giovedì 19 maggio 2022

I primi saranno soli, terribilmente soli (Jean Thiriart)

Guerriero, Thiriart

Vi sono delle persone che davanti ad una rivoluzione, nella sua origine, si comportano esattamente come dei giovincelli davanti alla porta di una casa di malaffare: dandosi dei colpi vicendevolmente col gomito: “se vai tu, vado anch’io”. Per finire che non ci va nessuno dei due. Così di fronte alla proposta di una “lunga marcia politica” si dileguano con il pretesto che “gli altri non ci sono ancora”. Sono prigionieri di comportamenti gregari e non fanno se non ciò che gli “altri” fanno. Questo per quanto riguarda gli uomini presi individualmente.

Quando invece si osserva la condotta di gruppi politici che pretendono di essere concorrenti - in realtà non lo sono perché hanno obiettivi differenti – questi trovano un pretesto nel fatto che “ciò sarebbe un avvicinamento” per restare nella propria posizione e temporeggiare. La selezione di un piccolo numero si opera partendo da un grandissimo numero.

Accade così per i salmoni di cui pochissimi raggiungono l’età adulta. Accade così per le élites umane ed in particolare per le élites rivoluzionarie.
Accade lo stesso per i gruppi o gruppetti rivoluzionari. Un gruppo rivoluzionario è sempre stato in partenza – per forza di cose – un gruppetto. Per questo è un obbligo iniziare da “soli”. Attendere gli altri, desiderare gli “alleati” vuol dire comportarsi da seguace e non da precursore.

E' soprattutto quando un gruppo si mette in moto che vede ingrossarsi i propri ranghi.

A guisa di una fanfara di paese: fin tanto che essa prepara i suoi strumenti, polarizza l’attenzione di pochi sciocchi, ma appena si mette in marcia e incomincia a suonare i suoi strumenti, uno per uno, gli sciocchi diventano seguaci.

Traendo una lezione da questo, diremo che non bisogna attendere di avere una orchestra al gran completo per mettersi in moto. Una volta iniziata la marcia, quel clarinetto che mancava arriverà, quel flautista che mancava verrà anch’esso.
Così nella sua tecnica di reclutamento – ciò non è valido per il combattimento – il movimento dovrà manifestarsi anche quando i suoi effettivi sono visibilmente incompleti, anche quando i suoi obiettivi sono smisurati e apparentemente assurdi rispetto alla sua consistenza.


Rimandare sempre la marcia con il pretesto che non si è ancora abbastanza numerosi, vuol dire condannarsi definitivamente all’inazione.
Coloro che sono scoraggiati dal piccolo numero, non possiedono la qualità indispensabile ai veri capofila, la capacità di agire con un “numero disperato” e quella di fare una cosa non perché vi siano delle possibilità che essa riesca, ma perché deve essere fatta.

La diversità fra i due tipi d’uomini è facilmente osservabile anche nella vita di ogni giorno. Un uomo difenderà la sua donna contro due teppisti senza preoccuparsi della sua inferiorità numerica, egli lo farà perché “questo deve fare”.

Ugualmente, in pieno inverno, un uomo si getterà nell’acqua fredda per salvare un giovane senza attendere l’arrivo dei pompieri o di una ambulanza perché “questo si deve fare”. E’ il senso del dovere attivo.

L’impresa della rivoluzione nazional-europea è una azione che riuscirà. E’ nel senso della vita delle Nazioni.

Ma, nel momento in cui un uomo raggiunge la nostra falange, poco importa che egli sappia di poter vedere la vittoria. La strada di questa vittoria è cosparsa di tombe, non ne abbiamo alcun dubbio.
Per l’uomo di dovere, l’arruolamento non deve essere determinato dalla certezza della vittoria; il suo arruolamento deve essere un atto di fede, un atto di dovere e il comportamento una missione.
Che sia il 2° o il 2.000° o anche il 200.000° che raggiunge la formazione, questo – per gli uomini di valore – non ha alcun significato intrinseco. Egli giunge non appena ha saputo, si arruola non appena il mezzo per arruolarsi gli è stato proposto per la prima volta.
Quando un uomo di coraggio sale quattro a quattro i gradini di un edificio in fiamme per andare a salvare un bambino, non si preoccupa di sapere se i pompieri, che sono stati chiamati, siano ancora a 1 chilometro o a 10 chilometri dal luogo del sinistro.
E’ da queste azioni che si rivelano le élites e le élites rivoluzionarie. Solo essi fanno “ciò che deve essere fatto”. Le persone prive di decisione si giustificano frequentemente della loro inerzia ragionando su un “risveglio” sicuro dell’Esercito o su una vigilanza sicura della Chiesa.

Essi dicono allora: “mai l’Esercito permetterà questo” o ancora “la Chiesa millenaria, nella sua saggezza e nella sua potenza, porrà un freno in tempo”.
Si tratta ancora di pseudo-giustificazioni di vigliaccheria e di pigrizia.

L’Esercito “che non lascia fare” è un mito. I militari – e in particolare quelli di grado più alto – sono dei funzionari preoccupati della pensione e il loro senso dell’onore non giunge a far loro rischiare l’avanzamento.

La Chiesa è piena di progressisti e di deboli mentali, sul piano politico.
Esercito e Chiesa sono corrotti tanto quanto il resto della nostra società. La lebbra della viltà non li ha risparmiati.

Ci sarà necessario iniziare soli, terribilmente soli. Non bisogna assolutamente pensare che l’argine all’attuale ondata di vigliaccheria e di abbandono sia posto da corpi costituiti come i militari, la Chiesa o i magistrati.
Da piccola debolezza in piccola debolezza, essi lasceranno fare tutto, eccetto rare eccezioni.
La rinascita del coraggio fisico in Europa sarà preparata da un piccolissimo gruppo d’avanguardia: quello al quale noi facciamo appello qui.
Solo in SEGUITO a questo gli elementi dell’Esercito, della Chiesa, della Magistratura riacquisteranno il loro coraggio e ci aiuteranno.
Ma i primi saranno SOLI, terribilmente soli.

Jean Thiriart da "L'Europa: Un impero di 400 milioni di uomini"

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