comuni ribelli nell’Italia settentrionale.

La Prima Guerra Mondiale, con il primo intervento diretto nordamericano sul continente e la seguente imposizione del Sistema di Versailles, segnò uno spartiacque fondamentale nella vita di Ernst Niekisch. Molti fra i pensatori della Konservative Revolution videro in essa una sorta di Kulturkrieg: uno scontro tra due visioni opposte del mondo. Werner Sombart la descrisse come una guerra di religione: una lotta tra la concezione mercantilista e propriamente britannica del mondo e quella aristocratico-eroica tipicamente tedesca[1]. Oswald Spengler, a sua volta, la definì come uno scontro tra lo spirito mercantilista e piratesco britannico (anche Carl Schmitt descrisse l’isola britannica come una “nave pirata” ancorata in prossimità delle coste europee) e lo spirito di disciplina e milizia prussiani: dunque, lo Stato contro il non-Stato (un impero talassocratico privo di confini), il socialismo militare prussiano contro l’individualismo esasperato del capitalismo britannico[2].

Fu la consapevolezza della necessità di prendere una posizione all’interno di questo scontro tra due forme culturali vicine ma agli antipodi a spingere Ernst Niekisch ad arruolarsi nel 1914, prima ancora della sua abiura del marxismo avvenuta nel 1915. Tuttavia, l’allora venticinquenne Niekisch non poté recarsi direttamente al fronte per i gravi problemi alla vista che già in giovane età iniziarono a perseguitarlo. E fu l’umiliazione subita dalla Germania alla Conferenza di Pace di Versailles a determinare la complessa evoluzione del suo pensiero politico e geopolitico.

Tenacemente antioccidentale, padre della corrente cosiddetta “nazional-bolscevica” ed animatore della rivista Widerstand (Resistenza), Niekisch condivideva con Spengler l’idea che la politica estera dovesse avere la preminenza su quella interna, e con Carl Schmitt l’idea del primato del politico sull’economico.

Convinto che il declino del germanesimo fosse iniziato sin dai tempi di Carlo Magno con il massacro della nobiltà sassone e la conversione forzata dei sopravvissuti al cattolicesimo, il pensatore di Trebnitz, fortemente ostile all’influenza romano-cattolica sulla Germania, fondava la sua idea politica su un’alta valorizzazione dello Stato di diretta discendenza hegeliana e sul netto rifiuto di liberalismo e democrazia. La sua diffidenza nei confronti del nazionalsocialismo derivò proprio dalla constatazione del suo atteggiamento “romano” e “cattolico” e dalla diffidenza nei confronti dell’origine bavarese ed austriaca di molti dei suoi capi. Tuttavia, ne apprezzò inizialmente la volontà di smantellare un ordine europeo che aveva imposto oneri terribilmente gravosi ai “popoli proletari”[3].

Di fronte al successo della Rivoluzione bolscevica in Russia, Niekisch riconobbe la necessità di un’alleanza con essa in chiave difensiva contro l’Occidente e la sua perniciosa influenza politica e culturale sulla Germania. Della Rivoluzione bolscevica Niekisch apprezzò più il suo esito finale che non i suoi fondamenti ideologici. Di fatto, amava del bolscevismo tutto ciò che lo differenziava dal marxismo classico. Apprezzava la figura di Stalin e il fatto che questi seppe ricostruire un ordine statuale gerarchico, totalizzante e completamente antioccidentale e rifiutava il trotzkismo come forza incarnante la decomposizione dello Stato e della nazione attraverso l’imposizione su scala globale dell’idea dello sradicamento universalistico[4].

Ciò che Niekisch riteneva necessario per la Germania era lo sviluppo di un gioco comune con gli unici Stati che erano riusciti a respingere la “struttura intellettuale occidentale”: ovvero, Russia e Italia. Il suo pensiero geopolitico fu fortemente influenzato da quello del suo amico Karl Haushofer.

Al pari del britannico Halford Mackinder (ma ovviamente in una prospettiva opposta), Haushofer è stato il principale teorico della corrente di pensiero geopolitico “continentalista” o “binaria”, secondo la quale gli Stati che riescono a imporre la loro egemonia sulla massa continentale eurasiatica finiscono per prevalere sulle potenze marittime[5].

