Les derniers coups de feu continuent de brillerDans le jour indistinct où sont tombés les nôtres.
Sur onze ans de retard, serai-je donc des vôtres ?
Je pense à vous ce soir, ô morts de février.
“I capi si mescolino fra di loro come hanno fatto i soldati. Perché i soldati, Clérence, si sono mescolati su quella piazza. Ho visto i comunisti vicino agli uomini dell’estrema destra; li guardavano, li osservavano turbati, con uno strano desiderio dipinto sul volto. Per un pelo non si sono incontrati, in un miscuglio stridente, tutti gli ardori della Francia. Capisci, Clérence? Corri dai giovani comunisti, indica loro il nemico comune di tutti i giovani, il vecchio radicalismo corruttore” – così Drieu La Rochelle, uno degli scrittori francesi del “Romanticismo fascista”, fa dire a Gilles, protagonista del romanzo omonimo, pubblicato, nel 1939, da Gallimard e censurato dal governo della III Repubblica. E’ il 6 Febbraio 1934, a Parigi, in Place de la Concorde, per la prima volta, si sono incontrati, in una grande manifestazione di protesta contro l’emblema della partitocrazia, il Palais-Bourbon (La Camera dei deputati), e contro il governo del radical-socialista Daladier, militanti dell’estrema destra e dell’estrema sinistra, i Camelots du Roi, gli attivisti dell’Action Francais (il movimento monarchico-tradizionalista di Charles Maurras) ed i giovani operai della “cintura rossa”, membri delle Jeunesses Patriotes e militanti comunisti, ex combattenti e disoccupati.
Una marea di quarantamila manifestanti che, tra ali di folla, marcia contro il simbolo del potere, cantando la Marsigliese e l’Internazionale, sventolando il tricolore e la bandiera rossa, urlando “Vive la France”, “Les Soviets partout”, “Via i ladri dal potere”. Da alcuni anni la Francia era scossa da uno dei più clamorosi scandali della sua storia, “l’affaire Stawisky”, che aveva coinvolto e travolto decine di politici, di banchieri, di magistrati, di giornalisti. Sergio Alexandre Stawisky, finanziere di successo con un passato malavitoso, grazie alle sue entrature politiche ed alle amicizie create con l’entourage parlamentare della III Repubblica, era riuscito a garantirsi l’impunità per i suoi traffici illeciti, che spaziavano dalla vendita di sostanze stupefacenti alle truffe valutarie, al controllo del gioco d’azzardo. Malgrado i numerosi dossier che si erano accumulati su di lui, Stawisky sembrava inattaccabile. I processi ottenevano inspiegabili rinvii. Le prove si annacquavano. Le banche continuavano a fargli credito. Poi, nell’Ottobre 1933, grazie alla denuncia di una compagnia d’assicurazioni contro il Monte di Pietà di Bayonne, controllato dal finanziere, emerge, insieme ad un deposito cauzionale di gioielli contraffatti o rubati, un giro di polizze false per decine di milioni di franchi, occultate grazie alla complicità del sindaco radical-socialista di Bayonne. Stawisky, questa volta alle strette, fugge e si dà alla latitanza. Ma l’8 Gennaio 1934 viene trovato morto nelle vicinanze di Chamonix, dopo che tre agenti di polizia avevano fatto irruzione nella villa che lo ospitava. Autentico suicidio o tentativo di tappare la bocca ad un testimone scomodo? L’opinione pubblica francese non ha dubbi, anche perché qualche nome comincia a trapelare, grazie al ritrovamento delle matrici di un libretto di assegni, che permette di individuare alcuni protettori di Stawisky, tra cui risultano i ministri del Commercio, dell’Agricoltura e del Lavoro, oltre che lo stesso primo Ministro in carica Camille Chautemps. Subito la stampa di destra si impadronisce del caso, accusando il regime repubblicano di essere controllato dall’alta finanza. Il 27 Gennaio Camille Chautemps si dimette. L’incarico di formare il nuovo governo viene affidato a Daladier, leader del partito radical-socialista, agli occhi dell’opinione pubblica simbolo della stessa crisi del sistema parlamentare, ormai travolto dagli scandali. E’ Daladier che, dopo avere allontanato il Prefetto di Polizia Jean Chiappe, inviso alla sinistra, e proprio mentre il parlamento vota contro la richiesta di nominare una commissione d’indagine sullo scandalo Stawisky, ordina di reprimere con la massima energia qualunque manifestazione che potrebbe “minacciare la democrazia”. Ma la protesta è ormai inarrestabile. “Verso le sette (del 6 febbraio 1934, ndr) - scrive un altro narratore della giornata, Robert Brasillach
