Esiste la seduzione e la schiavitù dell’aristocratismo. Ma ancor più sussiste la seduzione e la schiavitù della borghesia. La borghesia non è soltanto una categoria sociale legata alla struttura classista della società, ma è anche una categoria spirituale. Io mi interesserò principalmente della borghesia come categoria spirituale. Probabilmente più di ogni altro per la denuncia della saggezza borghese ha fatto Léon Bloy nel meraviglioso libro Exegèse des lieux communs. La contrapposizione della borghesia al socialismo è molto relativa e non scende in profondità nel problema. Herzen comprendeva bene che il socialismo può essere borghese. La concezione del mondo della maggior parte dei socialisti è tale che essi non comprendono nemmeno che esiste un problema spirituale della borghesia. Il borghese in senso metafisico è un uomo che crede saldamente solo nel mondo delle cose visibili che gli impongono il loro riconoscimento, e vuole occupare una posizione salda in questo mondo. È schiavo del mondo visibile e della gerarchia delle posizioni che si stabiliscono in questo mondo. Non valuta gli uomini per ciò che sono, bensì per ciò che hanno. Il borghese è cittadino di questo mondo, è il re della terra. È al borghese che è venuta in mente l’idea di diventare re della terra.
Questa è stata la sua missione. L’aristocratico conquistava terre, contribuiva con la sua spada all’organizzazione dei regni. Ma non poteva ancora diventare re della terra, cittadino di questo mondo, per lui esistevano dei confini che non poteva mai valicare. Il borghese è profondamente radicato in questo mondo, è soddisfatto del mondo in cui si è sistemato. Il borghese ha scarso sentimento della vanità del mondo, della nullità dei beni mondani. Il borghese prende sul serio la potenza economica, che non di rado venera in modo disinteressato. Il borghese vive nel finito, ha paura della forza attrattiva dell’infinito. È vero che riconosce l’infinita crescita di potenza economica, ma questo è l’unico infinito che vuole conoscere, e si ripara dall’infinito spirituale con la finitezza dell’ordine vitale che ha stabilito. Riconosce l’infinita crescita di prosperità, la crescita di organizzazione nella vita, ma ciò può solo incatenarlo nella finitezza. Il borghese è un essere che non vuole trascendersi.
Il trascendente lo ostacola nel suo insediarsi sulla terra. Il borghese può essere «credente» e «religioso», e addirittura invoca la «fede» e la «religione» per mantenere la propria posizione nel mondo. La «religione» del borghese però è sempre una religione del finito, che incatena al finito, preclude sempre l’infinità spirituale. Il borghese è un individualista, soprattutto quando si tratta della proprietà e del denaro, ma è antipersonalista, gli è estranea l’idea della persona. In sostanza il borghese è un collettivista, la sua interiorità, la sua coscienza, il suo giudizio sono socializzati, è un essere di gruppo. I suoi interessi sono individuali, ma la sua coscienza è collettiva. Se il borghese è cittadino di questo mondo, il proletario è un essere che è privato della cittadinanza in questo mondo e non possiede la coscienza di questa cittadinanza. Per lui non c’è posto su questa terra, deve cercare posto su una terra trasfigurata. A ciò si lega la speranza, di cui il proletario si fa carico, di trasfigurare questa terra e di costruirvi una nuova vita. Questa speranza del proletario di solito non si realizza, perché quando il proletario vince diventa borghese, cittadino di questo mondo trasfigurato e re di questa terra. E allora riprende sempre la stessa storia. Il borghese è una figura eterna in questo mondo, non è invariabilmente legato a una certa struttura, anche se nel sistema capitalistico raggiunge la sua espressione più chiara e riporta le vittorie più fulgide. Proletario e borghese sono correlativi e trapassano l’uno nell’altro. Già nelle sue opere giovanili Marx definiva il proletario come un uomo la cui natura umana è alienata al massimo grado. Gli deve essere restituita la sua natura umana. Ma è facilissimo che essa gli venga restituita come natura borghese. Il proletario vuole diventare borghese, però diventare un borghese collettivo, non individuale, vale a dire in un nuovo sistema sociale. Socialmente il proletario ha assolutamente ragione nel suo contrasto col borghese. E contro il fatto che egli stesso diventi borghese non ci devono essere opposizioni sociali, ma solo opposizioni spirituali. La rivoluzione contro il regno della borghesia è una rivoluzione spirituale. Essa non si oppone affatto alla verità della rivoluzione sociale, al mutamento di posizione sociale da parte del proletariato, ma muta e trasfigura il carattere spirituale di questa rivoluzione. Il borghese è l’essere più oggettivato, più proiettato all’esterno, il più alienato dalla soggettività infinita dell’esistenza umana. La borghesia è la perdita di libertà dello spirito, la subordinazione dell’esistenza umana al determinismo. Il borghese vuole tutto per se stesso, ma non pensa e non dice nulla di per sé, possiede una proprietà materiale ma non possiede una proprietà spirituale.
