lunedì 12 giugno 2023

Clochemerle ovvero la politica dell’orinatoio (Jean-Claude Michéa)

*Clochemerle è un piccolo villaggio creato dalla fantasia dello scrittore Gabriel Chevallier, diventato sinonimo di luogo d’intrighi e di bassezze (N.d.T.).

kalessaradan Paul Bielaczyc

La fusione che Jaurès e Millerand invocavano con le loro raccomandazioni tra il movimento operaio socialista – che fino a quel momento si era tenuto in disparte rispetto alle divergenze parlamentari tradizionali [a] – e la sinistra radicale e repubblicana (è quel sistema integrato che definirà da quel momento in poi la nuova sinistra del XX secolo) entrerà definitivamente nel costume politico francese solo nel corso degli anni Trenta e per effetto della crescente minaccia del fascismo hitleriano
[b] (da questo punto di vista, dunque, è proprio l’esperienza dei Fronti popolari che consentirà di fare attecchire nell’immaginario collettivo l’idea – che oggi quasi più nessuno pensa di contestare – secondo la quale una sensibilità di sinistra include, per definizione, una dimensione «sociale», se non addirittura anticapitalista). Ciò significa, tra l’altro, che fino alla fine degli anni Venti – se si lascia da parte un istante la scena parigina e si volge lo sguardo verso la «provincia» (il vero luogo della politica, diceva Albert Thibaudet) – ciò che ancora definiva il più delle volte un «uomo di sinistra» (espressione che del resto inizia a diffondersi solo all’indomani dell’affaire Dreyfus) era non tanto la sua lotta contro la modernizzazione capitalistica del mondo quanto la sua accanita opposizione repubblicana e «radicale» alle «forze reazionarie», vale a dire alle ultimissime sopravvivenze [c] del potere della Chiesa cattolica e dell’antica aristocrazia terriera [d].

Sotto questo profilo, la lettura di Clochemerle, il piccolo capolavoro di Gabriel
NEGOZIO NAZBOL

Chevallier [e], uscito in Italia col titolo Peccatori di provincia (Milano, Longanesi, 1949. Nuova edizione L’annata memorabile del Beaujolais, Roma, Edizioni e/o, 2016), risulta davvero illuminante. Quale può essere, nell’ottobre del 1922 (è la data nella quale si svolge la storia del romanzo), il problema principale di una amministrazione comunale di sinistra [f]? Il dialogo tra Barthélemy Piéchut, sindaco del piccolo paese, ed Ernest Tafardel, il maestro, non lascia dubbi in merito. «Bisogna che troviamo qualcosa, Tafardel, qualcosa che faccia emergere appieno la superiorità di un’amministrazione moderna ed evoluta . Non siete d’accordo? – Oh sì, monsieur Piéchut, naturalmente! Bisogna far penetrare il progresso nelle campagne e agire senza tregua per scacciare l’oscurantismo. È il grande impegno che spetta a noi uomini di sinistra». Tafardel ha ovviamente la sua idea bell’e pronta. Il cimitero non è forse «l’unico monumento pubblico del paese di Clochemerle che non rechi il motto repubblicano Liberté, égalité, fraternité? E in questo non si ravvisa forse una negligenza, una trascuratezza che fa il gioco dei reazionari e del parroco? Non si ha l’impressione che da parte della Repubblica ci sia come l’ammissione che il suo controllo finisce proprio sulla soglia dell’eterna dimora? Non è come riconoscere che i morti sfuggono alla giurisdizione dei partiti di sinistra?» Ma il sindaco ribatte con un’osservazione sensata: «I morti, Tafardel, sono il passato. Noi dobbiamo guardare al futuro, e quella che vi sto chiedendo è appunto un’idea di futuro […]. Troviamo qualcosa che faccia più effetto, che sia in linea con un’epoca di progresso come la nostra». Questa «idea di futuro» sarà, com’è noto, la realizzazione di un orinatoio [g]. La costruzione avrà senza dubbio «la sua utilità tanto sul piano dell’igiene quanto su quello della buona creanza», ma soprattutto permetterà di dare un colpo decisivo alla reazione locale, rappresentata dal parroco Ponosse, dalla baronessa Alphonsine de Courtebiche e dal notaio Girodot («Quando penso che i grandi signori della corte di Luigi XIV urinavano nelle scale del palazzo!» esclama Tafardel, da esperto di storia). Idea di futuro – o segnale simbolico, si direbbe oggi – che il maestro si affretta ad accogliere col più grande entusiasmo («manifestazione rara in quest’uomo appartato e triste, la cui gioia era come arrugginita, perché la metteva unicamente al servizio della giusta causa, nelle grandi occasioni: le vittorie riportate sull’oscurantismo desolante che ricopre ancora la campagna francese»): «Una gran bella idea, signor sindaco! Un’idea veramente repubblicana. Nello spirito del partito, in ogni caso. Provvedimento egualitario in sommo grado, e igienico».
Come si vede, quando il sindaco Barthélemy Piéchut e il maestro Ernest Tafardel (dei quali non sarebbe difficile trovare i contemporanei corrispettivi politici e intellettuali) pensano a un «provvedimento egualitario in sommo grado», non lo fanno per rimettere in questione la differenza che esiste, per esempio, tra le condizioni di vita dei lavoratori agricoli di Clochemerle e quelle dei ricchi vignaioli che gli danno il lavoro (bisogna precisare che Barthélemy Piéchut – il narratore lo dice fin dall’inizio – era «il più grande viticoltore nonché proprietario dei migliori declivi esposti a sud-est, terreni che producevano il vino più fruttato» [h]).
Lo fanno perché così almeno ci sarà un solo e unico orinatoio per tutti. Si comprende quindi per quale motivo la sinistra moderna, una volta liberata dall’ipoteca socialista – sarà l’essenza politica del periodo di Mitterrand –, non poteva evidentemente far altro che tornare ai suoi primi amori, ovvero alla politica dell’orinatoio [i] e dei segnali simbolici di «modernità egualitaria» – che si tratti del «matrimonio per tutti», della legalizzazione della cannabis, del voto agli stranieri o della «femminilizzazione» dell’ortografia. Un ritorno a Clochemerle, insomma, ma al tempo della globalizzazione liberista e della Silicon Valley.