Sulla base di questo approccio teorico, Haushofer era convinto che un blocco russo-tedesco avrebbe inevitabilmente sconfitto la talassocrazia britannica, il cui impero era comunque destinato a crollare a causa dell’eccessiva estensione. Tale alleanza, in diversi momenti del Novecento, sembrò prendere forma (soprattutto col Trattato di Brest-Litvosk del 1919 e con il Patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione del 1939). In ambito sovietico fu Karl Radek uno dei principali artefici del riavvicinamento tra la Germania nazionalsocialista e l’URSS. Anch’egli convintamente anti-occidentale, sul palco del Congresso dei Popoli d’Oriente tenutosi a Baku nel 1920 evocò le figure di Attila, di Gengis Khan e dei califfi dell’Islam per incitare i popoli dell’Oriente rosso alla rivolta contro il capitalismo dell’Occidente[6].

Mackinder, dal canto suo, paventava tale alleanza e la Gran Bretagna cercò in ogni modo di evitare ogni possibile condivisione di confini tra Russia e Germania. E non è un caso se ancora oggi si cerca di evitare tale possibilità. Basti pensare all’attuale iniziativa dei Tre Mari, studiata dall’amministrazione Obama ma portata a compimento sotto Trump, che unisce dodici paesi (Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Austria, Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria) lungo l’asse verticale che dal Mar Baltico arriva fino al Mar Nero ed al Mar Adriatico e che, di fatto, impone una sorta di cordone sanitario ai confini occidentali della Russia, in modo da limitarne o eluderne le esportazioni di gas verso l’Europa[7].

Così come Haushofer, Niekisch fu sempre convinto che uno scontro diretto della Germania contro la Russia sarebbe stato (come infatti si rivelò essere) un suicidio. Tuttavia, il “folle volo” di Rudolf Hess (protettore di Haushofer) in Gran Bretagna nel maggio 1941 segnò la definitiva sfortuna delle teorie del pensatore geopolitico in Germania, il quale, ridotto in miseria da un decreto delle autorità d’occupazione statunitensi, si suicidò con la moglie nel 1946.

Condannato all’ergastolo dai nazisti nel 1939 e liberato dall’Armata Rossa nel 1945, Niekisch, anche se rimase deluso dalla politica sovietica nella DDR, continuò a sostenere la necessità dell’organizzazione di un blocco antioccidentale che da Vlissingen arrivasse fino a Vladivostok[8]. Altri pensatori radicalmente europeisti come Pierre Drieu La Rochelle o Jean Thiriart sostennero tesi simili. Drieu La Rochelle, radicalmente ostile alla democrazia di stampo anglo-americano, arrivò a desiderare il trionfo del comunismo sovietico su tutto il continente[9], mentre Thiriart sognò un impero europeo autarchico da Dublino fino a Vladivostok in opposizione all’egemonia degli Stati Uniti e contro la loro occupazione del suolo europeo[10]. Nella riproposizione fattane da Guillaume Faye, questa idea risulta completamente succube della retorica dello scontro di civiltà di Samuel Huntington e Bernard Lewis, ammiccante nei confronti del suprematismo bianco nordamericano e contrassegnata da un disprezzo verso il mondo islamico e turanico che Thiriart, al contrario, non nutriva affatto[11].

Liberare la Germania e più in generale l’Europa dal male nichilistico occidentale, da quella prospettiva filosofica che ha portato, secondo le parole di Martin Heidegger, il Dasein europeo a decidere di non essere, fu l’obiettivo a cui Niekisch dedicò la sua intera esistenza.