Il borghese è un individuo, e talora un individuo ipertrofico, ma non una persona. Diviene persona nella misura in cui supera il suo borghesismo. L’elemento della borghesia è un elemento impersonale. Tutte le classi sociali hanno la tendenza a entrare in questa atmosfera. Si possono imborghesire l’aristocratico, il proletario, l’intellettuale. Il borghese non può superare la propria borghesia. Il borghese è sempre schiavo. È schiavo della sua proprietà e del denaro, è schiavo della volontà di arricchimento, schiavo dell’opinione comune borghese, schiavo delle posizioni sociali, è schiavo degli schiavi che sfrutta e di cui ha timore.
La borghesia è uno stato di non-libertà spirituale e psichica, è la subordinazione di tutta la vita alla determinazione esteriore. Il borghese costruisce un regno fatto di cose, e le cose lo governano. Ha fatto tantissimo per lo sviluppo vertiginoso della tecnica, e la tecnica lo comanda, egli asservisce l’uomo alla tecnica. In passato il borghese ha avuto dei meriti, ha manifestato una eccezionale iniziativa, ha fatto molte scoperte, ha sviluppato le forze produttive dell’uomo, ha superato il potere del passato e si è rivolto al futuro, che gli appariva come infinita crescita di potenza.
Per il borghese la cosa più importante non è il «da dove» ma il «verso dove». A suo tempo il borghese è stato un Robinson Crusoe. Ma nel periodo della sua giovinezza creativa il borghese non era ancora borghese. Si è assestato in seguito sul tipo borghese. Bisogna concepire dinamicamente il destino del borghese, esso non è sempre stato unico e uguale a se stesso. Questo orientamento del borghese al futuro, questa volontà di innalzarsi, di arricchirsi, di giungere fino ai primi posti costituisce il tipo dell’arrivista(1).
L’arrivismo è per eccellenza la concezione del mondo borghese, e si contrappone profondamente a ogni aristocratismo. Nel borghese non c’è rimando ai primordi, ha cattivi ricordi della sua origine e del suo passato a differenza dell’aristocratico, che se li ricorda fin troppo. È principalmente il borghese che ha creato il lusso privo di stile e vi ha asservito la vita. Nel lusso borghese muore la bellezza. Il lusso vuole fare della bellezza uno strumento della ricchezza, e in questa operazione la bellezza muore. Nella società borghese fondata sul potere del denaro il lusso si sviluppa principalmente grazie all’amore muliebre del borghese. La donna, oggetto della bramosia del borghese, crea il culto del lusso che non conosce limiti. E questo è anche il limite della spersonalizzazione, della perdita di dignità personale. L’essere umano nella sua esistenza interiore svanisce e cede il posto al lusso che lo circonda. Persino l’immagine corporea dell’uomo si rende artificiale, ed è impossibile distinguere in essa il volto della persona. La donna borghese, in nome della quale il borghese costruisce il mondo fittizio del lusso e compie delitti, ricorda una bambola, è un essere artificiale. Qui bisogna ricordare la filosofia dell’abbigliamento di Carlyle.
Marx vedeva nel borghese una missione positiva - lo sviluppo di forze produttive materiali - e un ruolo negativo, addirittura criminale - lo sfruttamento del proletariato. Per lui però il borghese era esclusivamente una categoria sociale, non vi vedeva una profondità maggiore. Il borghese ha la tendenza insuperabile a costruire un mondo fittizio, che asservisce l’uomo, e dissolve il mondo delle realtà autentiche. Il borghese costruisce il regno più fittizio, il più irreale, il più mostruoso nella sua irrealtà, il regno del denaro. E questo regno del denaro, in cui svanisce ogni nucleo reale, possiede una potenza terribile, un potere terribile sulla vita umana; impone e rovescia governi, fa scoppiare guerre, riduce in schiavitù le masse operaie, genera disoccupazione e miseria, rende sempre più fittizia la vita degli uomini che si dimostrano fortunati in questo regno. Aveva ragione Léon Bloy. Il denaro è un mistero, nel potere del denaro c’è qualcosa di misterioso. Il regno del denaro, l’estremo dell’impersonalità, rende fittizia la stessa proprietà. Giustamente Marx dice che il capitalismo distrugge la proprietà privata.
