venerdì 31 dicembre 2021

Per una politica rivoluzionaria (Ernst Niekisch)

Rivoluzione nazionalbolscevismo, Niekisch

Le analisi di Niekisch come questa sono fondamentali per una serie di motivi: sono una ricostruzione storica lucida e di prim'ordine; parlano di un'occupazione politica e culturale dalla quale liberarsi, situazione che viviamo anche oggi; sottolineano l'importanza della geopolitica e della politica estera; indicano come filosofia occidentalista e dominio di potenze occidentali sia la stessa cosa. Anche se questo scritto è del 1926, abbiamo ancora
 tanto da imparare.

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Ma bisogna dire questo: se firmiamo questa pace, ci porremo sotto la costrizione della forza. Nel nostro cuore, rifiutiamo questa pace” – Vorwärts, 8 maggio 1919


La politica tedesca in quanto tale non può avere altri obiettivi che la riconquista dell'indipendenza nazionale, la rottura dei vincoli imposti, e la ricostituzione di un'importante influenza globale. Dal punto di vista tedesco, che è naturalmente il nostro, non c'è niente di più importante di questi obiettivi. Tutta la nostra politica domestica, sociale, economica e culturale deve ricevere questo impulso, la sua linea generale e lo spirito che lo domina. Il sentimento di questa necessità è quasi onnipresente! Quante volte, lasciandoci pervadere dalle preoccupazioni della politica interna, la politica estera ha abbandonato il nostro campo visivo. Ci sono “grandi” giornali tedeschi che non parlano quasi mai di politica estera, come se questo la rendesse parte delle banalità della nostra esistenza nazionale. Al contrario, ogni ritardo alla modifica dell'insegna dell’erario, ancora in stile monarchico, li preoccupava in grande misura. Senza una parola da dire, nemmeno infastiditi, non avendo la coscienza tranquilla, si privano del gioco della politica globale, in ragione della nostra debolezza, imponendoci innumerevoli umiliazioni, ingiustizie e pericolosi attacchi contro il futuro del Reich. Così larghi strati della nostra gente cercano la causa della loro sventura esclusivamente nella situazione politica interna. Sperano che basti sostituire qualche alto funzionario, sciogliere un'organizzazione segreta, imporre dazi differenti alle importazioni, ridurre le tasse doganali, convocare o sciogliere il Reichstag, procedere con nuove elezioni, che tutto cambi all'interno del Paese. Ignorano il contenuto del Trattato di Versailles. Non sanno che il commissario incaricato dei risarcimenti è l'uomo più potente della Germania, che le nostre ferrovie e il nostro denaro sono nelle sue mani. Non hanno idea di prospettare i debiti che pesano su di noi e non capiscono che il Piano Dawes, in definitiva, è una questione che tocca gli stipendi dei tedeschi. Il tenore di vita del lavoratore tedesco si riduce nella misura in cui rimborsiamo gli obblighi del Piano Dawes. Il costo della vita per il lavoratore, da una parte, e il Piano Dawes accanto al Trattato di Versailles, dall'altra, sono incompatibili. Strappare questi trattati, revocare gli obblighi che impongono, rompere gli impegni sarebbe l'unica politica tedesca che salverebbe l'operaio da un assoggettamento irrimediabile. A questo punto le esigenze del lavoratore e gli interessi della Nazione coincidono: se egli oserà lottare per il suo spazio vitale e la sua libertà, guiderà, allo stesso tempo, la battaglia per la liberazione di tutta la Nazione. La missione nazionale a noi affidata e il modo in cui essa sarà adempiuta dipenderanno dalla sua futura posizione sociale e politica.

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Nessuno, nemmeno un folle, può, al momento, immaginare una lotta aperta. Ciò richiederebbe tattiche moderate di cui non disponiamo. Ma potremmo anche approfittare dei vantaggi delle congiunture globali, che in realtà ci sono proibite. È conveniente essere pazienti. Tuttavia, non dobbiamo cadere in una pazienza inattiva, una pazienza di rilassamento e demoralizzazione. Dobbiamo prepararci per i grandi compiti: morali, organizzativi e di altra natura. La questione è sapere se abbiamo energie sufficienti, se dobbiamo persistere, resistere, se non ci adatteremo pigramente al nostro destino, se non accetteremo i fatti in modo disinvolto. Siamo molto forti, perseveranti, ostinati nella difesa della nostra causa, della nostra fede, del nostro futuro contro un mondo ostile e troppo potente, anche se sembra insensato, impossibile e inutile intraprendere questa missione? Ci opporremo con una volontà inflessibile, uno spirito di incrollabile resistenza all'assalto di potenze straniere, dispotiche, pretenziose, violente e intolleranti, che si vantano delle vittorie acquisite in alto combattimento? Se conserviamo infallibilmente questa volontà e questo spirito, rimarremo nella nostra attuale impotenza solo per un periodo che verrà superato, non ci farà cadere e ce lo lasceremo indietro con coraggio.