Di fronte all’inesorabile declino della potenza nordamericana, che ha sostituito nella sua funzione imperiale la talassocrazia britannica, nuove fondamentali sfide e nuove opportunità si pongono all’Europa. Si consideri a tal proposito che il trumpismo è un mero effetto e non certo la causa di questo declino. La causa sarebbe da ricercare maggiormente, ancora una volta, nella sovraestensione dello pseudoimpero statunitense. Tuttavia il logos nordamericano, fondato su un presupposto esistenziale filosofico-messianico, è votato al gigantismo. Gli Stati Uniti o sono così o non sono. Tutto dipenderà dal fatto se accetteranno pacificamente o meno (ed al momento sembrerebbe di no) la perdita della loro egemonia unipolare sul globo. Ed il recente nuovo avvicinamento tra Russia e Germania (rifiuto tedesco ad aderire alla coalizione contro la Siria, rifiuto al rigetto unilaterale nordamericano dell’accordo sul nucleare iraniano, accordo con la Russia sul gasdotto North Stream 2) li spaventa non poco.

Appare altresì evidente che anche la Germania dovrebbe iniziare a valorizzare meglio ed a sfruttare il suo enorme potenziale geopolitico abbandonando un modello di politica estera e di unione con gli altri paesi europei che è improntato al mero ed egoistico interesse economico. Tale processo indubbiamente darebbe ulteriore slancio allo sviluppo di un ordine mondiale realmente multipolare.

Questo era ciò che si augurava Haushofer ripensando il mondo come un pluriversum di grandi spazi nella sua opera Geopolitica delle pan-idee[12]. Una visione non dissimile da quella di Niekisch e di Haushofer venne delineata dal politico e pensatore ungherese Ferenc Szálasi. Ponendo un’enfasi particolare sul concetto di “popolo guida” come popolo che in virtù delle sue disposizioni naturali è in grado di dare vita ad un movimento organizzativo, Szálasi riconobbe il ruolo centrale di diversi ethnos nello sviluppo dell’esistenza organica delle diverse aree dell’Europa: il popolo russo per ciò che concerne l’Europa nord-orientale, il popolo tedesco per l’Europa nord-occidentale, quello ungherese per l’Europa sud-orientale e quello italiano per l’Europa sud-occidentale e l’area mediterranea[13].

È proprio in questa dimensione che l’Italia può e deve trovare il suo spazio di azione geopolitica come pivot mediterraneo dell’Eurasia e non certo prestando il territorio nazionale al progetto di riaffermazione della supremazia nordamericana sull’Europa, progetto al quale agitatori “giudeo-cristiani” d’oltreoceano lavorano da tempo attraverso l’imposizione della formula di un “sovranismo” senza identità.


NOTE

[1]C. Mutti, L’isola e il continente, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” 3/2017.

[2]O. Spengler, Prussianesimo e socialismo, Edizioni di Ar, Padova 1994, pp. 48-50.

[3]A. De Benoist, Quattro figure della Rivoluzione Conservatrice tedesca. Werner Sombart, Arthur Moeller van den Bruck, Ernst Niekisch, Oswald Spengler, Controcorente, Napoli 2016, p. 292.

[4]Ibidem, pp. 301-303.

[5]C. Mutti, Prospettive geopolitiche, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 2/2018.

[6]G. R. Capisani, I nuovi Khan. Popoli e Stati nell’Asia centrale desovietizzata, BEM, Milano 2017, p. 245.

[7]C. Mutti, Il cordone sanitario atlantico, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 4/2017.

[8]Quattro figure della Rivoluzione Conservatrice tedesca. Werner Sombart, Arthur Moeller van den Bruck, Ernst Niekisch, Oswald Spengler, op. cit., p. 312.

[9]Si veda a tal proposito L. Disogra, Pierre Drieu La Rochelle: L’europeismo di un ribelle, www.eurasia-rivista.com.

[10]J. Thiriart, L’Europa fino a Vladivostok, “Eurasia” 4/2015 (prima parte) e “Eurasia” 4/2017 (seconda parte)

[11]G. Faye, The geopolitics of ethnopolitics: the new concept of Eurosiberia, testo presentato alla conferenza “Il futuro del mondo bianco”, Mosca 8-10 giugno 2006.

[12]K. Haushofer, Geopolitica delle pan-idee, Nuove Idee, Roma 2006.

[13]F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2017, p. 19.


PARTE II
NIEKISCH, LA QUESTIONE TEDESCA E L’EURASIA



In questo contesto si cercherà di evidenziare come la questione nazionale tedesca influenzò in modo determinante lo sviluppo di una visione prettamente eurasiatica nell’elaborazione teorica di un pensatore che ebbe modo di conoscere e opporsi a tutte e tre le ideologie politiche del Novecento.



