lunedì 22 giugno 2020

JEAN THIRIART: PROFETA E MILITANTE (Carlo Terracciano)

“J’écris pour une espèce d’hommes qui n’existe pas ancore,
pour les Seigneurs de la Terre …
(F. Nietzsche, La Volontè de puissance).

“ Scrivo per una categoria di uomini che non esiste ancora,
per i Signori della Terra…”

L’improvvisa scomparsa di Jean Thiriart è stata per noi come un fulmine a ciel sereno; per noi, militanti europei che, nel corso di vari decenni, abbiano imparato ad apprezzare questo pensatore dell’azione, soprattutto dopo il suo ritorno alla politica attiva, dopo svariati anni di “esilio interiore” nel quale ha potuto meditare e riformulare le sue precedenti posizioni. A maggior ragione, la sua morte ha sorpresi noi, suoi amici italiani che lo abbiamo conosciuto personalmente nel suo viaggio a Mosca nel 1992, nel quale formavamo insieme una delegazione Europea-Occidentale in visita alle personalità più rappresentative del Fronte di Salvezza Nazionale. Questo fronte, grazie al lavoro dell’infaticabile Alexandre Dugin, animatore mistico e geopolitico della rivista Dyenn (il Giorno), iniziò a conoscere e a stimare gran parte degli aspetti del pensiero di Thiriart e li ha diffusi nei paesi dell’ex-URSS e in Europa Orientale. Personalmente, ho l’intenzione, nelle pagine che seguono, di onorare la memoria di Jean Thiriart sottolineando l’importanza che il suo pensiero ha avuto e ha ancora oggigiorno nel nostro paese; dagli anni ‘60/’70 nel campo della geopolitica. In Italia la sua fama riposa essenzialmente nel suo libro, il solo che ha realmente dato una coerenza organica alle sue idee nel campo della politica internazionale: “Un Impero di 400 milioni di uomini, l’Europa” edito da Giovanni Volpe nel 1965, quasi trent'anni or sono. Erano passati solo tre anni dalla fine dell’esperienza francese in Algeria. Questo drammatico evento fu l’ultima grande mobilitazione politica della destra nazionalista, non solo in terra di Francia, ma anche negli altri paesi d’Europa, Italia compresa. Le ragioni profonde della tragedia algerina non furono comprese dai militanti anti-gollisti che lottavano per un’Algeria francese. Non avevano capito quali erano le implicazioni geopolitiche di tale avvenimento e non compresero che le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale, in primo luogo gli Stati Uniti, intendevano ridistribuire le carte a loro vantaggio. Quanti di questi militanti dell’Algeria francese compresero allora qual’era il NEMICO PRINCIPALE della Francia e dell’Europa? Quanti di questi uomini capirono intuitivamente che, sul piano storico, la perdita dell’Algeria, preceduta dalla perdita dell’Indocina, erano le conseguenze dirette della disfatta europea del 1945? In effetti non fu solo una sconfitta della Germania e dell’Italia, ma dell’EUROPA INTERA, Gran Bretagna e Francia compresa. Non una sola colonia del vecchio sistema coloniale fu risparmiata dall’assoggettamento ad una nuova forma, più moderna e sottile, di imperialismo neo-coloniale. Meditando sugli avvenimenti di Suez (1956) e d’Algeria, i “nazional-rivoluzionari”, come si solevano chiamare loro stessi, finirono con il formulare diverse considerazioni ed analisi sulle conseguenze di questi due tragici avvenimenti: considerazioni ed analisi che li differenziavano sempre più dalla "destra classica” del nostro dopo guerra, animata da un anti-comunismo viscerale e dallo slogan della difesa dell’Occidente, bianco e cristiano, contro l’assalto congiunto del comunismo sovietico e dei movimenti di liberazione nazionali dei popoli di colore del Terzo Mondo. In un certo senso, lo choc culturale e politico dell’Algeria può essere comparato a ciò che fu, per la sinistra, l’insieme degli avvenimenti d’Indocina, prima e dopo il 1975. La vecchia visione della politica internazionale era perfettamente integrata alla strategia mondiale, economica e