Come spesso accade, è il mediaticissimo Raphaël Liogier – del quale tutti conoscono già le grandi capacità di predizione su qualsiasi tema relativo all’Islam – che ha saputo formulare con maggiore franchezza, o forse con più ingenuità, i postulati di base della nuova sinistra siliconista (per riprendere l’espressione di Pierre Musso). «È un po’ narcisistico – dichiarava nel 2015 – pensare che il meglio, l’assoluto, l’ideale, sia l’uomo così come esiste oggi […]. Chi lo dice? Giusto quel genere di uomo che, avendo molta paura di cambiare, ha bisogno di ritrarsi. Si potrebbe dire che è una forma equivalente al nazionalismo. Ci si ritrae nella propria identità, ma in questo caso si tratta della propria identità corporea» [a] (cfr. Peste islamiste, anthrax transhumaniste: le temps des inhumains, testo accessibile in rete sull’eccellente sito di Pièces et main-d’oeuvre, 2016). Di fronte a questa strana fascinazione per un uomo del futuro geneticamente modificato (variante liberista dell’uomo nuovo di san Paolo e di Stalin) [b], coperto dalla testa ai piedi di microchip, biologicamente liberato dal pesante fardello del sonnellino [c] e connesso in tempo reale a tutti i suoi cloni sparsi sul pianeta (deve servire un bel po’ di odio rivolto verso di sé per arrivare a voler cambiare l’identità fino a questo punto e non avere quindi più altro sogno che quello di diventare un puro e semplice individuo tecnologicamente assistito), viene inevitabilmente da pensare alla celebre battuta del critico americano: «Se i fascisti dovessero mai tornare tra noi, non avranno più la camicia nera o bruna, ma il camice bianco» [d].
[a] Questa fobia di tutte le «identità», che definisce la sensibilità liberale, si spiega in primo luogo col fatto che ogni senso di appartenenza (che si tratti dell’appartenenza a una cultura, a una classe, o anche – come si riscontra in Raphaël Liogier – semplicemente al genere umano esistente) è per definizione incompatibile col progetto di atomizzazione del mondo – il regno degli individui atomizzati – che sta nel nocciolo del capitalismo. Progetto i cui postulati filosofici risalgono in parte al nominalismo di Guglielmo di Occam che, fin dal XIV secolo, poteva già scrivere che Totum sunt partes (il che si potrebbe tradurre liberamente, e in modo thatcheriano, così: «La società non esiste, esistono solo gli individui»). Ma poiché l’uomo è per natura un animale sociale, e la natura sociale ha orrore del vuoto, la progressiva dissoluzione delle identità culturali che compie in modo continuo la logica del mercato non può dunque avere, in un sistema capitalista sviluppato, che una sola conseguenza: il fatto che «oggi il consumo (e le sue appendici, in particolare le “industrie culturali”) si è imposto come un dispositivo centrale dell’elaborazione identitaria» (Philippe Moati, La Societé malade de l’hyperconsommation, Paris, Odile Jacob, 2016). Questa fobia liberale dell’identità può anche assumere, all’occasione, delle forme indubbiamente strane. Come accade per esempio con Jean-Loup Amselle, quando arriva a scrivere d’impulso queste parole decisamente sconcertanti (Les Nouveaux Rouges-Bruns, Fécamp, Lignes, 2014): «Più che l’antisemitismo e l’islamofobia, a me sembrano essere ancora più nefaste le loro facce simmetriche e contrarie: il filosemitismo e l’islamofilia». Il fatto che per Jean-Loup Amselle l’antisemitismo sia meno «nefasto» della preoccupazione di proteggere le comunità ebraiche o l’interesse per la loro cultura specifica potrebbe spiegare, almeno in parte, l’incredibile popolarità di cui egli gode ormai presso un’ampia parte dell’estrema sinistra francese.
[b] Senza nemmeno tener conto degli ostacoli filosofici al progetto transumanista (che senso avrebbe, infatti, un’umanità composta da miliardi d’individui immortali che continuasse a riprodursi in modo esponenziale, e per di più messa di fronte, prima o poi, all’estinzione del sistema solare?), e di quelli ecologici (dove trovare, su un pianeta finito, le materie prime indispensabili alla continua produzione di protesi biotecnologiche della Silicon Valley?), sarebbe anche necessario riflettere un istante sul costo economico di un progetto simile. Il sistema sanitario francese, che pure è uno dei più generosi del mondo, fatica già a coprire un certo numero di forme di assistenza (non è certo un caso se François Hollande paragonava i più poveri a degli «sdentati»). È anche la ragione per la quale la CIA, nel suo rapporto Global Trends 2030, pubblicato nel 2012 dal National Intelligence Council, stimava che solo il 15% della popolazione mondiale potrebbe eventualmente trarre beneficio, nei decenni a venire, da alcuni di questi meravigliosi progressi medici e tecnologici a base di silicone. Stima, in tutta evidenza, ancora ottimista. In realtà, è molto più verosimile che simili «progressi», supponendo che non rientrino tutti nel campo della fantascienza, potranno essere riservati solo a una esigua «élite» (era del resto il tema dei film di Andrew Nichols, da Gattaca a In Time). Élite i cui criteri resterebbero dunque da definire filosoficamente. Questo problema non sembra dare troppi pensieri al prode Raphaël Liogier, il quale evidentemente pensa che, qualunque sia la definizione di élite in questione, lui avrebbe comunque in essa, ovviamente, il suo posto.
[c] Cfr. Jonathan Creary, 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno (Torino, Einaudi, 2015).
[d] Come giustamente ricorda Erwan Cairo su «Libération» del 14 maggio 2016, «nel 1964, per gli studenti di Berkeley che sfilavano con delle finte schede perforate della IBM intorno al collo, il computer rappresentava il complesso militare-industriale. Un decennio più tardi, per gli hacker californiani del Homebrew Computer Club – da cui sono usciti i fondatori di Apple, Steve Jobs e Steve Wozniak – lo stesso oggetto è invece una promessa di emancipazione». Nel frattempo, la vecchia sinistra è ovviamente diventata la nuova sinistra – il celebre dibattito tra Chomsky e Foucault, nel 1971, rappresentava alla perfezione quel passaggio di testimone tra quell’antica sinistra di tendenza socialista, ancora appoggiata su valori etici basilari, e la futura sinistra liberale «assiologicamente neutra» degli anni Ottanta («Quello che mi colpisce, in Foucault – riconoscerà del resto un po’ più tardi Noam Chomsky – è il suo totale amoralismo. Non avevo mai incontrato nessuno che mancasse di moralità fino a questo punto»).
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta cameragno!