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Il borghese ha un rapporto singolare con la proprietà. Il problema del borghese è il problema del rapporto tra«essere» e «avere». Il borghese non si definisce per ciò che è, ma per ciò che ha. Con questo criterio giudica gli altri uomini. Il borghese ha una proprietà, denaro, ricchezza, mezzi di produzione, una posizione nella società. Ma questa proprietà a cui si è tanto attaccato non costituisce la sua persona, cioè ciò che egli è. La persona è ciò che l’uomo è, essa rimane anche quando l’uomo non ha più niente. La persona non può dipendere dalla proprietà, dal capitale. Ma la proprietà deve dipendere dalla persona, dovrebbe essere proprietà personale. La negazione del sistema borghese capitalistico non è la negazione di ogni proprietà, ma è piuttosto l’affermazione della proprietà personale che in quel sistema si è ormai persa. Però la proprietà personale è una proprietà di lavoro e reale. È inammissibile una proprietà che si renda strumento di asservimento e di oppressione dell’uomo sull’uomo. Nel suo nucleo reale personale la proprietà non può essere una creazione dello stato o della società. Lo stato e la società non possono essere soggetti di proprietà, perché in generale non possono essere soggetti di nulla. Il trasferimento della proprietà su di loro è un’oggettivazione. Lo stato e la società sono solo degli intermediari, regolatori e garanti, devono impedire che la proprietà diventi strumento di sfruttamento. Proprietario in senso assoluto non possono esserlo né un uomo singolo, né la società, né lo stato. In questo la proprietà somiglia alla sovranità. Non si può trasferire la sovranità assoluta del monarca al popolo, occorre limitare e superare ogni sovranità. Non si può trasferire la proprietà assoluta da un individuo allo stato e alla società. Ciò significherebbe creare una nuova tirannia e schiavitù. La proprietà è limitata e relativa per sua natura, ha un significato solo funzionale in rapporto alla persona. L’unica proprietà ammissibile e reale è il possesso. Si può affermare la proprietà solo come possesso, non di più. La proprietà è sempre relativa all’uomo, funzionale, umana, esiste per l’uomo. La proprietà non è per niente sacra, l’uomo è sacro. Il mondo borghese ha sconvolto la proprietà, l’ha disumanizzata, asservisce l’uomo alla proprietà, determina il proprio rapporto con l’uomo secondo la proprietà. Qui ci imbattiamo in un fenomeno stupefacente. Gli avversari del socialismo, gli apologeti del sistema capitalistico, amano dire che la libertà e l’indipendenza di ogni uomo sono legate alla proprietà. Sottraete all’uomo la sua proprietà, trasferite la proprietà alla società e allo stato, e l’uomo diventerà servo, perderà ogni indipendenza. Se questo però è vero, allora è un’accusa terribile al sistema borghese-capitalistico, che priva di proprietà una larga parte del popolo. Si ammette in questo modo che i proletari si trovano in una condizione servile e sono privati di ogni indipendenza. Se la proprietà è garanzia della libertà e dell’indipendenza dell’uomo, allora tutti gli uomini, tutti senza eccezioni, devono essere proprietari, è inammissibile l’esistenza del proletariato. Questa è la condanna della inadeguata proprietà borghese, che si rivela fonte di schiavitù e di oppressione. Ma il borghese desidera la proprietà solo per se stesso, come fonte della propria libertà e indipendenza. Non conosce altra libertà di quella che gli viene concessa dalla proprietà. La proprietà gioca un ruolo duplice. La proprietà personale può essere garanzia di libertà e indipendenza. Ma la proprietà può anche rendere l’uomo schiavo, schiavo del mondo materiale, schiavo degli oggetti. La proprietà perde sempre di più il suo carattere individuale. Tale è il carattere del denaro, il grande asservitore dell’uomo e dell’umanità. Il denaro è il simbolo dell’impersonalità, il denaro è lo scambio impersonale di tutto con tutto. Il borghese cessa addirittura di essere soggetto della proprietà in nome del proprio e si trasforma in anonimo. Nel regno del denaro, assolutamente irreale, nel mondo di carta delle cifre, dei libri contabili, delle banche, non si comprende più chi è proprietario e di che cosa.