geopolitica della talassocrazia americana che, con la Guerra Fredda, era riuscita a riciclare le diverse destre europee, i fascisti come i post-fascisti, in funzione del suo progetto geostrategico di dominio mondiale. Il tutto per arrivare oggigiorno al “Nuovo Ordine Mondiale”, già parzialmente abortito e che sembra essere la caricatura capovolta e satanica dell’”Ordine Nuovo” eurocentrico di hitleriana memoria. La Nuova Destra francese, per fare un esempio, cominciò il suo cammino nel periodo della rivolta d’Algeria per intraprendere una lunga marcia di revisione politica ed ideologica, che ha portato al recente viaggio di Alain de Benoist a Mosca, tappa obbligata per tutti gli oppositori rivoluzionari d’Europa al Sistema Mondialista. L’apertura è quindi stata fatta da De Benoist, a dispetto delle sue ricadute e ulteriori rinnegamenti, appoggiati da qualcuno dei suoi più stretti collaboratori, i quali non hanno ancora evidentemente capito pienamente la portata reale di questi incontri tra Europei occidentali e Russi a livello planetario e preferiscono perdersi in sterili querelle di basso profilo, che non trovano altro che motivazioni personali, le quali rilevano piccoli odi e rancori idiosincratici. In questo campo come in altri, Thiriart aveva già dato l’esempio, opponendo alle differenze naturali esistenti tra gli uomini e le loro scuole di pensiero, l’interesse supremo della lotta contro l’imperialismo americano e sionista. Per tornare all’Italia, dobbiamo ricordarci la situazione che regnava in quel lontano 1965, quando prese forma l’opera di Thiriart: le forze nazional-rivoluzionarie, ancora integrate nel Movimento Sociale Italiano, erano allora vittime di un PROVINCIALISMO vetero-fascista cinicamente utilizzato dalle gerarchie politiche del MSI, completamente asservite alle strategie degli Stati Uniti e della NATO (linea politica che sarà seguita con fedeltà, anche nel corso della breve parentesi gestionale “rautiana”, che appoggiò l’intervento delle truppe italiane in Irak a fianco degli USA). I capi di questa destra collaborazionista utilizzarono i gruppi rivoluzionari di base, composti essenzialmente da giovani, per creare delle concentrazioni militanti destinate, in ultima istanza, a procacciare i voti necessari per mandare in parlamento dei deputati che avrebbero poi appoggiato esternamente governi reazionari di centro-destra. Tutto questo poi, non nell’interesse dell’Italia o dell’Europa, ma solamente di quello della potenza occupante, gli Stati Uniti. Una volta ancora siamo di fronte ad un piccolo nazionalismo centralizzatore e sciovinista, utilizzato con profitto per interessi stranieri e cosmopoliti! Era anche il periodo nel quale l’estrema destra era ancora in grado di mobilitare sulle piazze d’Italia migliaia di giovani per manifestare "l’Italianità eterna di Trento e Trieste" o per commemorare ogni anno i caduti d’Ungheria del 1956! Il Maggio ‘68 era ancora lontano, sembrava ancora distante anni luce! La destra italiana, nelle sue prospettive, non vedeva altro che questa “rivoluzione”. In un tal contesto umano e politico, vetero-nazionalista, provinciale ed, in pratica, filo-americano (che sboccherà in seguito nella farsa pseudo-golpista del 1970, che avrà per conseguenza, nel corso di tutto il decennio, i tristi “anni di piombo”, con il loro seguito di crimini), l’opera di Jean Thiriart fu per un grande numero di nazionalisti una vera e propria bomba; un elettro-choc salutare che mise l’estremismo nazionalista davanti a problematiche, che pur non essendo nuove, erano state dimenticate o erano cadute in disuso. Oggi, non possiamo non tenere conto degli effetti politici prodotti dal pensiero di Thiriart, anche se questi stessi effetti, in un primo tempo, furono alquanto modesti. Diciamo che a partire dalla pubblicazione del libro di Thiriart, la tematica europea è divenuta poco a