La Germania, sin dal 1848, occupò un ruolo di primo piano nel progetto comunista di diffusione della rivoluzione proletaria su scala globale. Karl Marx e Friedrich Engles, a tal proposito, ebbero modo di scrivere così nel loro celeberrimo Manifesto del Partito Comunista: “Sulla Germania i comunisti rivolgono specialmente la loro attenzione, perché la Germania è alla vigilia della rivoluzione borghese, e perché essa compie tale rivoluzione in condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un proletariato molto più sviluppato che non avessero l’Inghilterra nel secolo XVII e la Francia nel XVIII”[1].

I due teorici tedeschi, concentrando le loro speranze rivoluzionarie sui paesi a capitalismo avanzato, convenivano sul fatto che fosse impossibile affidare l’affermazione del comunismo alla comunità rurale o, ancora peggio, all’“Oriente barbaro”. Fino agli ultimi anni della sua vita, Marx, la cui visione non era affatto priva di un certo razzismo occidentalizzante pervaso di sentimenti russofobici caratteristici dell’epoca in cui visse, continuò a considerare la Russia come una mera “metamorfosi della Moscovia formatasi alla scuola terribile ed abbietta della schiavitù mongolica”[2]. Engels, dal canto suo, vedeva nell’Impero zarista una pericolosa minaccia che avrebbe potuto sottomettere l’Occidente civilizzato all’agricoltura primitiva dei servi slavi[3].

Lo stesso Lenin, per anni, fu convinto che la Russia sovietica non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivenza senza la diffusione su scala globale del processo rivoluzionario. “O la rivoluzione scoppierà subito, o almeno molto presto, negli altri paesi capitalisticamente più avanzati, oppure, nel caso contrario, dovremmo soccombere”[4].

Appare quanto meno paradossale che un pensatore “antioccidentale” come Ernst Niekisch, la cui principale accusa al nazionalsocialismo fu propria quella di essere un prodotto dell’Occidente, potesse far propria una dottrina filosofico-politica dal carattere prettamente occidentale come quella marxista.

Infatti fu solo il bolscevismo, nella sua versione stalinista, ad avvicinare definitivamente il pensatore tedesco alla realtà “marxista” sovietica. Il bolscevismo, inteso come una versione nazionale e puramente russa del marxismo in cui le componenti razionali e progressiste si fondono con miti religiosi e arcaici, nella prospettiva di Niekisch, veniva percepito come una forma di rivoluzione contro l’Occidente che, attraverso l’ordine staliniano, aveva dato vita ad una sorta di perfetta sintesi eurasiatica.

“La Russia è rinata pescando dal suo istinto slavo-asiatico […] Durante la campagna di smantellamento della borghesia, la dottrina marxista ha giustificato questi istinti. Furono questi a rendere i bolscevichi coscienti della loro missione e sicuri della vittoria. Ma quando lo sterminio fu compiuto, si comprese che le idee marxiste non erano state all’origine di queste forze motivanti. In accordo con le necessità dei popoli slavo-asiatici, la Russia trasformò se stessa in uno Stato totale, anche se il marxismo voleva farla finita con lo Stato, avendolo considerato un’istituzione obsoleta. Malgrado le manifeste antinomie tra il marxismo e la volontà di sopravvivenza nazionale, essi appartenevano entrambi a questa dottrina che catalizzò il risveglio, la mobilitazione e l’affermazione della volontà vitale russa”[5].

Una versione “germanizzata” del bolscevismo (sintesi tra bolscevismo e prussianesimo) avrebbe dovuto dare vita ad un sistema machiavellico tale da poter permettere alla Germania di rovesciare e distruggere l’Occidente. Nella visione di Niekisch, infatti, la Prima Guerra Mondiale fu una vera e propria “crociata contro la Germania”[6] per fare in modo che essa si convertisse all’Occidente.