È vero che la forza e la durata della resistenza sono determinate dal fatto che le si interiorizzi nella propria coscienza, istintivamente o in tutta conoscenza della causa, delle sorgenti profonde e vive che alimentano le potenze contro le quali questa resistenza deve essere diretta. È tempo di capire che una delle origini del nostro disagio è la spiritualità occidentale, questa spiritualità che con i suoi tratti “liberali” e le allegre melodie “progressiste” è riuscita a conquistare anche gli operai. Essa riprende fedelmente l'immagine del mondo dei capitani d'industria inglesi e dei finanzieri francesi, come se potesse davvero essere l'espressione e il fine dell'esistenza, dell'ambiente proletario e dei suoi desideri. Essere occidentali significa: usare la parola libertà per commettere frodi, dichiararsi partigiani dell'umanità per aprire la strada al crimine, distruggere i popoli con un appello alla pace. La Gran Bretagna, l'Inghilterra “libera”, ha strangolato gli indiani e gli egiziani. La Francia, generosa e umana, ha avvelenato i marocchini e i siriani. Queste grandi nazioni guadano nel sangue dei popoli schiavizzati in virtù della loro missione di “civiltà”. La pace “giusta” che l'eminenza occidentale Wilson aveva promesso, quella era la pace che ci è stata imposta a Versailles.

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Non faremo altro che facilitare gli obiettivi degli Stati vincitori se continuiamo a dare rifugio e tolleranza al loro spirito. Ci mancheranno la fiducia in noi stessi e la sicurezza sovrana nel prepararci a sferrare un colpo, se immettiamo i loro princìpi nella nostra terra. In tali condizioni, le giustificazioni mancheranno di passione, grandezza storica e profondità simbolica. Il dibattito non affronterà più nulla di essenziale o significativo, né toccherà questioni profonde. Lo ha capito bene la Russia, quando la sua indipendenza era minacciata dalla schiacciante supremazia occidentale: in quel momento ruppe totalmente con tutto ciò che non era di origine russa – con la cultura e le regole economiche, sociali e politiche dell'Occidente – con passione e forza invincibile. In Germania, invece, la situazione è molto diversa. Nel nostro Paese non solo i singoli, ma anche interi partiti politici sono affascinati dallo spirito occidentale. Per molto tempo, alcuni ambienti capitalistici, in particolare la grande borghesia, si sono dati anima e corpo all'Occidente; altri pensano che sia utile – per ragioni economiche – guadagnarne la fiducia. Non molto tempo fa, il professor Bonn ha affermato: “Il monopolio nazionale non può più assicurare il reddito abituale e gli investimenti di capitale. È a questo punto che offrono fraternamente la loro mano destra da oltre le frontiere, dove stava il nemico, e gridano: ‘dimentichiamo il passato!’. Per salvaguardare il loro monopolio, sono diventati cosmopoliti. Nelle sale di riunione e nella proiezione della propaganda si sente già l'odore della fraternizzazione dei popoli”. Per preservare i loro profitti, essi si sono schierati contro il proprio Paese e si sono ingraziati i francesi, gli inglesi e gli americani nella caccia al bottino. Vendono il futuro della loro Nazione per ottenere una quota di borsa più alta. I difensori di un accordo con l'Occidente, il cui scopo è di rendere permanente la situazione creata da Versailles, sono, all'interno del nostro Paese, gli agenti e i difensori degli interessi nemici. Chi li vuole contrastare non si sta occupando di politica interna, ma di politica estera. Occorre arrivare a considerare e trattare come corruttori della Nazione tutti coloro che, per avere successo negli affari, favoriscono l'indebolimento dello spirito di opposizione all'Occidente. Questo vale anche per quei “tedeschi” che sostengono attivamente l'applicazione del Trattato di Versailles, in cui risiedono i loro interessi – di cui essi non fanno menzione, incassando migliaia di marchi. Sono lontani da noi, sono stranieri e nemici come tutti coloro che, invocando Versailles, si guadagnano da vivere. La rivolta e la resistenza senza tregua contro di loro e contro tutto ciò che è occidentale – dentro e fuori i nostri confini – deve diventare il nostro atteggiamento naturale. Certamente, questo è rivoluzionario. Ma non dovrebbe lasciare dubbi: ovvero dobbiamo essere un popolo rivoluzionario, o saremo soffocati nel pantano, e cesseremo di essere un popolo libero per sempre.

Ernst Niekisch, 1926

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