[a] Nella sua Enquête sur la question sociale en Europe (pubblicata nel 1897 con una prefazione di Jean Jaurès e di Paul Deschanel), Jules Huret – uno dei pionieri, in Francia, dell’intervista moderna – interroga a lungo i principali protagonisti dei conflitti di classe dell’epoca (che si tratti, per esempio, di operai degli stabilimenti Schneider a Le Creusot o dei socialisti eletti nell’amministrazione comunale di Roubaix). Il lettore attento noterà senz’altro che a quei militanti rivoluzionari non viene mai in mente, nemmeno una volta – l’inchiesta è stata realizzata nel 1892 –, di definirsi come «uomini di sinistra». Del resto, quel sistematico rifiuto da parte dei primi sostenitori del socialismo di definirsi «di sinistra» segnerà per tanto tempo lo stesso partito comunista francese. Basta riandare, per esempio, al resoconto della XI sessione plenaria del comitato esecutivo del Comintern (in particolare agli interventi di Thorez, Barbé, Manuilski, Lozowski e Piatnitski) – sessione pur dedicata, all’inizio del 1931, alla critica delle «deviazioni meccanicistiche nell’applicazione della tattica classe contro classe» – per verificare che la parola «sinistra» viene usata soltanto una volta nel corso delle discussioni, e unicamente per denunciare le manovre degli «elementi di sinistra della CGT» che puntano, secondo le parole di Lozowski, a «disgregare il movimento rivoluzionario» facendo ricorso, tra l’altro, «alla tattica più efficace che consiste nell’assumere il controllo dei movimenti per silurarli meglio in seguito» (Le parti communiste devant l’internationale, Paris, Bureau d’éditions, 1931). Del resto, il 13 febbraio 1934, dunque all’indomani della grande manifestazione unitaria che avrebbe gettato le basi del futuro Fronte popolare, si poteva ancora leggere su «L’Humanité»: «Ieri è stato il trionfo dell’unità d’azione del proletariato di Parigi, che si è sollevato non per difendere la Repubblica borghese come al tempo dell’affaire Dreyfus, ma per preparare il rovesciamento della democrazia marcia attraverso la vera Repubblica del popolo, operai e contadini, per instaurare la Repubblica dei Soviet di Francia».