Anch’egli profondamente influenzato dalla dialettica hegeliana e dal protestantesimo prussiano, che attribuivano allo Stato un “portato etico e morale” tale da identificare nel Regno prussiano la realizzazione totale dell’Idea Assoluta, Niekisch non poté far altro che constatare come lo spirito tedesco possa trovare soltanto nello Stato il punto più elevato della sua oggettivazione. 

Al pari di Niekisch, il dirigente bolscevico Karl Radek fu capace di comprendere che la “questione nazionale” in Germania sarebbe stata il perfetto terreno per una offensiva ideologica contro l’imperialismo occidentale. Sconfitta ed umiliata senza aver subito una reale disfatta militare, la Germania, nei primi anni ’20 del XX secolo, era ridotta allo stato di semicolonia nel cuore dell’Europa. In questo contesto i comunisti, secondo Radek, si sarebbero dovuti dimostrare più “nazionali” dei nazionalisti nella consapevolezza che proprio il sentimento nazionale non può far parte del campo del capitale, che “svende la nazione al miglior offerente ed a potenze esterne al campo del lavoro”[7]. Così Radek, con l’approvazione di Stalin e Zinov’ev, ebbe modo di elogiare il militante nazionalista Albert Leo Schlageter, dipingendo il suo assassinio da parte delle forze di occupazione francesi nel bacino della Ruhr come un vero e proprio sacrificio che chiamava in causa lo stato di sottomissione della Germania ed affermando, al contempo, che nessuna rivoluzione sarebbe stata possibile senza passare prima per la liberazione della nazione. Né è da sottovalutare che lo stesso Radek ebbe modo di scrivere, in collaborazione col pensatore tedesco Moeller van den Bruck, un opuscolo sul nazionalbolscevismo nel quale il destino di Russia e Germania veniva presentato come inesorabilmente unito.

L’occidentalizzazione forzata della Germania, per Niekisch, fu una fonte di alienazione. E la democrazia stessa, nella sua essenza, era alienazione. Dunque, la nascita di ogni sincero sentimento nazionalista non poteva che provocare entusiasmo. Così il pensatore originario di Trebnitz, a proposito del Movimento nazionalsocialista, ebbe modo di affermare: “Il contenuto spirituale del nazionalsocialismo sembrava avere un collegamento diretto con la volontà vitale del popolo tedesco. Si può dire che è il linguaggio naturale, la forma espressiva conforme al significato in cui si rende comprensibile in modo immediato l’impulso vitale tedesco. Il nazionalsocialismo sembra la rivelazione dei più profondi segreti dell’anima tedesca”[8]. Tuttavia questo Movimento, dopo il fallito putsch di Monaco del 1923, indirizzandosi verso lo stile “romano”, decise in anticipo il suo destino: quello di disperdere l’energia tedesca nella mobilitazione per una causa persa. Il meglio della gioventù tedesca trovò rifugio nel nazionalsocialismo dando splendore al Movimento con la determinazione di ribellarsi contro l’ordine borghese. Ma il Movimento stesso abusò di questo ardore, e della fede dei giovani nel compimento di una missione trascendente, mettendoli al servizio di quelle forze che essi avevano giurato di distruggere.

In questo senso, l’analisi che Niekisch fece del Movimento nazionalsocialista non si dissociava dall’interpretazione marxista tradizionale, secondo la quale le originarie tendenze rivoluzionarie di quest’ultimo vennero stroncate sul nascere trasformandolo in mero strumento del “Grande Capitale”. Ma Niekisch, pur attribuendo le responsabilità di tale mutazione alla perniciosa influenza latina, fu abile nel comprendere comunque l’intrinseca complessità del fenomeno.

Attraverso un’analisi approfondita del Mein Kampf, il padre del nazionalbolscevismo riconobbe le doti di Adolf Hitler e ne comprese prima di tutti il progetto. “Il Mein Kampf di Hitler è, dal punto di vista psicologico, umano e politico, uno dei più straordinari documenti letterari che mai siano stati prodotti in Europa […] Il Mein Kampf non è un libro di uno che crede, ma il libro di un uomo che si è proposto come regola di vita di indurre gli altri a credere”[9].

Niekisch riconobbe inoltre l’impronta “islamica” che Hitler diede al Movimento nazionalsocialista. Egli, infatti, descrisse il Führer, oratore, teorico e organizzatore, come una sorta di rinato Profeta Muhammad: un vicario in terra la cui meta finale è di ordine superiore.