poco il patrimonio ideale di tutta una sfera politica che, negli anni seguenti, svilupperà le tematiche antimondialiste attuali. Possiamo quindi affermare senza esagerazioni, che fu in quest’epoca che si svilupparono i temi dell’EUROPA-NAZIONE, di una lotta antimperialista che non fosse solo di “sinistra”, dell’alleanza geostrategica con i rivoluzionari del Terzo Mondo. L’adozione di queste tematiche è molto più sorprendente e significativa quando si pensi che l’avventura di JEUNE EUROPE cominciò dalla lotta contro il FLN algerino. Thiriart, su questo tema aveva cambiato completamente campo, senza per altro cambiare sostanzialmente la sua visione del mondo, lui che, qualche decennio prima, aveva lasciato i ranghi dell’estrema sinistra belga per aderire alla collaborazione col III° Reich, senza per altro perdere di vista il fattore URSS. Queste acrobazie politico-ideologiche gli valsero accuse di essere un “agente-doppio”, sempre al soldo di Mosca. In Italia, la sezione italiana di JEUNE EUROPE (Giovane Europa) fu rapidamente costituita. Malgrado l’origine politica della maggior parte dei militanti, Giovane Europa non aveva alcun punto di contatto con Giovane Italia, organizzazione studentesca del MSI (copiata a sua volta dalla ottocentesca Giovine Italia di Mazzini); al contrario Giovane Europa ne fu praticamente l’antitesi, l’alternativa. Anche se, una volta terminata l’esperienza militante di Giovane Europa la maggior parte dei suoi militanti si ritrovò dentro il Movimento Politico Ordine Nuovo (MPON), che si oppose alla linea politica tesa all'inserimento parlamentaristico, come sostenevano i partigiani di Rauti rientrati nei ranghi del MSI di Almirante. Se dobbiamo tenere conto del ruolo UNICO che ha giocato in Italia il pensiero di Julius Evola sul piano culturale ed ideologico, non si deve dimenticare che Jean Thiriart ha da parte sua, dato impulso, in quegli anni e per gli anni a venire, ad un tentativo originale di rinnovamento delle forze nazionali. Anche un Giorgio Freda riconobbe il valore e la portata del pensatore e militante belga. Altro aspetto particolare ed estremamente importante del libro Un impero di 400 milioni di uomini, l’Europa, è di aver anticipato di parecchi anni, una tematica fondamentale ritornata d’attualità in particolare in Russia, grazie alle iniziative di Alexandr Dugin e della rivista Dyen, ed in Italia grazie a riviste quali ORION e AURORA: la GEOPOLITICA. La prima frase del libro di Thiriart, nella versione italiana, è dedicata proprio a questa scienza essenziale che ha per oggetto i popoli e i loro governi, scienza che ha dovuto subire nel nostro dopoguerra un lungo ostracismo, sotto il pretesto di esser stata lo strumento dell’espansionismo nazista! Accusa per lo meno incoerente quando si sa che a Yalta i vincitori si sono spartiti le spoglie dell’Europa e del resto del mondo attraverso considerazioni prettamente geopolitiche e geostrategiche. Thiriart ne era perfettamente consapevole, e quando scrisse il primo capitolo del suo libro, lo intitolò significativamente “Da Brest a Bucarest. Cancelliamo Yalta!”. Così scrisse Thiriart : “Nel contesto geopolitico e di una comune civiltà, come sarà dimostrato in tempi a venire, l’Europa, unitaria e Comunitarista si deve intendere da Brest a Bucarest”. Scrivendo questa frase, Thiriart pose dei limiti geografici e ideali alla sua Europa, ma presto, passerà questi limiti, per arrivare ad una concezione unitaria del grande spazio geopolitico che è l’EURASIA. Ancora una volta, Thiriart dimostrò di essere un anticipatore lucido dei temi politici che presso i suoi lettori maturavano molto lentamente. Congiuntamente al grande ideale dell’EUROPA-NAZIONE e alla riscoperta della Geopolitica, il lettore è obbligato a gettare uno sguardo nuovo sui grandi spazi del pianeta. Un altro merito di Thiriart fu di aver superato il