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[b] In questo senso, è in effetti proprio l’antifascismo degli anni Trenta (e di conseguenza il radicale cambiamento di politica imposto allora dalla direzione dell’Internazionale comunista) che avrebbe permesso di cristallizzare in maniera definitiva – a partire dal 1934 e su basi ideologiche in parte nuove – l’alleanza suggellata nel corso dell’affaire Dreyfus tra la sinistra repubblicana e liberale e il movimento operaio socialista (nonostante l’ancora incontestabile vitalità dell’«Action française» e dei Camelots du roi, la reazione monarchica e clericale aveva all’epoca già perduto una larga parte della sua base politica e sociale). E ancora oggi rappresenta l’estrema garanzia di qualunque «unità» della sinistra (nel senso «post-dreyfusiano» del termine), quella che viene evocata regolarmente ogni volta che tale unità minaccia di disfarsi per una qualsiasi ragione (per quanto le condizioni storiche del nostro tempo non abbiano più granché a che fare con quelle del capitalismo europeo degli anni Trenta). Diventa dunque più comprensibile il rifiuto che aveva immediatamente suscitato nelle frange più radicali del movimento operaio socialista e anarchico – e del resto anche nello stesso Orwell – quell’appello di Stalin a fare dell’antifascismo il cemento identitario privilegiato di una «sinistra» allargata, antifascismo che i differenti partiti comunisti non mancheranno più, da quel momento in avanti, di rivendicare apertamente (rifiuto dell’«antifascismo» che peraltro è importante distinguere da quello di una vasta parte dell’estrema sinistra pacifista degli anni Trenta – specialmente all’interno della «Lega dei diritti dell’uomo» – che ci vedeva un tipico esempio di quella nuova «germanofobia» destinata a risvegliare le passioni belliciste delle classi popolari). Come affermano Freddy Gomez e Pierre Sommermeyer («Contretemps», numero 16, aprile 2004), «quel “Fronte popolare antifascista” caldeggiato dall’Internazionale comunista rappresentava, per “l’ultrasinistra”, il peggiore dei rimedi: l’asservimento del proletariato ai valori di una democrazia che lo aveva stritolato, la sua irreggimentazione sotto la direzione congiunta della socialdemocrazia e dello stalinismo, i suoi peggiori nemici. Se non lo si osserva secondo una prospettiva storica, di quel rifiuto permanente dell’antifascismo da parte delle forze dell’ultrasinistra non si capisce niente» (è peraltro quest’«ultrasinistra» che contribuirà in maniera decisiva a introdurre – soprattutto mediante il movimento di occupazione delle fabbriche che si era scatenato spontaneamente all’indomani delle elezioni del maggio 1936 – una dimensione anticapitalista quasi del tutto assente nel programma iniziale del Fronte popolare). Per quei militanti radicali era infatti chiaro che se tutti i socialisti rivoluzionari avevano indubbiamente il dovere di combattere anche il fascismo (in Spagna o altrove), in compenso dovevano rifiutare a ogni costo di essere definiti semplicemente «antifascisti» (si può ritrovare del resto lo stesso dibattito tra comunisti e anarchici lungo l’intero corso della guerra civile spagnola). Ai loro occhi, con quella distinzione cruciale era in gioco la sopravvivenza stessa del movimento operaio rivoluzionario. Rispetto alla storia successiva – e in particolare al ruolo che svolge ancora la retorica «antifascista» ogni volta che una sinistra liberale moderna viene messa a confronto con una contestazione anticapitalista nascente – non si può dire che la storia abbia dato loro interamente torto.

[c] Esiste almeno un’eccezione, ai giorni nostri, alla regola che obbliga ogni individuo di sinistra a combattere in modo deciso tutto ciò che del fosco passato ancora sopravvive. È quella che riguarda la condizione femminile. Infatti nulla vieta più a un intellettuale della sinistra moderna di giustificare, con la coscienza del tutto a posto, il ritorno alle forme più arcaiche dell’asservimento delle donne (velo integrale, rifiuto della promiscuità, rigetto dell’omosessualità femminile, elogio del ruolo di casalinga, verginità obbligatoria prima del matrimonio, divieto di mostrare il proprio corpo in spiaggia ecc.), dal momento che si tratta ufficialmente di lottare solo contro l’«islamofobia» (ovvero, se le parole hanno un senso, contro qualunque critica del Corano). Ma è solo perché tale lotta viene sistematicamente presentata come «antirazzista» per natura (in linea, tra l’altro, con le tesi di quel «collettivo contro l’islamofobia in Francia» che ha tra i principali riferimenti intellettuali Rachid Abou Houdeyfa, il quale ancora di recente riteneva che la donna non velata è priva di onorabilità e merita di essere violentata»). Ci sarebbe ovviamente da interrogarsi sulla misoginia inconsapevole – se non addirittura di odio vero e proprio nei confronti delle donne (souvenir edipico, in generale, della madre castratrice) – che sempre più spesso viene in qualche modo messa al riparo da un pretesto simile, a dir poco ambiguo. Del resto basta immaginare quale sarebbe la reazione dei settori più maschilisti di questa intellighenzia di sinistra «anti-islamofoba» – per esempio della già citata «Lega dei diritti dell’uomo» (e dei doveri della donna?) – se domani un collettivo di donne provenienti dalle fila delle immigrate decidesse d’imporre l’uso del velo integrale solo agli individui di sesso maschile.
Comunque sia, questo nuovo modo di rivendicare orgogliosamente la propria appartenenza alla sinistra avrebbe indubbiamente gettato Barthélemy Piéchut ed Ernest Tafardel – grandi lettori di Voltaire – in un abisso di perplessità.