Anche Savitri Devi Mukherji, nella sua opera Il fulmine e il sole, paragonò la missione del Capo del Terzo Reich a quella del Profeta dell’Islam. Entrambi, nella visione della pensatrice esoterica, nell’epoca del Kali Yuga erano stati destinati a “salvare il salvabile”.

Pur ammettendone le doti, Niekisch è tuttavia ben più critico nei confronti di Hitler. Questi viene considerato come “un prodotto di Versailles” e la sua opposizione al bolscevismo ne è la dimostrazione più tangibile. Hitler, un demagogo che fa la guerra alla democrazia, non era che una variante dell’uomo democratico. Con lui la democrazia giunge al suo limite ultimo e prepara la strada al suo suicidio. Ed il Terzo Reich che si erge a bastione dell’antibolscevismo rappresenta la compiuta realizzazione della decadenza tedesca.

L’analisi di Niekisch non risparmia neanche l’intellettualità tedesca del periodo, che si rese più o meno complice con l’ascesa del nazismo. Heidegger in particolar modo è fatto oggetto di critica e con esso “l’ontologismo e l’esistenzialismo come filosofia degli attivisti fascisti”[10]. Ma, in questo caso, Niekisch non sembra comprendere l’intima profondità del pensiero heideggeriano. Inoltre, egli sembra ignorare il fatto che il grande filosofo tedesco, dopo un’iniziale adesione al Movimento, seguita anche da una lotta filosofica per mantenerne inalterata l’originaria purezza rivoluzionaria, ebbe modo di affrontare una crescente ostilità da parte di alcuni esponenti di spicco del nazionalsocialismo stesso. Walter Groß, su tutti, lo accusò in più di un’occasione di diffondere l’ateismo ed il nichilismo fiaccando il morale del popolo tedesco. Senza considerare che la critica heideggeriana all’Occidente ed ai fenomeni del gigantismo e dell’americanismo è ben più articolata di quella elaborata dallo stesso “antioccidentale” Niekisch. Infatti, se da un lato Heidegger riconosceva che Russia e America erano accomunate dal “correre sfrenato della tecnica”[11], dall’altro considerava quanto meno superficiale attribuire alla parola “nichilismo” la sfumatura di “bolscevismo”[12].

A onor del vero, il nazionalsocialismo era costituito da anime diverse e spesso in contrasto tra loro. Il pensatore belga Jean Thiriart ebbe modo di constatare come le organizzazioni nazionalsocialiste fossero piene di quelli che venivano definiti “bistecche”, “vale a dire bruni di fuori e rossi dentro”[13]. Questi costituivano l’ala sinistra del Movimento, che in politica estera si opponeva alla tendenza di Hitler di individuare nell’URSS il nemico principale.

Questa tendenza, secondo Niekisch, era dovuta alla natura essenzialmente occidentale di Hitler e di altri personaggi che ricoprivano ruoli di rilievo all’interno del Reich. Uno di essi era Alfred Rosenberg: caporedattore del principale organo del Partito ed autore della monumentale opera Il mito del XX secolo. Pur apprezzando il suo rigetto del mondo latino (cosa che portò i vertici del Reich ad indicare l’opera come il parto di idee personali dell’autore per non incrinare i rapporti con la Chiesa), Niekisch, negli esiti finali, rifiuta in toto le idee di Rosenberg. La visione geopolitica di questo tedesco del Baltico era infatti incentrata sulla creazione di un blocco delle “potenze baltiche” Germania, Svezia, Norvegia, Finlandia e Danimarca, a cui si sarebbe potuta aggiungere la Gran Bretagna come riserva strategica, che, fondandosi sulla magnifica comunità della razza nordica, avrebbe dovuto mandare in briciole l’impero russo-mongolo. Secondo Rosenberg la razza nordica, ed in particolar modo la sua componente tedesca, era destinata al dominio e lo scopo della sua esistenza era mettersi in marcia contro l’Oriente per possederlo e dominarlo. Così facendo, essa avrebbe iniziato la spartizione del globo con il resto dell’Occidente: la Gran Bretagna ed il Nord America.