trauma europeo dell’era della decolonizzazione e di aver cercato, per il nazionalismo europeo, un'alleanza strategica mondiale con i governi del Terzo Mondo, non asserviti quindi agli imperialismi, in particolare nella zona araba e islamica, in Africa Settentrionale e nel Medio Oriente. Vero è che chi scopre la Geopolitica non può vedere gli avvenimenti del mondo intiero sotto un’ottica globale. Ed è in questo contesto, per esempio, che bisogna interpretare i numerosi viaggi di Thiriart in Egitto, in Romania, oltre che i suoi incontri con Chu En Lai e Ceausescu o con i leaders palestinesi. Dove fosse possibile farlo, Thiriart cercò di tessere una rete d’informazioni e d’alleanze planetarie in una prospettiva anti-imperialista. Dobbiamo dire che la rivoluzione cubana, per la sua originalità, esercitò a sua volta una grande influenza. Con il suo stile sintetico, quasi telegrafico, Thiriart tracciò lui stesso le linee essenziali della politica estera della futura Europa unita: “Le linee direttive dell’Europa unita:

insieme all’Africa: simbiosi
con l’America Latina: alleanza
col mondo arabo: amicizia
con gli Stati Uniti: rapporti basati sull’uguaglianza”.

A parte l’utopia della sua speranza di poter aver rapporti paritari con gli Stati Uniti, si noterà che la sua visione geopolitica era particolarmente chiara: Thiriart avrebbe voluto dei grandi blocchi continentali ed era estremamente lontano dalla visione di un piccola Europa “occidentale ed atlantica” che, come quella di oggi, non è che l’appendice orientale della talassocrazia yankee, avente per baricentro l’Oceano Atlantico, ridotto alla funzione di “lago interno” degli Stati Uniti. Certamente, oggi, dopo l’avventura politica di Thiriart, alcune di queste opzioni geopolitiche, negli ambienti nazionalisti, potrebbero apparire per alcuni scontate e quasi banali, semplicistiche ed integrabili per altri. Ma a parte il fatto che tutto questo non è molto chiaro per l’insieme dei “nazionalisti” (è sufficiente pensare a certe tesi razziste/biologiche e anti-islamiche di uno pseudo neo-nazismo, utilizzato strumentalmente per la propaganda americana e sionista in chiave anti-europea), non ci stancheremo di ripetere che, trent’anni fa, questa opzione puramente geopolitica di Thiriart, vergine da qualsiasi connotazione razzista, fu molto originale e coraggiosa in un mondo bipolare che opponeva in apparenza due blocchi ideologici e militari antagonisti, in una prospettiva di conflittualità “orizzontale” tra Est ed Ovest, sotto la continua minaccia di reciproco annientamento nucleare. Oggi possiamo quindi affermare che se un buon numero tra noi in Italia è giunto finalmente a superare progressivamente questa falsa visione dicotomica della conflittualità planetaria, e questo ben prima della caduta dell’URSS e del blocco sovietico, tutto ciò è dovuto al fascino che esercitarono le tesi di Thiriart ed alle sue geniali intuizioni. Effettivamente, possiamo parlare di genialità nella politica come in altri campi del sapere umano, quando si PREVEDONO e si EX-PONGONO (dal latino exponere, mettere in luce, mettere in evidenza) dei fatti o degli avvenimenti che sono ancora occulti, sconosciuti, poco chiari ai più e che si libereranno della loro oscurità solo gradualmente, per venire alla luce in un futuro più o meno lontano. Su questo punto, vogliamo solamente ricordare le asserzioni di Thiriart relative alla dimensione geopolitica del futuro Stato Europeo, espresse nel capitolo 10 intitolato “Le dimensioni dello Stato Europeo. L’Europa da Brest a Valdivostock” (da pag. 28 a 31 nell’edizione francese): “L’Europa giunta ad una grande maturità storica, ormai conosce la vanità delle crociate e delle guerre di conquista all’Est. Dopo Carlo XII, Bonaparte e Hitler, abbiamo potuto misurare i rischi di queste imprese ed il loro prezzo. Se l’URSS vuole conservare la Siberia, deve