[d] All’inizio degli anni Venti, una parte considerevole della nuova «destra» aveva già preso abbondantemente le distanze dalla vecchia reazione monarchica e clericale del XIX secolo (quella degli emigrati di Coblenza e del Terrore bianco del 1815). Tanto che dei quattro principali partiti la cui alleanza aveva permesso, nel 1919, la vittoria del «Blocco nazionale» – quella «chambre bleu horizon» che molti storici della sinistra moderna concordano nel presentare come una delle assemblee più «reazionarie» che siano mai esistite – due affermavano ancora apertamente di essere di sinistra (i repubblicani di sinistra e la sinistra repubblicana democratica di Louis Barthou). E gli altri due avevano comunque scelto di presentarsi agli elettori con l’etichetta dell’Intesa repubblicana democratica – di cui Maurice Barrès era membro – e dell’Azione repubblicana e sociale).
Ovviamente nessuno è così ingenuo da lasciarsi ingannare da queste denominazioni «progressiste» (il partito di François Hollande, dopotutto, non si chiama «socialista»?). Tuttavia questo conferma la celebre «legge» formulata dai politologi degli anni Venti secondo la quale, dalla fine dell’affaire Dreyfus, «una nuova destra» rappresentava quasi sempre solo una «vecchia sinistra» che la dinamica rivoluzionaria del capitalismo aveva finito per spingere in quel posto maledetto. Questo continuo slittamento della politica moderna verso i valori «progressisti» della sinistra originaria (un Poincaré in fondo era solo un erede naturale di Adolphe Thiers e di Jules Ferry), Albert Thibaudet lo definiva movimento «sinistrorso» delle società liberali.

[e] Pubblicato nel 1934, Clochemerle conoscerà un successo fenomenale (diversi milioni di copie vendute e svariate traduzioni), segno che Gabriel Chevallier aveva messo il dito su una delle realtà più radicate della politica francese dell’epoca.

[f] Si è dunque ben lontani da quel «socialismo amministrativo» che poneva già in essere, all’epoca, il movimento operaio rivoluzionario. Nel suo Aperçu de l’activité subversive des socialistes français au sein des conseils municipaux (testo scritto nel 1898), Rosa Luxemburg cita come esempio il consiglio comunale di Roanne. «Ai bambini che non possono essere mantenuti dai genitori – scrive – è stata data la possibilità di andare in vacanza. Il consiglio comunale ha stanziato 75.000 franchi destinati ai disoccupati, aumentato da 200 a 350 franchi le pensioni agli invalidi del lavoro, garantito sovvenzioni più elevate a diverse società d’interesse pubblico e di assistenza, fondato una cassa pensioni per i dipendenti comunali e aumentato i loro stipendi. Sono stati avviati corsi gratuiti di contabilità e disegno. Il consiglio comunale ha anche deciso di creare un ufficio di collocamento gratuito e una mensa popolare». E a Montluçon – scrive inoltre – «il consiglio comunale ha deciso, all’unanimità tranne un solo voto, di togliere i dazi su ogni genere di alimenti e bevande salutari e ha stabilito l’introduzione di nuove imposte che non gravano né sulla classe operaia né sui piccoli commercianti e artigiani». Tutto questo impianto, ottenuto grazie alle lotte popolari del XIX e XX secolo, è appunto ciò che oggi i politici «neoliberisti», di destra o di sinistra che siano, si sforzano di rimettere in discussione.

[g] Forse in quel «segnale simbolico» della sinistra bisogna vedere un’allusione discreta all’orinatoio di Duchamp (esposto per la prima volta a New York nel 1917), opera emblematica della modernità e oggetto, a tale titolo, di dibattito senza fine – e vivace quanto quello di Clochemerle – sulla natura del «progresso» e della creazione artistica moderna.

[h] Barthélemy Piéchut era «inoltre, presidente del sindacato agricolo e consigliere dipartimentale, il che lo rendeva un personaggio notevole in un raggio di svariati chilometri, tanto a Salles e Odenas quanto ad Arbuissonnas, Vaux e Perron. Gli venivano attribuite anche altre ambizioni politiche, non ancora svelate». Ciò che è cambiato meno nella società capitalista moderna è dunque, in maniera evidente, la natura del suo incredibile personale politico.

[i] In linea generale, la sinistra liberale moderna sembra essere letteralmente ossessionata dal «problema» della minzione e dei gabinetti pubblici. Tanto che nel giugno del 2012, per esempio, il maggiore partito di sinistra svedese, su iniziativa di Viggo Hansen, ha presentato un progetto di legge che punta a vietare agli individui di sesso maschile di urinare in piedi, allo scopo di garantire lo stesso modello di minzione per tutti (va detto che la Svezia è quasi diventata, ai giorni nostri, la Corea del Nord del liberalismo culturale). Onestamente confesso di non essere molto preparato in psicanalisi, in ogni caso non abbastanza per spiegarmi le motivazioni inconsce di un’ossessione così bizzarra.

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