L’uomo passa sempre di più dal regno reale a un regno fittizio. L’orrore del regno del denaro è duplice: il potere del denaro non è solo un’offesa ai poveri e agli indigenti, ma anche l’immersione dell’esistenza umana nella finzione, nell’illusorietà. Il regno del borghese termina con una vittoria della finzione sulla realtà. La finzione è l’espressione estrema dell’oggettivazione dell’esistenza umana. La realtà è legata non all’oggettività, come spesso si pensa, ma precisamente alla soggettività. Il soggetto è l’originario, non l’oggetto. Che non tutto funzioni bene nella proprietà è visibile già da come si agita lo sguardo degli uomini quando il discorso viene a toccare la loro proprietà e il loro denaro: essi provano imbarazzo. Sarebbe ingiusto dire che il borghese è sempre interessato e pensa solo al profitto. Il borghese può essere un uomo tutt’altro che interessato ed egoista, in lui può esserci un amore disinteressato per lo spirito borghese, è possibile addirittura un amore disinteressato per il denaro e il profitto. Max Weber ha mostrato a sufficienza che allo stadio iniziale del capitalismo ci fosse ciò che egli ha definito Innerweltliche Askese (2). Il borghese può essere un asceta e non darsi affatto pensiero delle delizie e delle comodità della vita, può essere un uomo di principi. È anche falso dire che la vita del borghese è felice. I saggi di tutto il mondo e di ogni tempo hanno detto che la ricchezza e il denaro non dànno la felicità, questo è diventato un luogo comune. Per me la cosa più importante è che il borghese stesso è schiavo e rende schiavi gli altri. È una forza impersonale ad asservire, e in suo potere si trovano sia il borghese che i proletari; una forza che proietta l’esistenza umana nell’oggettività. Il borghese può essere molto virtuoso, può essere, e di solito lo è, custode delle norme. Ma il dominio demoralizza il borghese. Ciascuna classe dominante si demoralizza. Più di ogni altra cosa demoralizza il dominio mediante la ricchezza.
È ingenuo pensare che il borghese può essere vinto e annientato da un mutamento di sistema sociale, per esempio il sistema capitalistico dal sistema socialistico o comunistico. Il borghese è eterno, rimarrà fino alla fine dei tempi, si trasforma e si adatta alle nuove condizioni. Il borghese può diventare anche comunista, oppure il comunista può diventare borghese. È una questione di struttura psichica, non sociale. Da ciò non consegue naturalmente che non bisogna cambiare struttura sociale. Ma non si deve credere che la struttura sociale crei automaticamente un uomo nuovo. Socialismo e comunismo possono essere spiritualmente borghesi, possono realizzare una giusta ed equa ripartizione di borghesia. Il borghese non crede seriamente nell’esistenza di un altro mondo, non vi crede nemmeno nel caso in cui professi formalmente una qualsivoglia fede religiosa. La qualità della religione per lui si misura dai servizi che rende all’organizzazione di questo mondo e alla conservazione della sua posizione in questo mondo. Il borghese non correrà il rischio di sacrificare alcunché di questo mondo in nome dell’altro mondo. Il borghese ama dire che il mondo perisce e termina quando giunge la fine della sua potenza economica, quando vacilla la sua proprietà, quando gli operai reclamano un mutamento della loro condizione. Ma questa è solo una retorica convenzionale. Il borghese non sente la fine e il giudizio finale. Gli è estranea la prospettiva escatologica, non è sensibile alla problematica escatologica.
Nell’escatologia c’è qualcosa di rivoluzionario, vi si annuncia la fine del regno mediano borghese. Il borghese crede nell’infinità del proprio regno e si comporta astiosamente con tutto ciò che gli ricorda questa fine. Contemporaneamente, lo stesso borghese è una figura escatologica, nella sua figura c’è una delle conclusioni della storia del mondo. Il mondo finisce in parte perché esiste il borghese, se egli non ci fosse il mondo potrebbe estendersi all’eternità. Il borghese non vuole la fine, vuole rimanere in una mediocrità senza fine, e proprio per questo la fine ci sarà. Il borghese vuole l’infinito quantitativo, ma non vuole l’infinito qualitativo che è l’eternità. La realizzazione del borghese, che si attua per diverse vie, si oppone alla realizzazione della persona. Ma il borghese rimane un uomo, in lui rimane l’immagine di Dio, è soltanto un peccatore che ha assunto il suo peccato come norma, e bisogna comportarsi con lui come uomo, come persona potenziale.
È un’empietà guardare al borghese esclusivamente come a un nemico destinato alla distruzione. Così fanno coloro che vogliono insediarsi al suo posto e trasformarsi in nuovi borghesi, in nouveaux riches della società. È necessario lottare contro il dominio borghese, contro lo spirito borghese, dovunque si manifesti. Ma non bisogna diventare simili a esso, vederlo come mezzo. Il borghese tradisce la sua umanità, ma non si deve tradire l’umanità nei rapporti con lui.
Fonte: "Schiavitù e libertà dell'uomo", Nikolaj Berdjaev
Note:
1) L’arrivista (in francese arriviste) è il carrierista, colui che aspira con ogni mezzo al successo.
2)Ascesi mondana.
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