fare la pace con l’Europa, un’Europa, ripeto, da Brest a Bucaret! L’URSS non ha ed in futuro avrà ancora meno forza per conservare Varsavia e Budapest da una parte, Chita e Khabarovsk dall’altra. Dovrà scegliere o rischiare di perdere tutto”. E più avanti nel testo: “La nostra politica non è quella del generale De Gaulle perché egli ha commesso o commette tre errori: far finire la frontiera d’Europa a Marsiglia e non ad Algeri – far passare la frontiera del blocco URSS/Europa agli Urali anziché in Siberia – voler trattare con Mosca prima della liberazione di Bucarest” (pag. 31). Leggendo questi due brevi estratti dal testo, non si può più dire che Jean Thiriart mancasse di perspicacia e di preveggenza! Queste frasi furono scritte – ripetiamolo – in un’epoca in cui i militanti realmente europeisti, anche i più audaci, arrivavano appena a concepire un’unità europea da Brest a Bucarest, e cioè un’Europa limitata alla piattaforma peninsulare occidentale dell’Eurasia; per Thiriart, questo rappresentava solo una prima tappa, un trampolino di lancio, per un progetto più vasto, quello dell’unità imperiale continentale. Che non si parli più dunque delle destre nazionaliste, comprese quelle d’oggigiorno, che non fanno altro che ripetere all’infinito il loro provincialismo, sotto l’occhio vigile del loro padrone americano. Già trent’anni fa Thiriart andò molto oltre: denunciò l’assurdità geopolitica del progetto gollista (De Gaulle essendo stato un altro responsabile diretto della sconfitta d’Europa, nel nome dello sciovinismo vetero-nazionalista dell’Esagono) di un’Europa che si stendesse dall’Atlantico agli Urali, facendo sua, allo stesso tempo, quest’assurda visione continentale tipica dei professori di geografia che tracciano sulle carte una frontiera immaginaria sulle alture dei Monti Urali, che nella storia non hanno mai fermato nessuno, né gli Unni né i Mongoli e tantomeno i Russi. L’Europa si difende sui fiumi Amuri e Ussuri; l’Eurasia, e cioè l’Europa + la Russia, ha un destino chiaramente disegnato dalla Storia e dalla Geografia in Oriente, in Siberia, nel “Far East” della cultura europea, e questo destino la oppone quindi al “West”, all’Occidente della civilizzazione americana della Bibbia e del Business. Quanto alla storia degli incontri/scontri tra i popoli europei, tutto ciò non è nient’altro che GEOPOLITICA IN ATTO, come la Geopolitica non è altro che il destino storico dei popoli, delle nazioni, delle etnie, degli imperi, delle religioni IN POTENZA. Inoltre dobbiamo aggiungere che la concezione di Jean Thiriart era finalmente più Imperiale che Imperialista, per quanto ancora legata a modelli nazionalisti d'influenza francese rivoluzionaria. Egli ha sempre rifiutato, fino alla fine, l’egemonia definitiva di un popolo sugli altri. L’Eurasia di domani non sarà più russa di quanto non sia mongola, turca, francese o tedesca: poiché quando ognuno di questi popoli ha voluto cercare da solo l’egemonia sugli altri la storia ci insegna che è stato sempre sconfitto dagli altri: uno scacco che dovrebbe esserci servito da insegnamento. Chi avrebbe potuto, trent’anni fa, prevedere con tanta precisione la debolezza intrinseca al colosso militar-industriale che fu l’URSS, che sembrava all’epoca lanciato alla conquista di sempre nuovi spazi, su tutti i continenti, in aperta competizione con gli Stati Uniti che volevano superare? Col tempo, tutto ciò si è alla fine dimostrato un gigantesco bluff, un miraggio storico probabilmente fabbricato dalle forze mondialista dell’Occidente per assoggettare i popoli con un costante ricatto terroristico. Tutto questo per manipolare i popoli e le nazioni della Terra a beneficio del supremo interesse strategico, supremo, unico, imposto come sola “verità”: quello della superpotenza planetaria che sono oggi gli Stati Uniti, base territoriale armata del progetto