Appare subito evidente come una simile conclusione sia in aperto contrasto con la visione del nazionalbolscevico Niekisch, il quale riconobbe nella complessa etnogenesi del popolo tedesco, prodotto della commistione di genti diverse (germani, slavi, romani, celti, iberi, avari, unni e magiari), la natura prettamente eurasiatica della Germania ed il suo destino di potenza unificante, non proiettata verso un mero dominio sull’Oriente.

Sulla falsariga del suo amico Karl Haushofer, Niekisch teorizzò la creazione di un blocco continentale antioccidentale che da Vlissingen arrivasse fino a Vladivostok. Una simile progettualità necessitava naturalmente di un “popolo guida”. In conformità con quello che Niekisch identificò come “l’eterno destino mancato della Germania”, Hitler nel Mein Kampf seppe riconoscere la virtualità d’estensione che un “polo geopolitico” deve naturalmente emanare sullo spazio ad esso circostante. “Il significato geopolitico del centro d’un movimento non può essere sottovalutato. Solo l’esistenza di un luogo da cui si emani l’incantesimo di una Mecca o di una Roma, a lungo andare, è in grado di assicurare a un movimento la forza, la quale si basa sull’unità interiore e sul riconoscimento d’un vertice che tale unità rappresenti”[14].

Tuttavia questa sacrosanta comprensione di una verità geopolitica si scontrò con quella che fu l’effettiva realizzazione della progettualità nazionalsocialista. Roma e Mecca, a differenza del Terzo Reich tedesco, in termini geopolitici furono centri imperiali che si espansero, parafrasando ancora una volta Jean Thiriart, attraverso forme di “imperialismo di integrazione” e non di puro dominio ed oppressione.

Jean Thiriart, rigettando il nazionalismo piccolo-tedesco del nazismo, fece proprio il progetto del blocco continentale di Niekisch e Haushofer, espandendolo fino alla costa atlantica, perché solo questa avrebbe rappresentato, per lo spazio eurasiatico unificato, un confine facilmente difendibile contro l’Occidente. In questo spazio unificato, un nuovo Stalin, conscio degli errori commessi dall’imperialismo di dominazione sia nazista sia sovietico, attraverso la realizzazione di uno Stato autocratico e spartano, avrebbe dovuto dare vita al più grandioso progetto nella storia dell’umanità: l’impero eurasiatico da Dublino a Vladivostok.


NOTE

[1]F. Engles – K. Marx, Il manifesto del Partito Comunista, Sezione IV – Posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti d’opposizione.

[2]P. Poggio, Marx sulla Russia, su www.comunismoecomunità.org. 

[3]K. Marx – F. Engels, Rivoluzione e Controrivoluzione in Germania, Rinascita, Roma 1949, p. 72.

[4]Contenuto in S. G. Azzarà, Questione nazionale e “fronte unico”, pubblicato su “Materialismo storico – Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, 2/2017.

[5]E. Niekisch, Una fatalità tedesca, Nova Europa Edizioni, Milano 2018, p. 48.

[6]Ibidem, p. 26.

[7]Questione nazionale e “fronte unico”, ivi cit.

[8]Una fatalità tedesca, op. cit., p. 49.

[9]E. Niekisch, Il regno dei demoni, Nova Europa Edizioni, Milano 2018, p. 139.

[10]Questa affermazione di Niekisch è abbastanza superficiale se si considera che alcuni pensatori marxisti come György Lukács e Costanzo Preve hanno abbondantemente rivalutato l’ontologia come strumento di analisi filosofico-speculativa. A ciò si aggiunga che Jean Paul Sartre, attivista comunista, legò indissolubilmente la sua fama allo sviluppo di una corrente filosofica esistenzialista di “sinistra”.

[11]M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano 1968, p. 48.

[12]M. Heidegger, Nietzsche, Adelphi Edizioni, Milano 1994, p. 362.

[13]J. Thiriart, L’impero euro-sovietico da Vladivostok a Dublino, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2018, p. 31.

[14]Contenuto in Il regno dei demoni, op. cit., p. 175.

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta cameragno!