(in I prigionieri) - Gilbert si trovava in Via Reale, sempre solo, sempre errabondo e senza una meta. Non era successo nulla. Aveva sentito gridare, più volte, ‘Abbasso i ladri! Abbasso i corrotti!’, poi un silenzio carico di scalpiccii e di mormorii, era tornato accanto a lui. I giornali della sera parlavano del nervosismo di Parigi e tuttavia erano prodighi di parole distensive, assicuravano che il governo voleva la giustizia, ma che ogni tentativo di disordine sarebbe stato fermamente represso. I giornali politici del mattino erano stati più violenti; convocavano gli iscritti dei partiti in Corso della Regina. L’Humanité (quotidiano comunista, ndr), persino lei, schierava le sue truppe accanto agli ex combattenti, cioè ai Volontari nazionali. Sembrava che al di sopra delle divisioni un vasto raggruppamento nazionale e sociale cominciasse a determinarsi e le anime semplici ne deducevano grandi speranze”. Di fronte a quello schieramento compatto di folla, che si scaglia contro il Palais-Bourbon, la polizia inizia ad aprire il fuoco. Dalle 18 fino a tarda sera, Place de la Concorde, il cuore di Parigi, si trasforma in un campo di battaglia. Primo a cadere è un giovane di Jeunesses Patriotes. Volano i pezzi del pavè parigino ed anche dagli assalitori partono alcuni colpi di arma da fuoco. Le forze dell’ordine sbarrano il ponte de La Concorde, a poche centinaia di metri dal parlamento, con camion ed idranti dei pompieri. Mentre l’atrio della Camera dei deputati diventa un’infermeria improvvisata per i poliziotti feriti, in aula i deputati della destra si scagliano contro il governo al grido di “Assassini!”. Intorno alle 23 la barriera, posta a difesa del Palazzo, sembra cedere. Di fronte all’urto concentrato di diecimila assalitori, gli idranti non bastano più. A questo punto la polizia spara ancora, ad altezza d’uomo. La massa dei manifestanti si sbanda e si divide. Una parte verso il Ministero della Marina, altri, a piccoli gruppi, nei boschetti del Corso della Regina e fino alla rotonda dei Campi Elisi. Si organizza la caccia all’uomo e si contano le vittime: 16 morti e 655 feriti tra gli assalitori, un morto e 1664 feriti tra le forze dell’ordine, che hanno sparato 527 colpi. Per un attimo, la miscela esplosiva, “entre le rouge et le noir”, ha fatto vacillare il Palazzo e ha azzerato le vecchie divisioni politiche, trasformando il 6 Febbraio in un data simbolo, non a caso più volte celebrata e narrata dagli eretici del “Socialismo fascista”, dagli inquieti intellettuali ricercatori della sintesi tra l’elemento nazionale e quello sociale, oltre la destra e la sinistra. E che qualcosa di grande ed inusuale, insieme all’asprezza della repressione, fosse accaduto quel giorno a Parigi lo confermano anche le parole di un osservatore distaccato, come l’esule antifascista Carlo Rosselli, che, a ridosso degli avvenimenti di Place de la Concorde, così scrive alla madre: “E’ una grossa disfatta per la sinistra radicale e socialista che pagano il fio delle loro incertezze, debolezze e insincerità. Per la prima volta nella storia della Repubblica un governo è decapitato dalla piazza, non perché questa piazza fosse realmente rappresentativa (in provincia ci sono state, sia pure troppo tardi, vigorose risposte), ma perché le masse di sinistra erano o indifferenti o timide o compromesse dalla incapacità e dalla sottigliezza dei capi”. Non a caso di fronte alle decisioni e alle collusioni dei vecchi capi del radicalismo socialista e dello stesso Partito Comunista Francese, mentre il fronte dei partiti antifascisti si ricompatta contro le minacce “reazionarie”, saranno i militanti comunisti, condotti da Jacques Doriot (mitico sindaco della rossa Saint-Denis, città operaia alla periferia di Parigi, Doriot, dopo i fatti del Febbraio 1934, inizierà la sua rottura con l’apparato del PCF, rottura che lo porterà a fondare il Partito Popolare Francese, esempio di “fascismo autentico” alla francese) che il 7 Febbraio rilanciano gli slogan anti-partitocratici che avevano guidato i manifestanti a Place de la Concorde e pagano, con sei morti e centinaia di feriti, il loro tributo di sangue. Ma già il 9 Febbraio i vecchi schemi tornano a dettare legge. Comunisti e socialisti organizzano una manifestazione di protesta contro i “fascisti del 6 Febbraio”. Il 12 è lo sciopero generale, indetto sulla stessa linea. Dopo le dimissioni di Daladier, Gaston Doumergue forma un governo di “unione nazionale” che dovrebbe avviare le riforme costituzionali e fare chiarezza sull’intero “affaire Stawisky”. Cadrà nel Novembre successivo senza avere realizzato i suoi programmi, soprattutto per l’opposizione dei radicali e del loro capo Herriot. Insieme al sogno del febbraio parigino, della piazza unita contro il “nemico comune”, tramonta la speranza di fare chiarezza nelle torbide vicende che hanno infangato la III Repubblica. Drieu La Rochelle, analizzando (in Socialismo fascista) i fatti del Febbraio 1934 vi vedrà la prova dell’indebolimento di tutte le vecchie formazioni politiche e della necessità di ipotizzare nuove sintesi. Robert Brasillach, l’intellettuale raffinato condannato a morte perché - come dirà il Pubblico accusatore Reboul - i suoi articoli “hanno fatto più danno alla Resistenza di un battaglione della Wehrmacht”, alla vigilia della sua fucilazione, nella notte tra il 5 ed il 6 Febbraio 1945, si ricorderà ancora (in Poemi di Fresnes) dei caduti di Place de la Concorde e, quasi a suggellare il mito incompiuto di una Rivoluzione che non fu, dedicherà “Ai morti di Febbraio” la sua ultima poesia: “Le ultime fucilate continuano a lampeggiare/ Nel giorno nebbioso, nel quale sono caduti i nostri. Con dodici anni di ritardo, sarò dunque fra voi ? A voi penso stasera, o morti di Febbraio!”.
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