mondialista. In fin dei conti, per dirla con il linguaggio della geopolitica, è la “politica dell’anaconda che ha prevalso”, come la definiva ieri il geopolitico tedesco Haushofer e come la definiscono oggi i geopolitici russi, alla testa dei quali si pone il colonnello Morozov; gli Americani ed i mondialisti cercano sempre di allontanare il centro territoriale d’Eurasia dai suoi sbocchi potenziali sui mari caldi, prima di grattare poco a poco il territorio della “tellucrazia” russa. Punto di partenza di questa strategia di erosione: l’Afghanistan. Nel suo libro del 1965, Jean Thiriart aveva già messo in luce le ragioni nude e crude che animavano la politica internazionale. Non è un azzardo dire che uno dei suoi modelli ispiratori fu Macchiavelli, autore del “Il Principe”. Certo, ci diranno i pessimisti, se il Thiriart analista di politica ha saputo anticipare e prevedere, il Thiriart militante, organizzatore e capo politico di un primo modello d’organizzazione transnazionale europea, ha fallito. Sia perché la situazione internazionale d’allora non era ancora sufficientemente matura, o marcia, come invece lo constatiamo oggi, sia perché non c’erano dei “santuari di partenza”, come Thiriart aveva considerato indispensabile. In effetti mancò a Jeune-Europe un territorio libero, uno stato completamente alieno ai condizionamenti imposti dalle superpotenze, che avrebbe potuto servire da base, da rifugio, da fonte d’approvvigionamento per i militanti europei del futuro. Un po’ come fu il Piemonte per l’Italia. Tutti gli incontri internazionali fatti da Thiriart a livello internazionale ricercavano questo obiettivo. Tutto è stato vano. Realista, Thiriart rinunciò allo scontro politico, per poter riprendere il suo discorso politico nell’attesa che si presentasse l’occasione, anche migliore di quella, di avere un grande paese a disposizione a cui poter proporre la sua visione strategica: la Russia. Il destino di questo cittadino belga di nascita ma Europeo di vocazione fu alquanto strano: è stato sempre “fuori dal tempo”, superato dagli avvenimenti. Li ha sempre previsti ma è stato sempre sorpassato da questi ultimi. La sua concezione della geopolitica eurasiatica, la sua visione che designa GLOBALMENTE gli Stati Uniti come il Nemico OGGETTIVO assoluto, può essere vista come l’indice di un “visionario” illuminato, frenato solo da uno spirito razionale cartesiano. Il suo materialismo storico e biologico, il suo nazionalismo europeo centralizzatore e totalizzante, la sua chiusura sulle tematiche ecologiste e animaliste, le sue posizione personali davanti alle specificità etno-culturali, la sua ostilità ai principi religiosi, la sua ignoranza di tutta una dimensione metapolitico, la sua ammirazione per il giacobinismo della Rivoluzione francese, pietre angolari per buona parte degli antimondialisti francofoni: tutte queste attitudini costituiscono dei limiti al suo pensiero e dei residui di concezioni vetero-materialiste, progressiste e darwiniane, che si allontanano sempre più dalle scelte culturali, religiose e politiche contemporanee degli uomini e dei popoli impegnati, in tutta l’Eurasia e nel mondo intero, nella lotta contro il Mondialismo. Le idee “razionaliste” che Thiriart fece sue, al contrario, sono state l’humus culturale e politico sul quale il Mondialismo è germinato nel corso del secolo passato. Questi aspetti del pensiero di Thiriart ci hanno rivelato i loro limiti, durante gli ultimi mesi della sua vita, in particolare durante i colloqui e le conversazioni di Mosca nell’agosto del 1992. Il suo sviluppo intellettuale sembrava essersi definitivamente fermato all’epoca dello storicismo lineare e progressista, con la mitologia di un “avvenire radioso per l’umanità”. Una tale visione razionalista non gli permise di comprendere dei fenomeni altrettanto importanti come il risveglio islamico e il rinnovato “misticismo” eurasista-russo, ed in particolare i loro progetti politici di un livello altamente rivoluzionario e anti-mondialista. Senza parlare dell’impatto delle visioni tradizionaliste di un Evola o di un Guenon. Thiriart veicolò quest’handicap “culturale”, cosa che non ci ha impedito di ritrovarci a Mosca nell’Agosto del 1992, dove abbiamo colto al volo queste sue incontestabili intuizioni politiche. Alcune di queste intuizione hanno fatto sì che egli si ritrovasse al fianco dei giovani militanti europeisti per andare ad incontrare i protagonisti dell’avanguardia “eurasista” del Fronte di Salvezza Nazionale russo, raccolto attorno alla rivista Dyen e al movimento da cui prende il nome. Abbiamo così scoperto nell’ex-capitale dell’impero sovietico, che egli era considerato dai russi come un pensatore d’avanguardia. Gli insegnamenti geopolitici di Thiriart sono germinati in Russia quando, e questo è indubbio, in Occidente sono ai più ancora sconosciuti. Thiriart ha avuto quindi un impatto lontano, nell’immensità dei ghiacci della Russia/Siberia, nel cuore del Vecchio Mondo, vicino al centro della Tellurocrazia Eurasiatica. E’ un’ironia della storia delle dottrine politiche che si manifesta al momento della loro attuazione pratica, ma è ancora valido l’antico adagio secondo il quale “nessuno è profeta in patria”. Il lungo “esilio interiore” di Thiriart sembrava dunque terminato; si era ritirato dalla politica attiva per sempre e aveva superato questo ritiro che all’inizio era stato una grossa perdita. Ci inondò di documenti scritti e resoconti d’interventi orali. Il flusso sembrava non doversi mai fermare! Come se volesse recuperare il tempo perduto nel suo silenzio disdegnoso. Guidato da un entusiasmo giovanile, a volte eccessivo ed angosciante, Thiriart si rimise a dare lezioni di storia e di geopolitica, di diritto e di politologia e di tutte le discipline immaginabili, ai generali e ai giornalisti, ai parlamentari e ai segretari, ai politici dell’ex-URSS e ai militanti islamici del CEI, e anche, ovviamente, a noi, gli Italiani che avevano, assieme a lui, conosciuto dei cambiamenti d’opinione in apparenza inattesi. Tutto questo accade nella Russia d’oggi, dove tutto è oramai possibile e niente è certo; abbiamo quindi davanti una Russia sospesa tra un glorioso passato ed un futuro tenebroso, ma con potenzialità inimmaginabili. E’ qui che Jean Thiriart ha ritrovato una nuova giovinezza. In una città come Mosca che sopravvive giorno dopo giorno tra l’apatia e l'attesa febbrile, che sembra aspettare “qualcosa” di cui non si conosce ancora né il nome né il volto; una città dove succede di tutto o dove tutto può succedere sospeso in una dimensione speciale, tra cielo e terra. Dalla terra russa tutto ed il contrario di tutto può scaturire: la salute e l’estrema perdizione, la rinascita e la decadenza, una nuova potenza o la disintegrazione totale di un popolo che fu imperiale ed è diventato, oggi, miserabile. Infine, è là e solamente là che si gioca il destino di tutti i popoli europei e in definitiva di tutto il pianeta Terra. L’alternativa è chiara; o avremo un nuovo impero eurasiatico che ci guiderà nella lotta di liberazione di TUTTI i popoli del globo o assisteremo al trionfo del mondialismo, dell’egemonia americana per il prossimo millennio. E’ là che lo scrittore e uomo politico Jean Thiriart aveva ritrovato la SPERANZA di poter mettere in pratica le sue passate intuizioni, questa volta in una scala ben più vasta. In questa terra di Russia, da dove può sorgere il messia dei popoli d’Eurasia, novello Avatar di un ciclo di civilizzazione o Anticristo delle profezie giovannee, avremo spazio per tutte le alchimie e le esperienze politiche, inconcepibili se guardate con gli occhi di un Occidentale. La Russia attuale è un immenso laboratorio, una terra politicamente vergine che si potrà fecondare con idee venute da lontano, una terra vergine dove la LIBERTA’ e la POTENZA si cercano per unirsi nella ricerca di nuove sintesi: come sottolinea Jean Thiriart nel suo libro fondamentale “il cammino della libertà passa per quello della potenza: non si dovrà mai dimenticare, e si dovrà insegnare a coloro che lo ignorano. La libertà dei deboli è un mito vetusto, una ingenuità usata a scopi demagogici o elettoralistici. I deboli non sono mai stati liberi e mai lo saranno. Esiste solo la libertà dei forti. Colui che vuole essere libero deve aumentare la propria potenza. Colui che vuole essere libero deve esser capace di fermare altre libertà, poiché la libertà è invadente e ha la tendenza a sconfinare su quella dei vicini più deboli”. Ancora: “E’ criminale dal punto di vista dell’educazione politica tollerare che le masse possano essere intossicate da menzogne tendenti ad indebolire il tessuto sociale come quelle che consistono nel “dichiarare la pace” ai vicini immaginando così di poter conservare la libertà. Ogni nostra libertà è stata conquistata a seguito di ripetuti combattimenti sanguinosi e alcune di queste libertà potranno esser mantenute solo se faremo sfoggio di una forza tale da scoraggiare coloro che vorrebbero privarcene. Che siano a livello individuale o a livello di nazione, noi conosciamo l’essenza della libertà, la potenza. Se vogliamo conservare la prima, dobbiamo coltivare la seconda. Esse sono inseparabili” (pag. 301-302). Ecco una pagina che già da sola potrebbe assicurare al suo autore un posto in una qualsiasi facoltà di storia delle scienze politiche. Quando finalmente tutto sembrava di nuovo possibile e quando i giochi delle grandi strategie politiche ritornavano in primo piano, su una scacchiera grande come il mondo, quando Thiriart intravedeva la possibilità di dar vita alla sua grande idea di Unità, ecco realizzarsi l’ultimo scherzo del destino: la Morte. A dispetto della sua ineluttabilità, essa è un avvenimento che ci sorprende sempre, che ci lascia con un sentimento di dispiacere e di incompletezza. Nel caso di Thiriart, la morte fa vagabondare lo spirito e ci immaginiamo tutto quello che quest’uomo d’elite avrebbe ancora potuto apportare, tutto quello che avrebbe potuto insegnare a coloro che parteggiano per la nostra causa, fosse anche solo con semplici scambi di opinioni o formulando proposte su materie culturali e politiche. Infine, dobbiamo sottolineare quanto sia completa l’opera di Thiriart. Più di altri, egli aveva reso sistematico il suo pensiero politico, restando sempre pienamente coerente con le sue idee, rimanendo fedele allo stile di vita scelto. A lui, meno di chiunque altro, non si potrà far dire post mortem cose che non siano state realmente dette, né adattare i suoi testi e le sue tesi alle esigenze politiche del momento. Resta il fatto che senza Jean Thiriart noi non avremmo potuto essere quello che siamo diventati. Siamo in effetti suoi eredi sul piano delle idee, che lo si sia conosciuto personalmente o attraverso i suoi scritti. Siamo stati, in un momento o l’altro della nostra vita politica, debitori delle sue analisi politiche e delle sue intuizioni folgoranti. Oggi, ci sentiamo tutti un po’ orfani. Vogliamo in questo momento ricordarci di uno scrittore politico, di un uomo semplicemente passionale, impetuoso, di una vitalità debordante, il viso sempre illuminato da un sorriso giovane con l’anima agitata da una passione divorante, la stessa che brucia in noi, senza vacillare, senza la minima insicurezza o la minima debolezza. Il caso Jean Thiriart? E’ l’incarnazione vivente, vitale, di un uomo d’elite che porta lo sguardo oltre l’orizzonte, che vede dall’alto, al di là delle contingenze del presente dove le masse restano prigioniere. Ho voluto tracciare il profilo di un PROFETA MILITANTE.

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